L'avanzata del Front National. L’Europa deve combattere i «fascismi» del XXI secolo
Perché siamo a questo punto? Incidono in primo luogo cause
sociali ed economiche: l’abbandono delle classi popolari, del
proletariato operaio, delle banlieue metropolitane da parte della
sinistra socialista, che anche in Francia ha fatto proprie le ragioni
della post-democrazia neoliberale. Con le sue devastanti conseguenze:
precarietà e disoccupazione, deflazione salariale e riduzione delle
tutele sociali, aumento delle disuguaglianze e accentramento oligarchico
dei poteri. Il tradimento del blocco sociale da parte della principale
forza della sinistra è stato (sin dalla fine degli anni Novanta) tutta
acqua al mulino della destra fascista, a suo modo capace di porsi come
forza sociale. Quando chiama il «popolo» a rivoltarsi «contro le
élites», Marine Le Pen si appropria di un tema storico della sinistra,
del movimento operaio, delle battaglie per l’emancipazione del lavoro
e per la giustizia sociale. Il problema è che può farlo impunemente,
conquistando proseliti, perché non c’è più nessuno che da sinistra
credibilmente faccia appello a lotte sociali in difesa delle classi meno
abbienti.
Influisce in secondo luogo il problema della sicurezza. Gli attentati
stragisti di quest’anno non hanno soltanto posto in primo piano il tema
della paura, che la destra è in condizione di strumentalizzare al
meglio suggerendo ricette securitarie semplici, sbrigative e radicali.
Hanno altresì risvegliato umori radicati della pancia del paese. La
Francia profonda è in buona parte reazionaria e sanfedista:
nazionalista, imperialista, xenofoba e antisemita. La vicenda militare
della seconda guerra mondiale, il ruolo svolto da De Gaulle nella
coalizione dei nemici del Terzo Reich, ha fatto dimenticare la storia
turpe del collaborazionismo e della zelante partecipazione della Francia
di Vichy alla Shoah. E il fatto che a cavallo tra Otto e Novecento la
Francia era il paese più profondamente pervaso da furori razzisti, in
particolare antisemiti. Ma la storia ha la testa dura e questa pancia
è sempre rimasta gravida, benché abbia saputo abilmente nascondersi
e dissimularsi. Oggi, dopo otto anni di crisi sociale e sotto
l’incalzare delle bande armate dell’Isis, questo cuore nero si esprime
senza reticenza, forte dell’inconsistenza della politica e della cultura
democratica, e legittimato dall’unanime richiesta di risposte efficaci
alla crisi economica e alla minaccia islamista.
Di qui il discorso si allarga al di là dei confini nazionali e non
consente semplificazioni. Il tema è europeo sul piano sociale-economico:
ovunque in Europa l’austerity alimenta disperazione e panico, seminando
sfiducia nella politica e sospingendo le masse popolari verso posizioni
protestatarie, populiste, estremiste. Ed è europeo in relazione
all’«emergenza terrorismo», in cui viviamo da una quindicina d’anni.
Senza con ciò indulgere a riduzionismi deterministici – senza cancellare
la responsabilità dei terroristi e dei loro imprenditori politici
e religiosi – è impossibile negare il cortocircuito tra escalation
terrorista e guerre «democratiche» in Medio Oriente, Asia centrale,
Corno d’Africa: guerre le cui salde radici geopolitiche lasciano
facilmente prevedere che il caos odierno (fatto di guerra,
balcanizzazione e terrorismo) si manterrà a lungo stabile.
Insomma, l’agenda delle classi dirigenti europee non cambierà, né sul
piano economico, né su quello geopolitico. Mutamenti reali
comporterebbero prezzi non compatibili in termini di riduzione dei
profitti per il capitale privato e di concessioni al nuovo Impero del
Male nel grande gioco subentrato alla guerra fredda. Anche in Francia
tutto lascia presagire che, ad onta dello shock elettorale, nulla
cambierà. Così torniamo alla facile previsione di Marine Le Pen in
merito ai futuri successi del Fn.
L’avanzata della destra neofascista, razzista e xenofoba francese non
si fermerà. Potranno verificarsi episodiche battute d’arresto. Potranno
funzionare, al ballottaggio di domenica prossima, la desistenza
e l’union sacrée delle forze «repubblicane». Ma difficilmente si
invertirà la tendenza che in questi tre anni ha visto il Fn espandere
a ritmi vorticosi la propria influenza sulla scena politica francese.
E ormai non si può escludere nemmeno che si realizzi l’incubo della
conquista dell’Eliseo da parte dell’erede di Jean-Marie Le Pen nel 2017.
Lo abbiano o meno messo in conto, il prezzo della diabolica coerenza
delle leadership occidentali è la fascistizzazione delle nostre società –
strisciante (a suon di leggi speciali, stati d’eccezione, grandi
fratelli) o esplicita, come si profila in Francia. E attenzione: quando
si dice fascistizzazione si usa una metafora: che cosa sarebbe (o sarà)
il fascismo del XXI secolo e quali conseguenze e contraccolpi
genererebbe non lo sa nessuno, nemmeno i suoi portavoce, in apparenza
così sicuri di sé.
Insomma si scherza col fuoco. Le nostre «classi dirigenti» non lo capiscono o forse sono soltanto inadeguate.
Matteo Renzi ha senz’altro ragione nel dire che «se l’Europa non
cambia, rischia di diventare la migliore alleata di Marine Le Pen». Ma
anche questa sembra soltanto una frase ad effetto, che nasconde
un’intenzione opposta a quella apparente. Proprio Renzi incarna, sia sul
piano economico-sociale, sia in politica estera, la continuità che
finge di deprecare, tant’è che non resiste alla tentazione di
approfittare del voto francese per uno spot celebrativo delle sue
«riforme».
Sono piccole furbizie che dimostrano soltanto irresponsabilità: il
fatto che non si è capito quanto la partita sia diventata maledettamente
seria e pericolosa.
Nessun commento:
Posta un commento