La vera emergenza
nell’area euro non è lospread ma la disoccupazione. Lo ammette la Bce
nel suo ultimo rapporto sul mercato del lavoro[1], che rivela come
un’elevata disoccupazione sia ormai una caratteristica strutturale
dell’economia europea. Tra il 2008 e il 2011 l’Europa ha perso 4 milioni
di posti di lavoro (-2,6%). Negli Usa la perdita è stata maggiore,
ovvero di 6 milioni di posti di lavoro (-4,5%), pur a fronte di un
medesimo calo del Pil (-5%). Ma mentre dopo il 2010 – quando entrambe le
economie raggiunsero un tasso di disoccupazione del 10% – negli USA
questo ha cominciato a diminuire, in Europa ha continuato a crescere. La
disoccupazione dell’area euro in meno di tre anni è aumentata di due
punti, passando dal 9,6% del 2009 all’11,6% del settembre 2012[2].
Contemporaneamente, è aumentata anche la disoccupazione di lungo
periodo[3], che nel 2010 ha raggiunto il 67,3% del totale (7 punti più
che nel 2008). Un segno evidente di quanto la disoccupazione non sia più
un fenomeno congiunturale. I disoccupati nell’area euro dal settembre
2011 al settembre 2012 sono aumentati di 2milioni 174mila unità.
…ma “divergente” tra la Germania e quasi tutto il resto dell’area euro
Nel primo periodo della
crisi in Germania e in Belgio la perdita di posti di lavoro è stata solo
dell’1%, sebbene il calo del Pil fosse nella media europea, mentre in
Irlanda è stata del 15%, e in Spagna e Grecia del 10%. Tra il 2009 e il
settembre 2012 il tasso di disoccupazione in Germania è addirittura
diminuito di più di due punti (dal 7,8% al 5,4%). Anche in Belgio è
diminuito, sebbene di poco, come in Austria (dove, però, tra settembre
2011 e settembre 2012 è passato dal 4% al 4,4%). Invece negli altri
Paesi, che rappresentano la maggioranza dei lavoratori europei,
l’incremento è stato ben maggiore e qualche volta impressionante.
L’Olanda passa dal 3,7% al 5,4%, la Francia dal 9,5% al 10,8%, l’Irlanda
dall’11,9% al 15,1%, il Portogallo dal 10,6% al 15,7%, la Grecia dal
9,5% al 24,4%, la Spagna dal 18,1% al 25,8%. L’Italia passa dal 5,1% di
inizio 2007 al 7,8% del 2009 al 10,8% del settembre 2012. Le previsioni
per l’Italia riguardanti il 2013, secondo l’Istat, danno un ulteriore
peggioramento, con la disoccupazione all’11,4%, a causa del contrarsi
dell’occupazione e dell’aumento della disoccupazione di lunga durata[4].
Tale percentuale dovrebbe corrispondere a circa 3 milioni di
disoccupati. In molti Paesi si è già raggiunto un tasso di
disoccupazione da Grande Depressione.
In realtà, il tasso di
disoccupazione[5] non ci dice tutto sulla gravità della crisi
occupazionale. In primo luogo, perché c’è la cassa integrazione e poi
perché il totale dei disoccupati è rapportato a forze di lavoro[6] che
sono cresciute. In Italia, ad esempio si è passati dai 24,93 milioni di
forze di lavoro del primo trimestre 2009, ai 25,73 milioni del secondo
trimestre 2012[7]. Si tratta di un aumento dovuto al fenomeno del
cosiddetto “lavoratore aggiuntivo”, cioè all’ingresso nel mercato del
lavoro di giovani e specialmente di donne che hanno in famiglia qualcuno
che ha perso il lavoro, spesso il coniuge maschio. Secondo la Bce le
cause della divergenza occupazionale tra i vari Paesi dell’Area euro
sono dovute alla diversa struttura delle varie economie nazionali. Dove
l’economia è molto orientata all’export, come in Germania, le imprese
hanno tagliato l’orario ma non i posti di lavoro, in previsione di una
ripresa del mercato mondiale. Dove la crescita economia si era basata
soprattutto sul boom delle costruzioni, come in Spagna e Irlanda, lo
scoppio della bolla immobiliare ha determinato una ristrutturazione
permanente del settore. La Bce tace, però, sul ruolo svolto
dall’introduzione dell’euro che ha oggettivamente avvantaggiato
l’economia tedesca ed accentuato i processi di divergenza tra aree
centrali e periferiche d’Europa.
Le responsabilità delle politiche di austerity e il nuovo “working poor”
Per comprendere gli
andamenti del tasso di disoccupazione occorre porli in correlazione con
le scelte di fondo di politica economica. Non è un caso che la
situazione occupazionale diventi veramente difficile solo con il 2010,
quando la crisi del debito attacca Irlanda e Grecia. All’inizio della
crisi si era reagito supportando la domanda aggregata e incoraggiando la
riduzione dell’orario di lavoro.
Successivamente, con il
passaggio ad una politica incentrata su drastici tagli della spesa
pubblica per ridurre i deficit pubblici, la disoccupazione è esplosa. Il
fenomeno è evidente anche in Italia. In 24 mesi, nel periodo peggiore
della crisi tra gennaio 2008 e dicembre 2009, i disoccupati aumentarono
di 463mila unità. In soli dieci mesi, tra novembre 2011, data
d’insediamento del governo Monti, e settembre 2012, sono aumentati di
416mila unità, passando dai 2 milioni e 359mila di novembre 20011 ai
2milioni e 774mila di settembre 2012 (vedi grafico)[8].
La Bce di Mario Draghi
ritiene che la principale causa della disoccupazione strutturale non sia
la crisi ma l’eccessiva rigidità salariale. La soluzione, quindi,
sarebbe garantire maggiore flessibilità salariale proseguendo con le
“riforme del mercato del lavoro”, come quelle che si stanno portando
avanti in Italia (riforma Fornero), Grecia, Portogallo, Irlanda e
Spagna. Peccato, che ad oggi, il potere d’acquisto dei lavoratori si sia
ridotto senza che la disoccupazione abbia smesso di crescere. Il punto è
che oggi in Europa, come negli Usa, si tende a ricostituire un ampio
“esercito industriale di riserva”, che consista di lavoratori a tempo
che possano essere agevolmente inseriti e dismessi a seconda dei cicli
di una economia che è destinata a mantenersi per chissà quanto tempo a
un bassissimo tasso di crescita e molto lontana dalla piena occupazione.
Visto che le riduzioni salariali e del costo del lavoro non hanno mai
creato maggiore occupazione, l’obiettivo reale delle riforme del mercato
del lavoro è quello di contrastare la sempre più agguerrita concorrenza
mondiale comprimendo i salari di milioni di lavoratori a livelli di
sussistenza o addirittura al di sotto di tale livello. Archiviata la
società del benessere e dei consumi, con buona pace dei teorici della
“decrescita felice”, fa ritorno sulla scena sociale la figura
del working poor o “povero che lavora”, ricattabile e disposto ad
accettare condizioni e ritmi di lavoro peggiori. Del resto, che importa
se il salario reale cala? Non è il mercato interno che interessa alle
grandi imprese multinazionali ma quello mondiale. È il modello tedesco
ad affermarsi. Peccato che, se tutti fanno così, sarà il mercato
mondiale a crollare, così come sta crollando quello dell’area euro. Uno
scenario che potrebbe diventare presto realtà, specialmente se gli Usa,
dopo le elezioni presidenziali, rinunciassero allo strumento dello
stimolo fiscale per affrontare il fiscal cliff.
(Domenico Moro è un conomista, consulente Filmcams-CGIL)
[1] European Central Bank, Euro area labour market and the crisis, October 2012.
[2] Per i dati tra settembre 2011 e settembre 2012 vedere Eurostat, Euro area unemplyment rate at 11.6. 31 October 2012.
[3] Per la Bce è la disoccupazione di lungo periodo è quella che va oltre i sei mesi. Per l’Istat è quella che va oltre un anno.
[4] Istat, Le prospettive per l’economia italiana nel 2012-2013, 5 novembre 2012.
[5] Il tasso o saggio di disoccupazione è il rapporto tra le persone che risultano essere in cerca di occupazione (sia quelle che hanno perso il lavoro sia quelle in cerca di prima occupazione) e le forze di lavoro totali. Il tasso di attività è invece il rapporto tra le forze di lavoro e la popolazione totale tra i 15 e i 64 anni di età.
[6] Le forze di lavoro sono le persone di 15-64 anni occupate o che risultano essere alla ricerca di lavoro. Il tasso di attività misura il rapporto tra le forze di lavoro e la popolazione totale tra i 15 e i 64 anni di età.
[7] Istat, Luglio 2012 e II trimestre 2012 Occupati e disoccupati.
[8] Istat, Settembre 2012 Occupati e disoccupati, 31 ottobre 2012.
[2] Per i dati tra settembre 2011 e settembre 2012 vedere Eurostat, Euro area unemplyment rate at 11.6. 31 October 2012.
[3] Per la Bce è la disoccupazione di lungo periodo è quella che va oltre i sei mesi. Per l’Istat è quella che va oltre un anno.
[4] Istat, Le prospettive per l’economia italiana nel 2012-2013, 5 novembre 2012.
[5] Il tasso o saggio di disoccupazione è il rapporto tra le persone che risultano essere in cerca di occupazione (sia quelle che hanno perso il lavoro sia quelle in cerca di prima occupazione) e le forze di lavoro totali. Il tasso di attività è invece il rapporto tra le forze di lavoro e la popolazione totale tra i 15 e i 64 anni di età.
[6] Le forze di lavoro sono le persone di 15-64 anni occupate o che risultano essere alla ricerca di lavoro. Il tasso di attività misura il rapporto tra le forze di lavoro e la popolazione totale tra i 15 e i 64 anni di età.
[7] Istat, Luglio 2012 e II trimestre 2012 Occupati e disoccupati.
[8] Istat, Settembre 2012 Occupati e disoccupati, 31 ottobre 2012.
Domenico Moro - Lavori in corso a sinistra
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