L'ultima direzione de "il manifesto" si rivela
incapace di tenere insieme le persone più capaci, quelle che hanno fatto
la fortuna e le sfortune di un'impresa con 40 e più anni di vita.
L'addio di Marco D'Eramo era stato nascosto in poche righe nella pagina delle lettere. Quello di Rossana Rossanda, al momento, lo leggiamo sul sito di Micromega. E sembra impossibile che una direzione che si autoelogia come "democratica" nasconda, come avrebbe potuto fare un tempo Ceausescu, lettere così importanti, che finiscono ovviamente per essere pubblicate altrove. Possibile che non capisca che viviamo nell'epoca della comunicazione globale in tempo reale e che un quotidiano, dunque, è - sì - un luogo pubblico da cui enfatizzare questo o quel contenuto; ma non è più, se mai lo è stato, l'unico organo al mondo dove pubblicare qualcosa?
Quanti avevano fatto spallucce all'addio di Vauro, addebitandolo a poco onorevoli motivazioni (e in tal senso andava una incredibile risposta della direzione alla sua lettera d'addio), ha dovuto rpender atto, nel breve volgere di poche settimane, di un crollo inarrestabile nella tenuta delle "varie anime" che questo giornale aveva a lungo tenuto insieme.
Abbiamo da parte nostra resocontato una tempestosa assemblea tra la redazione e i circoli dei lettori, ancora disposti a svenarsi pur di mantenere il "quotidiano comunista". E abbiamo visto con sgomento l'atteggiamento della direzione e di parte della redazione - i meno noti, in assoluto, tra quanti scrivono - palesemente favorevole a impedire che fossero i lettori a dar vita a una "proprietà collettiva" sul modello della Taz tedesca, preferendogli un "padrone buono" che lasciasse a loro la possibilità di fare il giornale "piddino" che stanno facendo in questo momento. Avevamo visto e resocontato la rabbia o lo scoramento delle firme storiche, ora assistiamo all'affondamento di uno degli ultimi "vascelli" della carta stampata, che ancora si muoveva in un mare attraversato da corazzate e squali.
Ce ne dispiace, anche se con quel giornale abbiamo spesso polemizzato. Ce ne dispiace soprattutto pensando a quei compagni con cui abbiamo condiviso tanta strada e con cui ci siamo sentiti sempre vicini: Stefano Chiarini e Maurizio Galvani, in primo luogo, ormai scomparsi.
LA LETTERA DI ROSSANDA
Preso atto della indisponibilità al dialogo della direzione e della redazione del manifesto, non solo con me ma con molti redattori che se ne sono doluti pubblicamente e con i circoli del manifesto che ne hanno sempre sostenuto il finanziamento, ho smesso di collaborare al giornale cui nel 1969 abbiamo dato vita. A partire da oggi (ieri per il giornale), un mio commento settimanale sarà pubblicato, generalmente il venerdì, in collaborazione con Sbilanciamoci e sul suo sito www.sbilanciamoci.info.
Rossana Rossanda
La lettera di Halevi
Care compagne e cari compagni
Non so se avete visto l'andazzo del manifesto nelle ultime settimane. E' peggiorato ulteriormente dopo il 4 novembre. Scandalose le linee di commiato a Marco D'Eramo, quelle della redazione non quelle di D'Eramo. Consiglierei di rompere, perché non si tratta più di un collettivo ma di un manipolo che per varie ragioni si è appropriato del giornale. Anch'io me ne vado, senza alcuna lettera. E' inutile.
Un caro saluto,
Joseph Halevi
La lettera di Marco D’Eramo (la risposta e la controreplica)
Cari lettori,
vi scrivo per prendere commiato da voi dopo una frequentazione di più di 32 anni e svariate migliaia di articoli. Come in ogni rapporto così lungo che si conclude, le cause della separazione risalgono lontano nel tempo e profondo nei sentimenti, anche se poi basta una quisquilia a rompere un equilibrio che già pendeva quanto la torre di Pisa.
Per fare breve una vicenda lunga, la mia storia nel manifesto e col manifesto è conchiusa. Sento con dolore che questa esperienza umana e politica sta finendo male, come spesso accade in regime di scarsità e penuria: me lo provano la suicidaria rottamazione dei prepensionati, quasi tutti esclusi dalla progettazione del giornale, e me lo ha provato in modo definitivo il pessimo andamento dell’assemblea romana di domenica 4 novembre coi circoli (nonché il suo non rendiconto).
Non ne faccio una colpa specifica alla direzione, sia perché in un giornale come era un tempo il nostro, le responsabilità sono sempre collettive, cioè del collettivo (redazione, grafici, tecnici e amministrativi e quindi anche mie), sia perché, come ho detto, alcuni dissidi sono carsici e rimontano nel tempo. Di proposito non entro in questioni personali che mi trascinerebbero in un ping-pong di recriminazioni e controaccuse: vi sono già stati troppi livori. Spero di sbagliarmi, e auguro ogni fortuna al collettivo, per quel che ne resta, e per il tempo che riuscirà a sopravvivere come tale.
Il commento della redazione
È vero, le difficoltà materiali non aiutano. Ci dispiace per questo commiato, ma su una cosa siamo d’accordo: meglio evitare personalismi, «recriminazioni e controaccuse». Auguri di buona fortuna.
Risposta inviata per mail a tutta la redazione da Marco D’Eramo
Care compagne/i,vi ringrazio di cuore: la collocazione e la risposta che avete voluto dare al mio addio spiega le ragioni del mio commiato più di ogni mia parola.
L'addio di Marco D'Eramo era stato nascosto in poche righe nella pagina delle lettere. Quello di Rossana Rossanda, al momento, lo leggiamo sul sito di Micromega. E sembra impossibile che una direzione che si autoelogia come "democratica" nasconda, come avrebbe potuto fare un tempo Ceausescu, lettere così importanti, che finiscono ovviamente per essere pubblicate altrove. Possibile che non capisca che viviamo nell'epoca della comunicazione globale in tempo reale e che un quotidiano, dunque, è - sì - un luogo pubblico da cui enfatizzare questo o quel contenuto; ma non è più, se mai lo è stato, l'unico organo al mondo dove pubblicare qualcosa?
Quanti avevano fatto spallucce all'addio di Vauro, addebitandolo a poco onorevoli motivazioni (e in tal senso andava una incredibile risposta della direzione alla sua lettera d'addio), ha dovuto rpender atto, nel breve volgere di poche settimane, di un crollo inarrestabile nella tenuta delle "varie anime" che questo giornale aveva a lungo tenuto insieme.
Abbiamo da parte nostra resocontato una tempestosa assemblea tra la redazione e i circoli dei lettori, ancora disposti a svenarsi pur di mantenere il "quotidiano comunista". E abbiamo visto con sgomento l'atteggiamento della direzione e di parte della redazione - i meno noti, in assoluto, tra quanti scrivono - palesemente favorevole a impedire che fossero i lettori a dar vita a una "proprietà collettiva" sul modello della Taz tedesca, preferendogli un "padrone buono" che lasciasse a loro la possibilità di fare il giornale "piddino" che stanno facendo in questo momento. Avevamo visto e resocontato la rabbia o lo scoramento delle firme storiche, ora assistiamo all'affondamento di uno degli ultimi "vascelli" della carta stampata, che ancora si muoveva in un mare attraversato da corazzate e squali.
Ce ne dispiace, anche se con quel giornale abbiamo spesso polemizzato. Ce ne dispiace soprattutto pensando a quei compagni con cui abbiamo condiviso tanta strada e con cui ci siamo sentiti sempre vicini: Stefano Chiarini e Maurizio Galvani, in primo luogo, ormai scomparsi.
LA LETTERA DI ROSSANDA
Preso atto della indisponibilità al dialogo della direzione e della redazione del manifesto, non solo con me ma con molti redattori che se ne sono doluti pubblicamente e con i circoli del manifesto che ne hanno sempre sostenuto il finanziamento, ho smesso di collaborare al giornale cui nel 1969 abbiamo dato vita. A partire da oggi (ieri per il giornale), un mio commento settimanale sarà pubblicato, generalmente il venerdì, in collaborazione con Sbilanciamoci e sul suo sito www.sbilanciamoci.info.
Rossana Rossanda
La lettera di Halevi
Care compagne e cari compagni
Non so se avete visto l'andazzo del manifesto nelle ultime settimane. E' peggiorato ulteriormente dopo il 4 novembre. Scandalose le linee di commiato a Marco D'Eramo, quelle della redazione non quelle di D'Eramo. Consiglierei di rompere, perché non si tratta più di un collettivo ma di un manipolo che per varie ragioni si è appropriato del giornale. Anch'io me ne vado, senza alcuna lettera. E' inutile.
Un caro saluto,
Joseph Halevi
La lettera di Marco D’Eramo (la risposta e la controreplica)
Cari lettori,
vi scrivo per prendere commiato da voi dopo una frequentazione di più di 32 anni e svariate migliaia di articoli. Come in ogni rapporto così lungo che si conclude, le cause della separazione risalgono lontano nel tempo e profondo nei sentimenti, anche se poi basta una quisquilia a rompere un equilibrio che già pendeva quanto la torre di Pisa.
Per fare breve una vicenda lunga, la mia storia nel manifesto e col manifesto è conchiusa. Sento con dolore che questa esperienza umana e politica sta finendo male, come spesso accade in regime di scarsità e penuria: me lo provano la suicidaria rottamazione dei prepensionati, quasi tutti esclusi dalla progettazione del giornale, e me lo ha provato in modo definitivo il pessimo andamento dell’assemblea romana di domenica 4 novembre coi circoli (nonché il suo non rendiconto).
Non ne faccio una colpa specifica alla direzione, sia perché in un giornale come era un tempo il nostro, le responsabilità sono sempre collettive, cioè del collettivo (redazione, grafici, tecnici e amministrativi e quindi anche mie), sia perché, come ho detto, alcuni dissidi sono carsici e rimontano nel tempo. Di proposito non entro in questioni personali che mi trascinerebbero in un ping-pong di recriminazioni e controaccuse: vi sono già stati troppi livori. Spero di sbagliarmi, e auguro ogni fortuna al collettivo, per quel che ne resta, e per il tempo che riuscirà a sopravvivere come tale.
Il commento della redazione
È vero, le difficoltà materiali non aiutano. Ci dispiace per questo commiato, ma su una cosa siamo d’accordo: meglio evitare personalismi, «recriminazioni e controaccuse». Auguri di buona fortuna.
Risposta inviata per mail a tutta la redazione da Marco D’Eramo
Care compagne/i,vi ringrazio di cuore: la collocazione e la risposta che avete voluto dare al mio addio spiega le ragioni del mio commiato più di ogni mia parola.
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