Un
resoconto del convegno di Alessandria su «I ritorni di Marx». I nessi
tra forza economica e capacità egemonica del centro del potere
capitalistico. Crisi e ruolo dell’Unione europea, un «nuovo mostro» che
non è stato ancora adeguatamente analizzato. La costruzione del soggetto
tra neoliberismo, psicanalisi e femminismo della differenza
Dunque
lo spettro di Marx è tornato ad aggirarsi sullo scenario della nuova,
lunga e devastante crisi ca- pitalistica che ci accompagna dal 2008,
sollevando moltissimi interrogativi sui veri meccanismi che sostengono
il sistema uscito vincitore dal confronto con l’alternativa comunista e
socialista. Un confronto aperto proprio dalle opere del professore di
Treviri a metà dell’Ottocento, divenuto conflitto acuto e tragico dopo
la rivoluzione del 1917. Apparentemente concluso con la fine dell’Urss.
Ma
è davvero possibile – come si è augurato in premessa Aldo Tortorella –
che questo nuovo ritorno avvenga «a occhi aperti» da parte di coloro che
non rinunciano a rimeditare e attualizzare la lezione di Marx? Evitando
il rischio di ulteriori errori e limiti di natura ideologica, se non
propriamente dogmatica, proprio grazie al fatto che è stato abbastanza
brutalmente tolto di mezzo l’equivoco di una costruzione in corso, con
sicura ricetta, di «mondi nuovi»?
La discussione svoltasi per tre giorni a Alessandria, per iniziativa di Critica marxista e della Fondazione Luigi Longo, nel convegno intitolato appunto I ritorni di Marx, sembra fornire una prima significativa risposta positiva. Il pensiero dell’autore del Capitale
è stato messo alla verifica di una quantità di punti di vista, legati
alle fonti più ricche di una elaborazione critica rivolta a Marx senza
alcun complesso. Si è parlato delle sue teorie economiche nella crisi
attuale, della sua antropologia, del rapporto con lo Stato e col
liberalismo, dei meccanismi di soggettivazione, del suo metodo di
analisi sociale. Si è discusso di quanto possa sopravvivere delle sue
intuizioni e delle sue profezie dopo il secolo della psicanalisi, dopo
Antonio Gramsci e Simone Weil, dopo la rilettura classica di Sraffa e
l’economia-mondo analizzata da Braudel, Wallerstein e Arrighi. Dopo la
rivoluzione del femminismo e del pensiero della differenza sessuale.
Alla
fine mi sembra si possa dire che lo spettro, con le sue inquietanti
ambivalenze, si è trasformato in una più viva e concreta presenza fatta
di intenzioni etiche profonde e attuali, e di un metodo di analisi
sociale imprescindibile per una intenzionalità politica volta al
mutamento dello stato delle cose presenti. E che se un filo più evidente
di altri ha attraversato contributi assai diversi per ambito di
competenza e per l’orientamento dell’approccio critico, esso riguarda il
ruolo e la costituzione del soggetto dell’azione politica. Con tutta la
complessità dei nessi relazionali che lo legano al mondo esterno, alle
altre persone, nel contesto di un ambiente oggi sovradeterminato dalle
logiche e dalle modalità tecnologiche della rappresentazione del
neoliberismo, e a quella complessa societas – per riprendere un’ immagine utilizzata da Roberto Finelli – che costituisce anche il mondo interiore di ognuno.
Crisi e ruolo dell’Unione europea
Seguirò
per comodità di una esposizione necessariamente molto sintetica
l’ordine degli interventi, del resto non casualmente predisposto.
La
visione più larga del contesto economico, sociale e culturale globale
in cui necessariamente si colloca oggi ogni possibile rilettura di Marx è
stata tratteggiata in apertura da Mario Pianta, avvalendosi della
elaborazione di Giovanni Arrighi, soprattutto a partire dal suo libro
sul Lungo XX secolo. È l’approdo di un filone di ricerche di
diversi autori, del mondo occidentale e asiatico, ispirate in buona
misura dal lavoro storico di Fernand Braudel, che «condividono
l’intuizione di considerare il capitalismo contemporaneo come un sistema
mondiale organizzato in un “centro” e in una “periferia”,
caratterizzato da cicli di accumulazione e di egemonia».
È una
linea di pensiero largamente debitrice a Marx, ma all’infuori di
qualunque ortodossia. E del resto Marx aveva certamente visto la
dinamica globale del capitale, ma non era andato sostanzialmente al di
là della dimensione dello stato-nazione. La visione fatta propria da
Arrighi, rispetto ad altri autori marxisti più “ortodossi”, gli ha
permesso di prevedere assai prima gli esiti critici del recente sviluppo
finanziario del capitalismo occidentale, e lo spostarsi a Oriente, e
segnatamente nella Cina post-maoista, del baricentro mobile
dell’economia-mondo. E questo grazie anche alla capacità di cogliere i
nessi tra potenza economica produttiva e finanziaria e capacità
egemonica del centro del potere capitalistico. Quando la capacità
egemonica – come dimostra il caso americano, ma come è accaduto altre
volte nei secoli dopo l’affermazione capitalistica – viene meno, aumenta
la finanziarizzazione del sistema, ma questa dimensio- ne non ha in sé
gli equilibri necessari per mantenersi in uno stato di stabilità.
Antonella
Palumbo ha ripreso la rilettura della “teoria del valore” di Marx
elaborata da Sraffa e poi da Garegnani, nell’ambito di una rivalutazione
dell’“economia classica” rispetto a alle teorie marginaliste
successivamente egemoni, e ricollocando in quel solco la posizione
critica di Marx. Che in estrema sintesi introduce nella determinazione
della distribuzione del reddito la variabile di ciò che produce il
conflitto sociale, quindi un dato soggettivo.
Da una diversa
angolatura, di teoria della politica, al nodo della soggettività è
arrivato anche Stefano Petrucciani, a proposito del rapporto di Marx con
il liberalismo. Dalla sua iniziale e giovanile adesione a certe istanze
liberali, alla successiva presa di distanza critica, l’autore del Capitale
svela le aporie della visione sociale liberale e neoliberale (perché lo
Stato deve avere come priorità la tutela della proprietà e del mercato
rispetto al benessere di ciascun individuo?), anche se non arriva lui
stesso a comprendere che «la soddisfazione dei bisogni sociali passa in
larghissima parte per ciò che il mercato non è, ovvero da un lato per lo
Stato e dall’altro per i legami familiari o di solidarietà. Perciò la
pretesa della mercatizzazione integrale distrugge paradossalmente le
basi sociali che rendono possibile il mercato stesso».
Un altro
economista, Vladimiro Giacchè, ha riattualizzato una seconda discussa e
contestata “profezia” di Marx, la legge della caduta tendenziale del
saggio di profitto, mettendola in relazione con l’idea di una
«stagnazione secolare» recentemente ripresa da Lawrence Summers,
recuperando a sua volta un concetto che risale agli anni Trenta.
L’approccio marxiano si rivelerebbe più efficace di fronte alla crisi
attuale, strutturale e non ciclica. E un’arma teorica utile nella
battaglia per scongiurare che la soluzione alla crisi globale – come già
dopo il ’29 – non si trovi nella guerra, ma in un “livello superiore di
produzione sociale”.
Del resto – ha argomentato Emiliano
Brancaccio, prendendo un po’ le distanze dagli approcci più filosofici
per accettare il rischio di un maggiore “empirismo” – anche una terza
idea di Marx, assai poco studiata, la legge della «centralizzazione dei
capitali», sembra spiegare meglio ciò che accade sotto i nostri occhi.
Quando il gioco della competizione globale si fa duro, ecco che il
capitalismo più forte sconfigge il più debole, e si determinano enormi
concentrazioni finanziarie. Per Brancaccio è un processo ben evidenziato
in Europa dal ruolo della Bce, agente della concentrazione dei capitali
nelle banche e nei paesi più forti, a scapito dei soggetti più deboli e
periferici, e paladina dell’austerità.
Ma che cosa è esattamente
oggi l’Unione Europea – in cui così forte è il ruolo di un soggetto non
democraticamente eletto come la Bce di Mario Draghi e di altre
burocrazie tecnocratiche – dal punto di vista delle formazioni statali?
Se lo è chiesto André Tosel, aprendo una sessione del convegno che sul
problema dello Stato, delle strutture sociali e di classe, e sullo
“spirito” del capitalismo, ha visto intrecciarsi e dialogare anche gli
interventi di Jacques Bidet e Giorgio Cesarale.
La risposta di
Tosel è netta: oggi l’Europa unita è un “nuovo mostro” che non è stato
ancora adeguatamente analizzato. Un «quasi stato senza popolo». Qualcosa
che le elaborazioni di Marx sullo Stato – non univoche nella sua opera e
non complete, nonostante intuizioni fondamentali sui nessi tra
sovranità e modi di produzione con i loro propri rapporti di oppressione
– non consentono di comprendere senza nuovi strumenti concettuali.
E
una proposta di lettura sociale più complessa viene da Jacques Bidet,
con un approccio da lui definito “metastrutturale”: nel regime
neoliberale la classe dominante è costituita da due forze sociali
distinte, anche se oggi più reciprocamente connesse di quanto avvenisse
in una precedente fase “borghese”: i capitalisti che dominano proprietà e
finanza e i “dirigenti-competenti” che informano l’organizzazione
sociale e produttiva. Il terzo polo è una classe “fonda- mentale” o
popolare in cui la vecchia matrice del proletariato si articola in modo
più complesso. Per Bidet questa struttura tripolare nello stato-nazione e
nello stato-mondo è mediata da equilibri egemonici meno rigidi di
quelli pensati da chi descrive un potere schiacciante, pervasivo e
inattaccabile del capitale e dei suoi apparati neoliberali. Una speranza
per la riscossa soggettiva dei subalterni?
Per Cesarale, che si
impegna in un confronto con Bidet sulla consistenza di una teoria dello
Stato nella prima sezione del Capitale, c’è un eccesso di sofisticazione
nella visione “metastrutturale” del filosofo francese.
Il tema del soggetto e della sua costituzione
Al
concetto di ideologia in Marx e in Gramsci si è ricollegato Guido
Liguori, sottolineando la visione anti-deterministica dell’autore dei Quaderni,
che non vede nell’ideologia solo la «falsa coscienza» di un potere
dominante e totalizzante, ma anche la capacità dei «subalterni» di
reagire in una società moderna e articolata sul piano dei saperi e delle
culture, per la creazione di un diverso «senso comune», basato però
sull’ancoraggio strutturale della classe operaia, e da qui la
affermazione di una diversa egemonia.
Dunque ancora il tema del
soggetto e della sua costituzione. È il cuore del confronto a cui
arrivano gli ultimi due contributi, di Roberto Finelli e di Lia Ci-
garini. Se Finelli per criticare i limiti del- l’“antropologia” di Marx,
troppo conclusa nella di- mensione collettiva dell’identità soggettiva,
imbrac- cia soprattutto il sapere sull’individuo prodotto dalla
psicologia e dalla psicanalisi moderna (da Freud a Jung e Bion, con
fortissimi sospetti invece per Lacan), ma ancorando il suo discorso
critico anche alla Fenomenologia dello spirito di Hegel, a
Nietzsche e a Spinoza, Lia Cigarini ripropone le critiche a Marx e al
marxismo di Simone Weil. Ma ricordando che negli ultimi anni della sua
breve vita – per alcuni versi avvicinabile a quella di Antonio Gramsci –
la Weil aveva respinto gli aspetti scientisti e infondati della
dottrina di Marx (giungendo a dire che nemmeno di una “dottrina” si
potesse parlare), ma ne aveva grandemente apprezzato la passione etica
per la giustizia e il metodo di analisi profonda delle forze in campo
nella dialettica sociale. Così come le intuizioni sulla natura
dell’oppressione nell’organizzazione produttiva. Cigarini ha anche
affermato come il femminismo della differenza pratichi e teorizzi da una
quarantina d’anni una soggettivazione basata sul “partire da sé”. Un sé
individuale che non nega però la dipendenza dagli altri. Da qui nasce
una libertà relazionale che ha permesso alla donne di affrancarsi dal
dominio simbolico patriarcale. Questo tipo di pratica politica può
essere condivisa, produrre mediazione nuova anche da parte maschile,
condurre a una “nuova filosofia del lavoro” capace di vedere anche il
lavoro di cura e di manutenzione dell’esistente necessario alla
riproduzione e alla vita, e di spezzare il dominio neoliberale del
capitalismo? Bisognerebbe intanto che da parte degli uomini non si
riproducesse l’incomprensibile “obliterazione” di ciò che ha prodotto il
femminismo.
Ne è nato un ultimo denso scampolo di confronto tra
molti dei partecipanti sul tema della libertà e della sua origine: dopo
due secoli nel nome dell’uguaglianza forse non è più da qui che la
liberazione dei subalterni può emergere. Il confronto, sotto lo sguardo
certamente curioso del dottor Marx, sembra destinato a proseguire.
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