Lo
avevamo detto con vigore che non erano le “nostre” primarie, che
buttarsi nelle braccia del Pd ci avrebbe equiparato a chi riduce la
sfida destra-sinistra a una competizione tra chi esegue con più
efficienza gli ordini ricevuti da Bruxelles, come se non fosse possibile
proporre un’alternativa. Tanti compagni e compagne su questa battaglia
politica sono andati via, altri lo faranno nei prossimi mesi.
A loro e a chi era rimasto nonostante i tanti dubbi, la dirigenza di Sel ha risposto che la strategia politica che voleva costruire un polo delle forze che oggi sono all’opposizione del Governo Monti, era perdente. Ci è stato ripetuto che non ci rendevamo conto che queste primarie Vendola poteva vincerle. Abbiamo ribattuto che il problema fondamentale non dovevano essere le primarie e che per ottenere un buon risultato Sel avrebbe dovuto costruire una proposta politica di netta discontinuità con il governo Monti, con il Fiscal compact, con il pareggio di bilancio, con la Riforma Fornero del lavoro, e quindi mostrarsi spiccatamente autonoma da Bersani.
L’argomentazione cambiamento versus testimonianza che la dirigenza di Sel ha usato contro i cosiddetti non allineati interni è stata abbattuta dal voto alle primarie, oltre che aver dimostrato un considerevole livello di intolleranza e scarsa propensione al confronto democratico interno. Vendola, confermando l’alleanza con il Pd, si attesta a una percentuale di voto che non dista da quella che Bertinotti aveva conquistato contro Prodi, nelle primarie del 2005. Anzi per molti versi è peggiore di quella e comunque è molto al di sotto del risultato che Sel aveva indicato come soddisfacente.
Il sottotesto di quell’argomentazione banalizzante suggeriva: vinceremo se staremo dalla parte di chi si assume la responsabilità del governo contro quella della sinistra minoritaria e protestataria. Ci voteranno i giovani, ci voteranno pure gli elettori del Pd, ci voteranno le regioni rosse. Non ci ha votato nessuno tranne noi stessi. Tempo fa sulle pagine di Repubblica Vendola ha dichiato: “Io scelgo la prospettiva del cambiamento piuttosto che la testimonianza. Non partecipo alla gara di chi è il miglior perdente. C’è una drammatica domanda di cambiamento nella società italiana”. Quella frase rimane il segno di un grande errore politico: la prospettiva del cambiamento non è e non deve essere alternativa a quella della testimonianza.
E’ un concetto così potente quello di testimonianza, anche se non ha goduto di fortuna nel lessico politico italiano,che una forza politica di sinistra non dovrebbe maltrattarlo. Come ricorda Giorgio Agamben in Quel che resta di Auschwitz. L’archivio e il testimone, testis (testimone) significa etimologicamente colui che si pone come terzo (terstis) in un processo o in una lite. La testimonianza è fondamentale nella prassi giuridica: in un’aula di tribunale è uno strumento privilegiato di accesso alla verità.
E poi la testimonianza è fede, visto che è attraverso la testimonianza che nei libri sacri si trasmette la verità che è stata raggiunta attraverso la rivelazione. Anche nella filosofia gode di buona fama. É considerata un processo creativo, in quanto offre una configurazione dei fatti, trae da una serie di avvenimenti una storia, produce un senso, e anche un concetto dalla forte tensione etica, perché legato a una profonda relazione di fiducia tra il testimone e chi ascolta. La caratteristica base del testimone, quella che muove a prestargli ascolto, è la sua serietà. Questa si esprime in una doppia responsabilità: verso la verità che avanza e verso l’altro, il destinatario della testimonianza.
Ecco, tra le tante e i tanti, anche io ho lavorato e lottato affinché Sel fosse una forza politica seria e autorevole, testimone di un’altra idea di sinistra, di economia e di società. Testimone in questo senso qui, creativo, vero e dalla forte tensione etica. Non c’è stato ascolto né fiducia anzi, come dimostra il polverone alzatosi in vista dell’assemblea degli autoconvocati del 30 settembre, spesso ci è mancato anche il rispetto. La percentuale di voto di Vendola mostra come minimo che non eravamo noi i miopi.
A loro e a chi era rimasto nonostante i tanti dubbi, la dirigenza di Sel ha risposto che la strategia politica che voleva costruire un polo delle forze che oggi sono all’opposizione del Governo Monti, era perdente. Ci è stato ripetuto che non ci rendevamo conto che queste primarie Vendola poteva vincerle. Abbiamo ribattuto che il problema fondamentale non dovevano essere le primarie e che per ottenere un buon risultato Sel avrebbe dovuto costruire una proposta politica di netta discontinuità con il governo Monti, con il Fiscal compact, con il pareggio di bilancio, con la Riforma Fornero del lavoro, e quindi mostrarsi spiccatamente autonoma da Bersani.
L’argomentazione cambiamento versus testimonianza che la dirigenza di Sel ha usato contro i cosiddetti non allineati interni è stata abbattuta dal voto alle primarie, oltre che aver dimostrato un considerevole livello di intolleranza e scarsa propensione al confronto democratico interno. Vendola, confermando l’alleanza con il Pd, si attesta a una percentuale di voto che non dista da quella che Bertinotti aveva conquistato contro Prodi, nelle primarie del 2005. Anzi per molti versi è peggiore di quella e comunque è molto al di sotto del risultato che Sel aveva indicato come soddisfacente.
Il sottotesto di quell’argomentazione banalizzante suggeriva: vinceremo se staremo dalla parte di chi si assume la responsabilità del governo contro quella della sinistra minoritaria e protestataria. Ci voteranno i giovani, ci voteranno pure gli elettori del Pd, ci voteranno le regioni rosse. Non ci ha votato nessuno tranne noi stessi. Tempo fa sulle pagine di Repubblica Vendola ha dichiato: “Io scelgo la prospettiva del cambiamento piuttosto che la testimonianza. Non partecipo alla gara di chi è il miglior perdente. C’è una drammatica domanda di cambiamento nella società italiana”. Quella frase rimane il segno di un grande errore politico: la prospettiva del cambiamento non è e non deve essere alternativa a quella della testimonianza.
E’ un concetto così potente quello di testimonianza, anche se non ha goduto di fortuna nel lessico politico italiano,che una forza politica di sinistra non dovrebbe maltrattarlo. Come ricorda Giorgio Agamben in Quel che resta di Auschwitz. L’archivio e il testimone, testis (testimone) significa etimologicamente colui che si pone come terzo (terstis) in un processo o in una lite. La testimonianza è fondamentale nella prassi giuridica: in un’aula di tribunale è uno strumento privilegiato di accesso alla verità.
E poi la testimonianza è fede, visto che è attraverso la testimonianza che nei libri sacri si trasmette la verità che è stata raggiunta attraverso la rivelazione. Anche nella filosofia gode di buona fama. É considerata un processo creativo, in quanto offre una configurazione dei fatti, trae da una serie di avvenimenti una storia, produce un senso, e anche un concetto dalla forte tensione etica, perché legato a una profonda relazione di fiducia tra il testimone e chi ascolta. La caratteristica base del testimone, quella che muove a prestargli ascolto, è la sua serietà. Questa si esprime in una doppia responsabilità: verso la verità che avanza e verso l’altro, il destinatario della testimonianza.
Ecco, tra le tante e i tanti, anche io ho lavorato e lottato affinché Sel fosse una forza politica seria e autorevole, testimone di un’altra idea di sinistra, di economia e di società. Testimone in questo senso qui, creativo, vero e dalla forte tensione etica. Non c’è stato ascolto né fiducia anzi, come dimostra il polverone alzatosi in vista dell’assemblea degli autoconvocati del 30 settembre, spesso ci è mancato anche il rispetto. La percentuale di voto di Vendola mostra come minimo che non eravamo noi i miopi.
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