L’incontro fra Putin ed Obama, durante il negoziato parigino, ha chiarito i termini della questione siriana indicando come possa maturare una svolta. Obama chiede la testa di Assad a Putin il quale lascia intendere a sua volta di essere disponibile a condizione di avere la testa di Erdogan. La cosa, che potrebbe sembrare facile, in realtà è più complessa di quel che sembra, perché le chiavi del caso siriano sono, in parte, in Ucraina, in parte in Turchia, Arabia Saudita e Iran.
Dunque, in primo luogo occorre capire quale sia la strategia principale degli Usa. E’ palese che dalla morte di Osama Bin Ladin, la Casa Bianca è andata via via sganciandosi dallo scacchiere mediorientale, ritenendolo ormai secondario e da scaricare sugli alleati europei. Parallelamente, sono cresciute le preoccupazioni statunitensi per il graduale avvicinamento sino-russo che fa temere un asse molto pericoloso a cavallo degli Urali, un polo forte di un miliardo e mezzi di abitanti, con circa 4 milioni di uomini in divisa, il secondo armamentario nucleare del mondo, due eserciti di tutto rispetto, crediti per migliaia di miliardi di dollari, una moneta fortissima entrata da poco nel paniere delle monete “nobili”, grandi riserve di materie prime (da gas e petrolio ad oro, terre rare, acqua ecc) e così via. Soprattutto, un polo dotato di una fortissima capacità di attrazione verso paesi come Germania, Grecia, Turchia, Corea del nord, Pakistan, ecc. Di fatto un asso del genere diventerebbe egemone in Asia, eserciterebbe una forte influenza in Africa e potrebbe spaccare l’Europa: scenario inaccettabile per gli americani.
La crisi ucraina è stata in gran parte montata dagli americani proprio per isolare la Russia dall’Europa ed esercitare una pressione politica, militare ed economica senza precedenti sulla Russia, utile anche come ammonimento alla Cina.
Questo ovviamente esige che gli Usa si concentrino su questo scacchiere lasciando perdere quello “secondario” del medio oriente. In questo quadro gli Usa hanno bisogno della Turchia, da sottrarre alle pericolose suggestioni della via della seta, per cui che Erdogan faccia tutti i suoi intrighi con l’Isis è una marachella del tutto trascurabile, considerato anche il ruolo anti Assad che egli svolge. E l’incidente russo turco è musica sinfonica per le orecchie d’oltre Atlantico. Dunque, va bene chiedere la testa di Assad, ma non certo in cambio di quella di Erdogan che, anzi, può rendere svariati servigi.
Messa così, non ci sarebbero margini di manovra e si potrebbe andare avanti per anni con la finta guerra aerea all’Isis. Il problema è che l’Isis sta diventando troppo grande e pericoloso e sta squilibrando tutti gli assetti di zona: sta conquistando enclaves simpatizzanti in Africa (dalla Libia alla Nigeria e minaccia di attrarre a sé la guerriglia maliana oltre che di manifestarsi anche in Sudan e Somali). Soprattutto, per il semplice fatto di durare, si sta ponendo alla testa di tutto lo schieramento jihadista satellizzando anche Al Quaeda e gli sta regalando crescenti simpatie fra le masse islamiche. Poi ,la svolta terroristica del 2015, sta producendo una pressione troppo forte su tutta la Ue che si sente abbandonata ed è esposta a tensioni interne molto forti.
D’accordo che nella vittoria del Fn ci sono molti fattori più pesanti della questione terrorismo, ma non c’è dubbio che questa sia andata a cumularsi con le altre, spingendo Hollande a “far qualcosa”, e si capisce cosa sia il “qualcosa”. Se il “vice ispettore Cluseau” dovesse partire con una avventura militare unilaterale di terra rischierebbe seriamente una musata e questo sarebbe un moltiplicatore di simpatie per l’Isis. Dunque, sarebbe inevitabile affiancarlo, finendo con l’infognarsi di nuovo nelle sabbie irakeno-siriane. Poi le spericolate acrobazie del Califfato stanno scoprendo troppo il gioco di Arabia Saudita, Quatar, Turchia innescando tensioni ingovernabili.
Poi la strage di San Bernardino (che fossero o meno dell’Isis i due attentatori non conta) ha rilanciato il problema della sicurezza interna. Insomma, lo scenario mediorientale rischia di ridiventare centrale e prioritario. Ma rimettere mani in Medioriente non si può fare ignorando la Russia, della cui collaborazione c’è bisogno e non solo per risolvere la crisi siriana (ecco che la testa di Assad riacquista valore e la Russia chiederebbe sicuramente lo sblocco delle sanzioni economiche e l’archiviazione della questione ucraina o, almeno, la testa di Erdogan). Dopotutto, nella Cia dovrebbe esserci ancora qualcuno in grado di far esplodere un aereo un volo o “programmare” qualche terrorista suicida.
E’ probabile che Obama stia valutando tre ipotesi: far finta di nulla e continuare nell’attuale indirizzo che trascura il medioriente per concentrarsi contro il nemico russo, imbarcarsi in una nuova guerra di terra contro il Califfato senza mollare la presa sulla Russia, o, infine accettare il compromesso con i russi per tornare a concentrarsi sullo scenario mediorientale nella speranza che la cosa duri poco e si possa tornare a fare i conti con Mosca. Calcolo difficile perché ogni decisione comporta una fortissima incertezza. Per di più Obama giocherebbe a prender tempo, come ama fare, ma questa volta il tempo a disposizione è poco e scegliere di rimandare sarebbe la scelta peggiore ed a più alto rischio di sconfitta.
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