Come
è noto, il governo ha deciso di non salvaguardare (almeno per ora)
azionisti e possessori di obbligazioni subordinate di alcune piccole
banche “di provincia”: Banca Marche, Banca Etruria, Cassa di risparmio
di Ferrara, Cassa di risparmio della provincia di Chieti. Dietro questa
vicenda vi sono ancora aspetti non chiariti, alcuni forse di rilievo
penale. Sta di fatto che comunque le quattro banche continueranno ad
operare ma nel frattempo i risparmi di una parte consistente dei loro
clienti sono andati in fumo.
Di
fronte a questo fatto i liberisti nostrani hanno esultato, come già
accadde quando il governo americano decise di non salvare Lehman
Brothers. Come dire, non si impara mai dalla storia. L’argomento dei
liberisti può riassumersi in questo modo:
- non è giusto che i contribuenti si accollino i debiti delle banche;
- chi ha comprato quei titoli doveva sapere che non erano garantiti.
A prima
vista pare un’ottima argomentazione, anche se non lo è. Ma facciamo
finta che lo sia. Se applichiamo questo principio dobbiamo farlo sempre,
ad esempio:
- chi ha un mutuo può dichiarare fallimento e dire alla banca che la casa è una “good company” mentre il mutuo è “bad company”;
- la Grecia può dichiarare fallimento domani e i creditori devono reagire con un sorriso a denti stretti, e il dottor Schauble deve limitari a dire “Peccato, è andata così”.
Per qualche strana ragione, invece, i nostri eroi liberisti hanno irriso quanti proponevano la ristrutturazione del debito greco.
Come
dicevamo però si tratta di un’argomentazione debole e controproducente.
Qui il problema non è l’educazione finanziaria (altrimenti dovremmo
dire che chi ha investito in Lehman era un ignorante) e non è neppure la
“morale”, che i liberisti ignorano sempre (irridendo chi ne parla)
tranne quando conviene a sostenere qualche tesi a loro congeniale. Il
problema è la fiducia del pubblico nel sistema bancario. Se lo stato non
salvaguarda neppure i risparmi affidati ad una banca, che è un ente
sottoposto alla vigilanza di organismi pubblici, allora qualsiasi
attività diventa troppo rischiosa per il risparmiatore comune. Né si può
pretendere che egli conosca a menadito lo stato di salute di un
istituto (avete presente le asimmetrie informative?), quando spesso
neppure le autorità di controllo lo conoscono alla perfezione. Se le
aspettative prevalenti diventassero queste, allora diventerebbe sempre
più difficile trovare qualcuno disposto ad acquistare titoli bancari e
anche di imprese diverse dalle banche, ma considerate fino a ieri quasi
“sicure” perché, direttamente o meno, sotto l’ombrello dello stato. Se
ciò accadesse, una nuova crisi di fiducia, che si aggiungerebbe a quella
già in essere, sarebbe inevitabile ed aggraverebbe il già
pesantissimo credit crunch che sta strangolando il paese, mentre la
gente cercherebbe di detenere solo attività liquide.
Per
inseguire una malintesa “morale” del mercato, si dà il colpo finale
all’economia. Questo sarà molto probabilmente il risultato di questa
decisione e delle nuove regole sul bail-in a livello europeo. Le
alternative c’erano, ma richiedevano che la BCE garantisse i debiti
degli Stati, cresciuti in questi anni di crisi proprio per salvare le
banche. Un tabù che è la causa principale della crisi dell’eurozona,
come ha giustamente sottolineato l’economista Marc Lavoie.
Sia
chiaro, nessuno sostiene che azionisti e obbligazionisti vadano sempre e
comunque garantiti al 100%, tutt’altro, ma solo che l’applicazione
pedissequa di un principio “morale” di mercato può rivelarsi una scelta
peggiore del male che si intende affrontare. Gli atti più disastrosi
della storia sono stati compiuti in nome di principi che si ritenevano
sacri. Alla fede nei principi, gli economisti e i politici dovrebbero
contrapporre invece la valutazione caso per caso delle circostanze, da
cui far discendere le soluzioni pratiche, ivi compresa la
nazionalizzazione delle banche in crisi. Eppure ci era sembrato che i
liberisti, almeno questo, l’avessero capito.
Si
tratta, come evidente, solo di soluzioni di emergenza. Il problema a
monte, quello che sta facendo fallire le banche, sono i prestiti
deteriorati: famiglie e imprese che non ce la fanno più a rimborsare i
debiti a causa della crisi e della disoccupazione. E per risolvere
questo problema, la soluzione è una terapia shock a base di investimenti
pubblici.
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