lunedì 20 agosto 2012

L’euro non è in difficoltà. Sono le persone ad esserlo! di Vicente Navarro

Una eccellente ricostruzione delle dinamiche sottostanti la creazione dell'euro e degli interessi vincenti alla sua ombra.



Una delle frasi pronunciate più di frequente negli ambienti economici negli Stati Uniti (e, in misura minore, in Europa) è: “L’euro sta per crollare.”
Coloro che ripetono più e più volte questa frase non sembrano conoscere come l’euro sia stato istituito, da chi, e a beneficio di chi.
Se conoscessero meglio la storia dell’euro, si renderebbero conto che i poteri forti che sottendono l’euro si sono mossi molto bene e continuano a farlo.
Fintanto che costoro continuano a trarre profitto dall’esistenza dell’euro, l’euro continuerà ad esistere.
Cominciamo con la storia dell’euro e con le ragioni principali per cui è stato introdotto.
Dopo il crollo del muro di Berlino, è apparso subito che la Germania Est e Ovest potevano riunirsi e che la classe dirigente della Germania Occidentale desiderava il sorgere di una Germania, ancora una volta, unita.
Tale eventualità non piaceva all’Europa democratica. Per due volte nel 20° secolo, la maggior parte dei paesi europei aveva dovuto affrontare una guerra per fermare le mire espansionistiche di una Germania unita. I governi europei non erano proprio contenti di vedere riunita la Germania, dopo il nazismo.
Il presidente della Francia, François Mitterrand, così si pronunciava ironicamente: “Io amo la Germania così tanto che preferisco vederne due di Germanie, piuttosto che una!”
L’unica alternativa che questi governi vedevano era quella di assicurarsi che una Germania unita non sarebbe diventato un paese isolato di fronte a tutti gli altri. La Germania doveva integrarsi in Europa. Doveva diventare europeizzata.
Mitterrand pensava che un modo per ottenere l’integrazione era che la moneta tedesca, il marco, venisse sostituita da una nuova moneta europea, l’euro.
Era questo il mezzo che veniva escogitato per ancorare la Germania post-nazista all’Europa democratica.
La dirigenza tedesca, tuttavia, poneva condizioni.
Una, era quella di istituire un’autorità finanziaria, la Banca centrale europea (BCE), che avrebbe dovuto gestire l’euro e avere come unico obiettivo quello di tenere bassa l’inflazione.
La BCE avrebbe dovuto sottostare all’influenza pesante della (cioè, venire controllata dalla) Banca centrale tedesca, la Bundesbank.
L’altra condizione era di formulare un Patto di Stabilità, che avrebbe imposto una disciplina finanziaria agli Stati membri della zona euro. I loro disavanzi pubblici dovevano rimanere inferiori al 3% del PIL, anche nei momenti di recessione.

Per questo, la BCE sta impartendo istruzioni ai governi della propria zona monetaria per smantellare l’Europa Sociale, e questi governi lo stanno facendo.
Per capire perché gli altri paesi hanno accettato queste condizioni, si deve comprendere che l’ideologia dominante in questi paesi era il neoliberismo (che aveva visto il suo inizio con il presidente Ronald Reagan negli Stati Uniti e con il primo ministro Margaret Thatcher nel Regno Unito).
Una posizione centrale all’interno di quel dogma neoliberista era di ridurre il ruolo degli Stati in campo economico e sociale, per quanto possibile, di incoraggiare il finanziamento privato, e di disincentivare la domanda interna come modo di stimolare l’economia. In questa prospettiva, il motore principale dell’economia doveva essere la crescita delle esportazioni.
Queste sono le radici del problema, problema non per l’euro, che è in buona salute, ma per la tutela sociale e il benessere delle popolazioni in quei paesi.

La Banca Centrale Europea non è una banca centrale

Tra le altre cose, una funzione di una banca centrale è quella di stampare denaro e, con quei soldi, comprare titoli pubblici dello Stato, assicurando che i tassi di interesse su tali obbligazioni siano ragionevoli e non diventino eccessivi.
(La Federal Reserve degli Stati Uniti, per esempio, ha creato più di 2.300 miliardi dollari dal 2008 e li ha utilizzati per acquistare titoli di Stato del governo degli Stati Uniti e di titoli assistiti da garanzie ipotecarie.)
La banca centrale protegge gli Stati contro le speculazioni del mercato finanziario. La BCE, tuttavia, non lo fa.
I tassi di interesse sul debito pubblico statale in alcuni paesi sono saliti alle stelle perché la BCE non ha acquistato nulla del loro debito (non ha acquistato titoli di Stato) per un bel po’ di tempo. Spagna e Italia sono pienamente consapevoli di questo.
Ciò che la BCE fa, tuttavia, è quello di dare un sacco di soldi alle banche private a un tasso di interesse molto basso (inferiore all’1%), con il quale poi queste banche acquistano titoli pubblici a tassi di interesse molto elevato (dal 6% al 7% in Italia e Spagna ). Si tratta di una fantastica offerta e opportunità per queste banche!
Dallo scorso mese di dicembre, la BCE ha prestato più di 1 bilione di euro (1.000 miliardi di euro) a banche private, la metà di esso (500 miliardi di euro) alle banche spagnole e italiane. Questo trasferimento di fondi pubblici (la BCE è un ente pubblico!) al settore finanziario privato veniva giustificato indicando che questo aiuto per salvare le banche si era reso necessario per garantire che il credito continuasse a venire offerto alle piccole e medie imprese per le loro attività e alle famiglie in debito.
Di credito, tuttavia, non si è vista l’ombra! Entrambi i soggetti, le famiglie e le imprese, continuano ad avere difficoltà ad ottenere credito.
Di tanto in tanto, la BCE acquista titoli pubblici dagli Stati in difficoltà, ma li acquista sui mercati secondari (*), in modo quasi clandestino, in piccole dosi e per periodi di tempo molto brevi.
I mercati finanziari sono a conoscenza di questa situazione. Questo è il motivo per cui l’elevato tasso di interesse dei titoli pubblici scende per un po’ quando la BCE li compra, per poi salire di nuovo, il che rende molto difficile per gli Stati sostenere questi tassi di interesse.

La BCE dovrebbe annunciare apertamente che non permetterà più che l’interesse dei titoli pubblici oltrepassi un certo livello, il che renderebbe impossibile per i mercati finanziari la speculazione su questi titoli.
Ma la BCE non lo fa, lasciando gli Stati non protetti di fronte a tali mercati finanziari.
In questa situazione, gli accordi per cui la Spagna e l’Italia devono ridurre il loro debito pubblico per recuperare la fiducia e il credito dei mercati finanziari non sono credibili.
Mentre la Spagna stava mettendo in atto la riduzione del proprio deficit pubblico, il tasso di interesse dei titoli spagnoli era in crescita, dimostrando così come solo la BCE, e non i mercati finanziari, dovrebbe essere in grado di determinare il valore che andranno ad assumere i tassi di interesse.


Chi controlla il sistema finanziario europeo?

In teoria, la BCE avrebbe dovuto essere l’istituzione che doveva dare la direttiva all’euro.
Ma quella che controlla realmente l’euro e il sistema finanziario europeo, è la Bundesbank, la Banca centrale tedesca.
Questo era stato il disegno, fin dall’inizio, come precedentemente abbiamo sottolineato.
Ma esisteva un altro motivo per il controllo del sistema finanziario europeo da parte della Bundesbank e delle banche tedesche. Tale influenza (la questione del controllo) era il risultato di una serie di decisioni prese dal governo tedesco, in particolare dal governo social-democratico di Schröder (Programma 2010), e portate avanti dal governo conservatore della Merkel, che enfatizzava il settore delle esportazioni come motore primo dell’economia.
Oskar Lafontaine, ministro delle Finanze di Schröder, desiderava impostare la domanda interna come motore principale della ripresa economica tedesca. Proponeva aumento dei salari e della spesa pubblica.
Egli perdeva la partita e abbandonava il partito socialdemocratico, formando un nuovo partito, Die Linke / La sinistra, e Schröder risultava vincitore. (ora sta lavorando per una compagnia finalizzata alle esportazioni. Alcuni mesi dopo la fine del suo mandato politico, accetta la nomina di Gazprom a capo del consorzio Nord Stream AG, che si occupa della costruzione di un gasdotto che collegherà la costa russa nella regione di Vyborg alla costa tedesca nella regione di Greifswald, passando per il Mar Baltico.)
In conseguenza di questa enfasi sulle esportazioni (la maggior parte orientata verso la zona euro), le banche tedesche accumulavano una quantità enorme di euro. Piuttosto che usare questi euro per aumentare i salari dei lavoratori tedeschi (aumenti che avrebbero stimolato non solo l’economia tedesca, ma l’economia europea nel suo complesso), le banche tedesche esportavano questi euro, investendoli nella periferia della zona euro.
Questi investimenti sono stati la causa della bolla immobiliare in Spagna. Senza il denaro tedesco, le banche spagnole non avrebbero potuto finanziare questa bolla, costruita su una speculazione enorme.

Quando è apparsa la crisi in Spagna?
Quando le banche tedesche hanno bloccato i prestiti alla Spagna in preda ad una loro reazione dettata dal panico (quando hanno appreso a loro spese che esse stesse erano state contaminate da prodotti tossici delle banche statunitensi), la bolla immobiliare esplodeva, creando un buco nell’economia spagnola pari al 10% del suo prodotto interno lordo, il tutto nel giro di pochi mesi. Si stava scatenando uno tsunami economico, un disastro autentico. Immediatamente, il bilancio pubblico nazionale passava da un avanzo di bilancio ad un enorme deficit, come risultato della drastica diminuzione delle entrate valutarie da altri paesi, non della crescita della spesa pubblica (la Spagna aveva la spesa pubblica pro capite più bassa fra i 15 paesi dell’Unione europea), ma piuttosto per il calo drammatico delle entrate a causa del collasso economico.
La sottolineatura da parte della “Troika” (Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale) che la Spagna necessita di tagliare la sua spesa pubblica ancor più è profondamente sbagliata, perché il debito pubblico non è stato causato da una crescita di questa spesa (come suggerito dalle osservazioni frivole della cancelliera Merkel sulle “stravaganze del settore pubblico spagnolo”). In buona sostanza, questi tagli hanno procurato una nuova recessione.

Qual è lo scopo del contributo finanziario?
La retorica ufficiale insiste sul fatto che le autorità finanziarie della zona euro hanno messo a disposizione della Spagna 100.000 milioni di euro per aiutare le sue banche. La realtà, tuttavia, è molto diversa.
Le banche spagnole e lo Stato spagnolo sono profondamente in debito. Devono un sacco di soldi alle banche straniere, comprese le banche tedesche, che hanno prestato quasi 200.000 milioni di euro alla Spagna. Queste banche stanno facendo la voce grossa per avere i soldi indietro. Questo è il motivo per cui i 100.000 milioni di euro sono stati approvati dal Parlamento tedesco.
Peter Bofinger, consigliere economico del governo tedesco, lo ha esposto chiaramente: “Questa assistenza non è destinata ai paesi in difficoltà (come la Spagna), ma piuttosto alle nostre banche che possiedono tanto del debito privato in quei paesi.” (Pratap Chatterjee , “Salvataggio della Germania: la storia dietro gli oneri finanziari europei” [28/05/2012]).
Non avrebbe potuto esprimersi meglio!
Se le autorità europee desideravano tanto aiutare la Spagna, allora avrebbero dovuto prestare il denaro ad un tasso di interesse decisamente basso alle agenzie spagnole di credito pubblico (come l’ICO, l’Istituto Ufficiale per il Credito), risolvendo così il problema enorme della mancanza di credito in Spagna.
Ovviamente, questa alternativa non è stata nemmeno mai presa in considerazione.

Dove sta il presunto problema con l’euro?

Il fatto che la Spagna abbia un enorme problema di mancanza di liquidità, non significa che l’euro sia in difficoltà.
Molti governi regionali non possono pagare i loro dipendenti pubblici a causa della mancanza di denaro. È un dato di fatto, di queste enormi differenze nella disponibilità di credito all’interno della zona euro stanno beneficiando le banche tedesche.
Oggi, vi è un flusso di capitali dalla Spagna alla Germania, arricchendo le banche tedesche e rendendo i titoli pubblici tedeschi assolutamente sicuri.
Il fatto che ci sia una crisi enorme, con tassi enormi di disoccupazione nei paesi periferici, non significa, tuttavia, che l’euro sia in crisi.
L’euro entrerebbe in crisi solo se questi paesi periferici, tra cui la Spagna, dovessero abbandonare l’euro. Ciò significherebbe il crollo delle banche tedesche e del sistema finanziario europeo. Ma questo non accadrà.
Le misure adottate in Spagna e negli altri paesi periferici, con il sostegno della Troika, dal governo spagnolo e dagli altri governi sono le misure che le forze conservatrici rappresentate da questi governi hanno sempre sognato: taglio degli stipendi, eliminazione della protezione sociale, smantellamento dello stato di sicurezza e previdenza sociale, e così via.
I governi sostengono che lo stanno facendo in seguito alle istruzioni impartite ed imposte da Bruxelles, Francoforte o Berlino. Stanno spostando le responsabilità su agenti stranieri, che presumibilmente stanno costringendoli ad eseguire. È l’esternalizzazione della colpa. Il loro slogan principale è: “Non ci sono alternative!”
Quando il signor Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, convoca il signor Mariano Rajoy, presidente spagnolo del governo più conservatore nell’Unione europea, vicino al Tea Party degli Stati Uniti, gli dice che, per aiutarlo, dovrà fare le riforme del mercato del lavoro (ad esempio, rendere più facile per i datori di lavoro licenziare i lavoratori).
A questo proposito il discorso di Draghi non dà adito ad equivoci. In una recente conferenza stampa (9 agosto 2012), il signor Draghi è stato abbastanza chiaro. La BCE non acquisterà titoli pubblici spagnoli, a meno che il governo spagnolo non imponga difficili, impopolari misure, come la riforma del mercato del lavoro, la riduzione delle prestazioni pensionistiche, e la privatizzazione dello stato sociale.
Il governo Rajoy sarà lieto di eseguire le seguenti istruzioni. Infatti, ha già fatto molti tagli e progetti per 120.000 milioni di euro in più nei tagli entro i prossimi due anni.
’euro e il suo sistema di “governance” stanno lavorando meravigliosamente in favore di coloro che hanno la voce più forte all’interno dell’attuale zona euro.
La BCE sta impartendo istruzioni ai governi della propria zona monetaria per smantellare l’Europa sociale, e i governi stanno eseguendo.
Questo è ciò che il mio buon amico Jeff Faux, uno dei fondatori dell’Istituto di Politiche Economiche di Washington, DC, usa definire “le alleanze di classe internazionali”, vale a dire l’alleanza tra le classi dominanti di tutto il mondo. Attualmente, tale alleanza è chiaramente in azione nella odierna zona euro. È per questo che l’euro starà in circolazione ancora per un lungo, lungo tempo.


(*) [In finanza il mercato finanziario secondario è il luogo dove sono trattati i titoli già in circolazione, che vi rimangono fino alla loro eventuale scadenza.
È logicamente contrapposto al mercato finanziario primario: ogni titolo nasce sul mercato primario e dopo la sua emissione e il collocamento passa al secondario, in cui vengono raccolte tutte le operazioni dalla seconda in poi. Per questo motivo la dimensione del mercato secondario risulta chiaramente molto maggiore.
I due mercati sono logicamente contrapposti, ma trattano la stessa merce, i titoli, perciò una maggiore liquidità del secondario permette di accogliere più titoli che nel primario.
Un gran numero di prestiti destinati solo ad investitori finanziari ha, invece, trovato una larga diffusione tra la clientela ordinaria, dopo contrattazione sul mercato secondario, ad esempio nei casi Cirio e Parmalat.
Una tale situazione ha permesso una raccolta altrimenti impensabile di liquidità, ma dall’altro ha portato il mondo bancario a pensare solo nella logica degli utili da intermediazione, senza l’assunzione della giusta responsabilità relativa alla bontà degli affidamenti.
Analogamente è prospero un mercato finanziario di crediti in sofferenza.]


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Vicenç Navarro è stato professore di Economia Applicata presso l’Università di Barcellona. Attualmente è professore di Scienze Politiche e Sociali all’Università Pompeu Fabra (Barcellona, Spagna). È anche professore di Politiche Pubbliche alla Johns Hopkins University (Baltimora, USA), dove ha insegnato per 35 anni. Dirige il Programma di Politiche Pubbliche e Sociali promosso congiuntamente dalle Università Pompeu Fabra e la Johns Hopkins. Dirige anche l’Osservatorio Sociale della Spagna.
Esule durante in franchismo, è stato consigliere delle Nazioni Unite e di vari governi sulle politiche sociali. È autore di 24 libri tradotti in varie lingue.
Nel 2002 gli è stato conferito il Premio Anagrama (equivalente in Spagna al Premio Pulitzer negli Stati Uniti) per la sua denuncia del modo in cui la transizione dalla dittatura franchista alla democrazia è stata progettata, nel suo libro “Bienestar insufficiente, democracia incompleta, De lo que no se hable en nuestro pais” (Stato sociale insufficiente, democrazia incompleta; di questo non si parla nel nostro paese).

Global Research, 17 agosto 2012
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=32384
(traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

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