La lettera dei sindaci
“arancioni” fa un passo avanti: dalla difesa delle esperienze del 2011
(dimenticate quasi subito dalla politica nazionale, che ha preferito
dedicarsi alle larghe intese) si passa al piano politico. Non più l’eccezionalità di Milano e Cagliari, ma un dato nazionale: se non volete finire come la Francia, votate il Pd.
Certo, si chiede al Pd di essere di sinistra (ne parleremo più avanti),
ma in ogni caso l’appello invita a stare con il Pd e votare il Pd, qualsiasi cosa accada (a proposito di Francia, sembra quasi l’appello di Valls a votare Sarkozy, in questo caso sei mesi prima delle elezioni).
La lettera si presenta insomma come una versione anticipata ed esasperata del voto utile.
Ma andiamo con ordine: perché il centrosinistra in Italia non esiste più? Non sono stati gli alieni a portarcelo via, sono state scelte politiche, di indirizzo, di strategia e di alleanze del Partito democratico, prima e poi, all’ennesima potenza, con l’attuale segretario.
Perché esistono le larghe intese invece del centrosinistra?
Anche in questo caso, non ci ha portato la stella cometa, ma ciò che è
successo proprio dal 2011 in avanti, ma non con Pisapia, con Monti e poi
con l’idea di fare un governo bipartisan e poi ancora con l’intuizione
di trasformarlo in governo politico fino a fine legislatura.
Perché gli elettori sono delusi e magari votano altro?
Perché il Pd, dopo aver rotto il centrosinistra, ha negato se stesso e
il proprio programma elettorale, fin dai temi fondamentali:
Costituzione, economia, lavoro, ambiente, scuola.
E pensare che già nel 2013 almeno un elettore su quattro che prima votava Pd, ha scelto M5s. Chissà perché. Nessuno lo han indagato più di tanto.
In questi anni gli autori della lettera non hanno mai avuto modo di discutere pubblicamente le scelte del governo,
nessuna questione sul Jobs Act, sulla Costituzione, sullo Sblocca
Italia, sulle scelte di questa ultima legge di stabilità, sul carattere
non progressivo degli ottanta euro e sulla loro inefficacia sul piano
economico generale, sulla decontribuzione senza diritti, ecc.
Eppure queste cose, nonostante il loro silenzio, sono accadute. E sono entrate nella nostra legislazione e anche in quella che riguarda i Comuni.
Pretendere che ora, grazie alla lettera, il Pd cambi rotta e torni a
sinistra e un po’ come tentare di far rientrare il dentifricio nel
tubetto, per dirla con una celebre espressione di Romano Prodi.
Certo, i sindaci, anche per via del legittimo desiderio di rimanere
in carica, hanno forse una più forte capacità di persuasione nel
confronto del premier: tutto sommato si parla di potere, ed è
comprensibile che si voglia mantenerlo.
Ciò che più sorprende però è che con questa abile strategia si
intenda combattere il populismo (quello stesso populismo che Marco
Revelli attribuisce allo stesso premier, peraltro): perché il populismo si combatte con misure radicali, come il reddito minimo
(che sarebbe costato come gli 80 euro), la rigenerazione della classe
dirigente, le scelte in campo ambientale per la riduzione dei costi
energetici, la riduzione selettiva delle tasse sul lavoro, la
progressività più forte e chiara in campo fiscale e mille altre cose,
che contemplino anche una maggiore forza in Europa (quando c’era Tsipras
sulla graticola, i sostenitori dell’attuale governo ridevano un sacco e
chissà che cosa c’era da ridere).
Insomma, sotto il profilo politico, elettorale, culturale, quella dei
sindaci è la solita proposta: allearsi con chi non è disposto a farlo
veramente, con chi non sente le cose che si pensano, con chi ha tradito
gli altri e anche se stesso, per poter vincere, altrimenti vincono gli
altri. Che se ci pensate è una bella scoperta.
Così si può andare da Pisapia a Sala (e magari anche a Lupi e Formigoni), da Marino a Malagò, da Bassolino a Alfano.
Altrimenti finisce come in Francia. O, forse proprio per questo, finisce come in Francia.
fonte: http://www.possibile.com
Zedda, Pisapia, Doria: imparate dalla Liguria
Ho letto poco fa l’appello di Pisapia,
Zedda e Doria in riferimento alla richiesta di unità alle prossime
elezioni amministrative. (1)
Da elettore di Sinistra, rispetto il pensiero ma non condivido. Rigetto.
Rigetto perché percorrere un cammino con
questo partito della nazione è impraticabile, contro natura. Lo è poichè
in questo passaggio storico siamo impegnati in una battaglia di cultura
politica contro il renzismo che da un lato liscia il pelo al populismo
e al primitivismo e dall’altro accetta tutte le compatibilità dei
tecnocrati europei.
Non appoggiare e non allearsi con il
partito della nazione significa, quindi, stare dentro quel vincolo di
popolo che ridà forza e credibilità. Lontano da chi costruisce, ad
esempio, soggetti a tavolino, senza anima ma con tutte le virgole al
posto giusto. Dove le esperienze di Alfano, Verdini, Formigoni e tanti
altri si mischiano e sostituiscono la storia di valori di una sinistra
(a PD) ormai persa.
Provare ad essere alternativa obbliga
finalmente ad alzare il livello del dibattito politico e culturale
uscendo da un pesante clima di sfiducia, dalla stupidità delle risse
televisive e da quel micidiale senso di rassegnazione secondo cui la
politica è solo un gioco di potere per cui le idee non servono a niente.
Il partito della nazione non è una mia
espressione. Non desidero essere accanto a un partito pigliatutto, in
cui destra e sinistra si confondono. Parlo di indirizzo culturale e
politico, non di un tipo di schieramento, che superi la contrapposizione
tra progresso e reazione.
Non essere con il partito della nazione
significa rispettare la propria natura. Partito vuol dire parte, scelta.
Ad esempio il disegno dell’Ulivo era proprio quello di riunire i
diversi riformismi, quello cattolico, quello socialista, quello
liberale.
Sarò un sognatore (e di questo mi
dichiaro colpevole) ma penso che quello che si dovrà fare è creare un
popolo e dargli un cultura. Non fornire la sola pretesa di governare il
paese in un modo piuttosto che in un altro, ma far traspirare un’idea
diversa di esistenza, un sogno per un mondo da cambiare. Non un’idea frutto del partito, ma il partito frutto di un’idea. Creare
una cultura. Perché quando c’è un grande sogno da vivere tutti insieme,
quando questo sogno ci tocca intimamente, ci eleva, ci fa sperare, gli
doniamo fino all’ultimo frammento di cuore.
E quell’idea, quella cultura, non hanno
donato all’Italia solo politici o statisti, ma anche scrittori, poeti,
artisti, musicisti, cantanti, registi e uomini dediti alle passioni più
disparate. Quel sogno poi è stato affossato dalla sua stessa origine. Ma
quel modello di “cultura politica e politica culturale” può essere
riscoperto, con tutti gli attributi che la modernità esige, come scrive
Gianluca Bogino. Insomma una nuova anima della sinistra italiana. Non
solo aspirazioni di governo, ma identità ideologica dell’essere.
E in questa nostra Italia esiste ancora
un patrimonio di sogni, speranze ed ideali che l’assetto politico della
Seconda Repubblica ha lasciato in cantina. Esso si sfoga adesso nelle
proteste dei ragazzi che occupano le scuole, nelle associazioni
culturali, nell’ambientalismo, nelle miriadi di movimenti. È
disorganizzato, sparpagliato, senza una guida, senza un canale per
irrompere in maniera determinante nella società.
La cultura è tacita, gode di se stessa e non si preoccupa della politica. (2)
È giunto il momento di organizzare e coniugare l’opinione progressista in un popolo.
Affinché esso sia non solo concorrente dell’attuale scena politica, ma
inesauribile coefficiente di futuro per le generazioni che verranno.
La fiera non è ancora finita, anzi, vedo
ancora moltissimi compratori, venditori e soprattutto banditori nella
fiera. Credo che Renzi abbia colto un obiettivo: essere l’uomo più
popolare del Paese, andando un po’ dappertutto a raccontare un qualcosa
di cui, fino ad oggi, nessuno lo ha chiamato a rendicontare. Per cui la
fiera continua, ma speriamo che i compratori siano più esigenti e
chiedano, almeno, di vedere i cammelli.
Concludo e dico.
Vincere per fare cosa? Questa è la domanda. Non vincere per vincere. Di questo vorrei sentir parlare.
Sono stufo, stufo di questa politica che ogni giorno ci ricorda di aver perso le idee e le parole. Non ho bisogno del vostro appello cari Doria, Pisapia e Zedda: abbiamo bisogno di fatti.
Sono stufo, stufo di questa politica che ogni giorno ci ricorda di aver perso le idee e le parole. Non ho bisogno del vostro appello cari Doria, Pisapia e Zedda: abbiamo bisogno di fatti.
fonte: https://infondosinistra.wordpress.com
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