Quello che sta succedendo nel panorama
bancario italiano da alcuni mesi a questa parte viene propagandato come
una conseguenza della nuova, più severa regolazione europea in materia
bancaria. E in un certo senso è vero, ma, diciamo così, con qualche
particolarità “all’italiana”. Il principio fondante della regolazione è
che le conseguenze dei dissesti di una banca restino il più possibile
confinate alla banca incauta, ai suoi azionisti, ai suoi amministratori,
ai suoi maggiori correntisti. Eventuali “aiuti” temporanei per il
risanamento possono essere forniti solo dal complesso del sistema
bancario. Niente più “prestiti ponte” da parte dei Governi, a carico
della collettività: quello al Monte dei Paschi di Siena è stato
l’ultimo. Il MPS è una banca toscana, con una fondazione controllata da
Istituzioni locali governate con continuità dal PD, e i PM milanesi
sospettano che le perdite degli azionisti siano state determinate con
dolo dagli amministratori attraverso la diffusione di informazioni
incomplete o false. Il suo salvataggio in zona Cesarini meriterebbe
qualche riflessione in più sulla natura relazionale del capitale
finanziario italiano; ma è pur sempre la quarta banca italiana, e già
così perderà 8000 posti di lavoro entro il 2017. Inoltre, volendo tener
conto anche delle ricadute di un effetto immagine, è la banca più antica
del mondo: in fondo, l’idea di banca come la conosciamo, è nata in
Italia.
Il passaggio alla nuova regolazione si completerà a partire da
gennaio 2016: in una fase di transizione, come questa, in cui Bankitalia
ha deciso di accelerare la risoluzione di quattro piccole, da tempo
disastrate, banche italiane (Dell’Etruria e del Lazio, Marche,
CariChieti, CariFerrara). Il meccanismo è quello della bad bank-new
bank, ma ancora con paracadute: un Fondo di risoluzione per supportare
la liquidità delle new bank, anticipato dal sistema bancario che,
naturalmente, dovrà essere remunerato e restituito. Garante? Ma Cassa
Depositi e Prestiti, naturalmente, con il suo tesoretto costituito dai
libretti di deposito postale, in larga parte in capo a pensionati: se le
new bank non saranno in grado di remunerare e/o restituire le
anticipazioni del Fondo di risoluzione, sarà CDP a pagare. Intanto, gli
azionisti, piccoli e grandi, delle ex quattro banche si ritrovano
azionisti delle bad bank a zero valore e devono augurarsi
l’inflessibilità delle società di recupero crediti per sperare di
recuperare qualche spicciolo. Gli obbligazionisti, invece, continuano a
vantare un credito a scadenza, e possono sperare che, dovunque vadano a
finire le new bank, potranno comunque legalmente opporlo ai compratori.
Difficilmente, per come vanno di solito questo tipo di trattative,
riusciranno a recuperare l’intero valore investito; ma peggio degli
obbligazionisti, stanno gli obbligazionisti subordinati, titolari di
bond generalmente senza scadenza, per i quali la decisione di
liquidazione dipende solo dalla banca emittente. Titoli che,
probabilmente, sono stati piazzati su base relazionale (ancora!), nella
inconsapevolezza delle vittime, generalmente piccoli risparmiatori, che
ora si ritrovano con zero valore. E, anche in questo caso, se non si
trova una Procura volenterosa, in grado di dimostrare la truffa da parte
degli amministratori, saranno questi i maggiori beneficiari dell’intera
operazione, da cui usciranno senza neanche un graffio.
Valeva la pena che il Governo affrettasse la procedura di risoluzione per evitare che ricadesse pienamente nelle nuove regole in vigore tra un mese? La risposta è semplice: dipende da chi il Governo voleva davvero beneficiare. E certo valeva particolarmente per Banca dell’Etruria e del Lazio, fino a sei mesi fa ancora Banca di Credito Popolare, e trasformata a tempo di record in SpA grazie a un tempestivo decreto legge. Qualcuno, allora, si chiese quali particolari motivi di necessità e urgenza ci fossero per intervenire con decreto governativo su una materia tanto delicata come il Testo Unico Bancario.
Certo, sono stati bravi: chissà chi è che ha messo insieme questo bel pacchetto per Renzi.
Sarebbe davvero un ottimo aiuto alla verità ed un contributo alla possibile soluzione della brutta vicenda di cui sono vittime sacrificali i piccoli risparmiatori, se a questi interrogativi iniziasse a rispondere, chi di dovere, fin dall’assemblea indetta sabato 5 dicembre a Gualdo Tadino da Federconsumatori.
Valeva la pena che il Governo affrettasse la procedura di risoluzione per evitare che ricadesse pienamente nelle nuove regole in vigore tra un mese? La risposta è semplice: dipende da chi il Governo voleva davvero beneficiare. E certo valeva particolarmente per Banca dell’Etruria e del Lazio, fino a sei mesi fa ancora Banca di Credito Popolare, e trasformata a tempo di record in SpA grazie a un tempestivo decreto legge. Qualcuno, allora, si chiese quali particolari motivi di necessità e urgenza ci fossero per intervenire con decreto governativo su una materia tanto delicata come il Testo Unico Bancario.
Certo, sono stati bravi: chissà chi è che ha messo insieme questo bel pacchetto per Renzi.
Sarebbe davvero un ottimo aiuto alla verità ed un contributo alla possibile soluzione della brutta vicenda di cui sono vittime sacrificali i piccoli risparmiatori, se a questi interrogativi iniziasse a rispondere, chi di dovere, fin dall’assemblea indetta sabato 5 dicembre a Gualdo Tadino da Federconsumatori.
*Possibile
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