venerdì 10 aprile 2015

Tortura. Una legge a misura di poliziotto


 




Tortura. Una legge a misura di poliziotto
Miracolo! Il disegno di legge per istituire il reato di tortura anche in Italia, dopo 30 anni di attesa, è stato votato dalla Camera in poche ore. Un ingenuo potrebbe pensare che la classe politica ha avito un scatto d'orgoglio, rimettendo in carreggiata il nostro ordinamento dopo la condanna da parte della Corte di Giustizia europea per l'irruzione della polizia nella scuola Diaz, a Genova 2001. Irruzione seguita da pestaggi sistematici e vilenze arbitrarie che si sono quindi configurate - secondo gli standard internazionali - come vera e propria tortura.
Ma noi non siamo ingenui. E la classe politica non ha avuto nessuno scatto d'orgoglio. Semmai ha provatoa trasformare un obbligo internazionamente dovuto in una "ammuina" all'italiana, facendosi scrivere pezzi interi di norma da parte dei funzionari di polizia, ovvero dagli stessi che potrebbero incappare nel reato. Come far scrivere una legge sul falso in bilancio a Berlusconi, insomma.
La prima frettolosa analisi del testo mostra chiaramente le voragini attraverso cui passeranno agevolmente poliziotti (carabinieri, finanzieri, secondini, ecc) che dovessero venir denunciati e/o indagati in futuro con l'imputazione di tortura.
Il reato è qualificato come di tipo "comune". Ovvero non specifico delle forze della repressione. Potrebbe insomma essere commesso da chiunque. E in effetti, nella cronaca di questo paese, cis ono stati casi di tortura commessa da mafiosi, ndraghetisti o camorristi sulle proprie vittime prima di ucciderle. E qualcuno ricorderà il caso del "canaro", che fece lo stesso con un suo rivale. Ma sono anche casi in cui il reato di omicidio prevale e copre quello di tortura. Un "privato", insomma, non può torturare e poi rilasciare una sua vittima, perché verrebbe sicuramente denunciato, arrestato e condannato. Un "agente delle forze dell'ordine" invece sì, perché può contare sul potere della divisa, la "popolarità" (l'incredibile gaffe di Raffaele Cantone sembra aver scandalizzato soltanto noi) dei corpi sbirreschi, l'omertà protettiva di colleghi e superiori, la condiscendenza di buona prate della magistratura, la difesa a prescindere della stampa di destra e alcuni straccioni della politica populista (vedete voi in queste ore quali nomi vi vengono in mente...).
Ma il punto principale è un altro. Per essere considerata tortura una violenza deve causare «acute sof­fe­renze fisi­che o psi­chi­che ad una per­sona pri­vata della libertà per­so­nale o affi­data alla sua custo­dia o auto­rità o pote­stà o cura o assi­stenza», e al fine di “ottenere informazioni o dichiarazioni, per infliggere una punizione, per vincere una resistenza”. Se non sei stato formalmente "privato della libertà personale", ovvero non ti è stato notificato l'arresto o la messa in stato di fermo, sei ancora formalmente libero. Quindi qualsiasi violenza commessa dagli agenti su di te non sarà qualificabile come tortura, ma al massimo come percosse, maltrattamenti, ecc.
Al contrario, il reato di tortura potrebbe invece essere contestato a genitori, insegnanti, infermieri, ecc.
Cosa ne consegue? Che, se si ripetesse un caso identico all'irruzione nella Diaz, nemmeno in futuro gli agenti saranno accusabili di tortura. Basterebbe loro dichiarare lo "stato di fermo" solo al termine dei pestaggi, di qualsiasi gravità siano stati. Da quel momento in poi, naturalmente, non toccherebbero più con un dito le proprie vittime.
Persino la tortura inflitta a Enrico Triaca dal "dottor De Tormentis" - riconosciuta dalla sentenza con cui il tribunale di Perugia ha assolto il brigatista, prigioniero nelle mani del vicequestore Nicola Ciocia, dall'accusa di calunnia - sarebbe secondo questo testo difficile da provare. Per il waterboarding - tecnica di soffocamento-annegamento simulato, riconosciuta come tortura a livello internazionale - ci potrebbe benissimo obiettare che "non produce le "acute sof­fe­renze fisi­che o psi­chi­che" previste dal diegno di legge. E non dubitiamo affatto che qualche avvocato difensore dei torturatori solleverebbe una simile eccezione; né che qualche giudice compiacente potrebbe accoglierla.
Una volta resa improbabile o comunque molto sfuggente la fattispecie di reato nei confronti degli agenti di pubblica sicurezza o dei corpi militari dello Stato, tutto il resto perde immdiatamente senso. A che serve, per esempio, indicare una pena massima di 15 anni "Se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle funzioni ovvero da un incaricato di un pubblico servizio nell’esercizio del servizio"? Solo a far fare titoli seriosi ai giornali di regime o dichiarazioni scandalizzate al fascioleghista di turno.
L'intento "di facciata" è poi quasi esplicito nella previsione di una scadenza di prescrizione solo raddoppiata, mentre la Corte di giustizia europea indicava esplicitamente l'imprescrittibilità per qualsiasi seria legge sulla tortura. Se il reato può insomma andare in prescrizione, sia pure in un periodo un po' più lungo, saranno di fatto incentivate tutte le tattiche dilatorie da parte degli agenti indiziati di reato (certificati medici, impossibilità di presenziare per motivi di servizio, ecc).
Fatta la legge, previsto l'inganno. Come sottolinea Lorenzo Guadagnucci - giornalista del Resto del Carlino, pestato dalla polizia a Genova 2001 - "Questo ddl non fa altro che confondere le acque e svuotare di significato la legge in sé. Ed il tutto va nella direzione pretesa dai sindacati e vertici polizia sempre contrari a questo disegno". "Il Parlamento si è dimostrato incapace di svolgere il ruolo che dovrebbe, adeguandosi agli standard retrogadi delle forze dell'ordine, ancora poco trasperenti e impregnate di corporativismo. Diventa difficile per un potere politico debole come il nostro formulare delle normative non gradite a chi è più forte di lui".
Se di tutto lo Stato, svuotato e privatizzato, rimane solo la polizia, chi volete che le legiferi contro?

da www.contropiano.org

La legge beffa sulla tortura e le riforme “impossibili”

Possiamo già chiamarla legge beffa. All’indomani della clamorosa sentenza della Corte europea per i diritti dell’uomo sul caso Diaz, il parlamento si appresta ad approvare un testo di legge sulla tortura che si discosta nei punti chiave dagli standard internazionali e dalle stesse indicazioni della Corte di Strasburgo.

Avremo quindi presto una legge che qualifica la tortura come reato generico, che non prevede la imprescrittibilità e – dopo i cambiamenti introdotti in commissione alla Camera – con una definizione di che cos’è tortura così articolata e ricca di sfumature da risultare difficilmente applicabile (un modo classico per svuotare le norme dall’interno).

Che la tortura sia un reato specifico del pubblico ufficiale è una nozione di senso comune ed è anche il motivo per il quale è oggi necessario introdurre una legge ad hoc: l’Italia è un paese dove la tortura si è praticata e si pratica in troppe occasioni (vedi i Rapporti di Amnesty International) ed è quindi necessario che arrivi alle forze dell’ordine un messaggio molto forte, in grado di avviare un cambiamento di rotta nei comportamenti e un aggiornamento dei parametri culturali di riferimento.

Quanto alla prescrizione, la Corte di Strasburgo si è espressa più volte negli anni scorsi sulla necessità di escluderla in materia di violazione dei diritti umani e lo ha ribadito nella sentenza dell’altro giorno, richiamando precise indicazioni venute sia dal Comitato europeo di prevenzione della tortura, sia dal presidente della nostra Corte di Cassazione. Ma il parlamento ha fatto finta di non sentire e di non vedere.

I “realisti” sostengono che una legge imperfetta è meglio di nessuna legge, ma dovremmo tutti domandarci qual è il fine che vogliamo perseguire. Se si tratta semplicemente di colmare un vuoto legislativo, il risultato sarà presto raggiunto.
Se l’obiettivo è invece intervenire sui limiti “strutturali” nella tutela dei diritti umani evidenziati dalla Corte di Strasburgo; se vogliamo contrastare il malinteso spirito di corpo che dopo Genova ha spinto le forze di polizia a mentire sistematicamente e ostacolare il corso della giustizia; se intendiamo favorire un’evoluzione democratica delle drammatiche carenze evidenziate dalla Corte di Strasburgo, allora è chiaro che siamo sulla strada sbagliata.

Roberto Settembre, giudice nel processo per Bolzaneto, ha parlato di “legge spuntata”; Enrico Zucca, pm nel processo Diaz, si è chiesto: “E’ forse un insulto apprestare strumenti che abbiano una forza deterrente?”. Dovremmo chiederci allora perché le forze progressiste non si siano attestate sul disegno di legge iniziale, presentato dal senatore Luigi Manconi. Perché non si è cercata in parlamento una maggioranza (che ci sarebbe) su quel testo? La risposta è semplice: per una precisa scelta politica.

Il testo di legge non è frutto di un compromesso fra destra e sinistra, ma l’esito di una mediazione al ribasso fra il parlamento (con schieramento bi o tripartisan) e forze di sicurezza ostili e ancorate a una tradizione corporativa che affonda le proprie radici in epoche storiche pre repubblicane.

Manconi nei giorni scorsi ha parlato di “sudditanza psicologica” della politica verso le forze dell’ordine. Potremmo aggiungere che siamo di fronte a due debolezze. Quella di forze di polizia a disagio con gli standard di trasparenza e responsabilità tipici delle democrazie avanzate; e quella di forze politiche incapaci di esercitare fino in fondo il proprio ruolo di indirizzo e più propense – anche qui per tradizione antica – a blandire, adulare, proteggere ad ogni costo e in ogni caso i corpi di polizia e i loro vertici.

Queste debolezze non fanno una forza e anzi minano la credibilità degli uni e degli altri, abbassando la qualità della nostra democrazia. La Corte di Strasburgo, entro poco tempo, esprimerà giudizi probabilmente ancora più forti esaminando i ricorsi presentati per i fatti di Bolzaneto (maltrattamenti e torture durati tre giorni alla presenza di centinaia di agenti) e l’Italia risponderà con la sua legge beffa sulla tortura e con i suoi incerti progetti sui codici di riconoscimento per le divise degli agenti (si parla di codici di reparto, anziché individuali, una beffa nella beffa).

Ovviamente non sono in agenda altre riforme necessarie, come la revisione dei criteri di accesso alla professione, oggi riservata in via quasi esclusiva a chi abbia prestato servizio militare obbligatorio, o il ripensamento della formazione degli agenti, con una forte spinta verso la prevenzione anziché la repressione. Un quadro desolante.

Per chi si è impegnato in questi anni sul fronte dei diritti civili e per un’uscita a testa alta del nostro paese dall’abisso genovese del 2001, il bilancio è molto amaro. Abbiamo vinto la nostra lotta sulla ricostruzione della verità e sulla sua interpretazione, ma stiamo perdendo la battaglia più importante, quella che dovrebbe condurre, per dirla con il nostro scaltro presidente del Consiglio, a “cambiare verso”.
L’Europa dovrà ancora occuparsi di noi.

* da lorenzoguadagnucci.wordpress.com

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