“Fermare il declino” è il titolo del
manifesto di quello che si candida ad essere un nuovo partito
liberale-liberista-libertarian, promosso da alcuni liberisti noti al
grande pubblico come Oscar Giannino e Michele Boldrin. Al manifesto
hanno aderito anche diversi esponenti del partito di Fini e della
fondazione di Luca Cordero di Montezemolo.
Analizzeremo qui, punto per punto, le proposte avanzate nel documento.
1) Ridurre l’ammontare del debito
pubblico: è possibile scendere rapidamente sotto la soglia simbolica del
100% del PIL anche attraverso alienazioni del patrimonio pubblico,
composto sia da immobili non vincolati sia da imprese o quote di esse.
E’ stato già fatto negli ultimi 20 anni.
Dopo la cessione a Fiat dell’Alfa Romeo (anni 80), nel decennio
seguente l’Italia ha realizzato un’enorme dismissione di partecipazioni
statali, tra cui:
- Alimentari: Sme, Gs, Autogrill, Cirio Bertolli De Rica, Pavesi
- Siderurgia, alluminio, vetro: Italsider, Acciarieri di Terni, Dalmine, Acciaierie e Ferriere di Piombino, Csc, Alumix, Cementir, Siv
- Chimica: Montefibre, Enichem Augusta, Inca International, Alcantara
- Meccanica ed elettromeccanica: Nuovo Pignone, Italimpianti, Elsag Bailey Process Automation, Savio Macchine Tessili, Esaote Biomedica, VitroselEnia, Dea, Alenia Marconi Communication
- Costruzioni: Società Italiana per Condotte d’Acqua
- TLC: Telecom Italia
- Editoria e pubblicità: Seat Pagine Gialle, Editrice Il Giorno, Nuova Same
- Banche e assicurazioni: BNL, INA, IMI, ecc.
- Trasporti: Società Autostrade
Negli anni 2000, inoltre, il governo ha messo sul mercato ingenti quantità di immobili di proprietà dello stato.
Questo non ha fatto “scendere
rapidamente” il debito pubblico, visto anche che molte di queste società
sono state vendute a prezzi bassi a causa della crisi degli inizi degli
anni ’90.
Il risultato netto di queste
privatizzazioni è che oggi le imprese italiane che hanno una qualche
rilevanza internazionale sono solo le due principali aziende ancora
controllate dallo stato: Eni ed Enel. L’esatto opposto di quello che i
promotori dell’appello sostengono riguardo la presunta efficienza del
privato e la irriformabile inefficienza del pubblico.
2) Ridurre la spesa pubblica di almeno 6
punti percentuali del PIL nell’arco di 5 anni. La spending review deve
costituire il primo passo di un ripensamento complessivo della spesa, a
partire dai costi della casta politico-burocratica e dai sussidi alle
imprese (inclusi gli organi di informazione). Ripensare in modo organico
le grandi voci di spesa, quali sanità e istruzione, introducendo
meccanismi competitivi all’interno di quei settori. Riformare il sistema
pensionistico per garantire vera equità inter—e intra—generazionale.
Al di là degli ammiccamenti populisti
(“i costi della casta politico-burocratica”; chissà perché non i costi
della casta degli economisti che sbagliano le previsioni) il punto
centrale è “Ripensare in modo organico le grandi voci di spesa, quali
sanità e istruzione”. Ma la nostra spesa sanitaria non è affatto
eccessiva, anzi è sotto la media OCSE. Addirittura è minore della sola
spesa pubblica pro-capite negli Stati Uniti, assicurando però una
copertura maggiore, ed è inferiore a quella di paesi come il Regno
Unito, il Canada, la Francia, la Germania.
Gli estensori dell’appello forse
dovrebbero essere più chiari: quanti infermieri e medici occorre
licenziare? Quanti insegnanti perderanno il loro posto di lavoro? E che
dire della spesa per gli altissimi interessi che paghiamo sul debito
pubblico? Perché non se ne fa alcun cenno?
Riguardo i sussidi alle imprese, rimandiamo a quanto già detto in un precedente articolo.
3) Ridurre la pressione fiscale
complessiva di almeno 5 punti in 5 anni, dando la priorità alla
riduzione delle imposte sul reddito da lavoro e d’impresa. Semplificare
il sistema tributario e combattere l’evasione fiscale destinando il
gettito alla riduzione delle imposte.
Tutti vogliamo meno tasse. Il problema è
fare in modo che il maggiore reddito disponibile non finisca in
risparmio. Per ora quel che succede è che lo Stato preleva dalle tasche degli italiani troppo
e lo destina in quantità sempre crescenti a pagare gli interessi ai
rentier (sia italiani che stranieri) detentori di titoli di stato. Forse
sarebbe il caso di analizzare come risolvere questo problema, dopodiché
abbassare le tasse sarà facile senza compromettere i servizi.
4) Liberalizzare rapidamente i settori
ancora non pienamente concorrenziali quali, a titolo di esempio:
trasporti, energia, poste, telecomunicazioni, servizi professionali e
banche (inclusi gli assetti proprietari). Privatizzare le imprese
pubbliche con modalità e obiettivi pro-concorrenziali nei rispettivi
settori. Inserire nella Costituzione il principio della concorrenza come
metodo di funzionamento del sistema economico, contro privilegi e
monopoli d’ogni sorta. Privatizzare la RAI, abolire canone e tetto
pubblicitario, eliminare il duopolio imperfetto su cui il settore si
regge favorendo la concorrenza. Affidare i servizi pubblici, incluso
quello radiotelevisivo, tramite gara fra imprese concorrenti.
La concorrenza nei trasporti ferroviari
c’è da alcuni mesi: il risultato è che le tariffe standard sono
sostanzialmente le stesse tra operatore pubblico e privato, mentre le
FS, pressate dalla concorrenza, sono indotte a ridurre i servizi meno
remunerativi (treni notte, trasporto locale).
L’energia è già liberalizzata. Per la
verità, se si guarda questo grafico, si nota come le tariffe di mercati
liberalizzati da più tempo siano cresciute più delle nostre e
soprattutto più di quelle francesi, dove la liberalizzazione è molto
indietro e il principale operatore è una società controllata dallo stato
(ma è largamente indipendente dal petrolio).
Variazioni dei prezzi dell’elettricità nei principali paesi europei
(percentuali sull’anno precedente) – Autority energia ed Eurostat
(percentuali sull’anno precedente) – Autority energia ed Eurostat
Quanto alle privatizzazioni, di cui si è
già detto, aggiungiamo che questo è senz’altro il momento meno indicato
a causa della svalutazione delle nostre imprese, che già sta favorendo
importanti acquisizioni estere.
5) Sostenere i livelli di reddito di chi
momentaneamente perde il lavoro anziché tutelare il posto di lavoro
esistente o le imprese inefficienti. Tutti i lavoratori,
indipendentemente dalla dimensione dell’impresa in cui lavoravano,
devono godere di un sussidio di disoccupazione e di strumenti di
formazione che permettano e incentivino la ricerca di un nuovo posto di
lavoro quando necessario, scoraggiando altresì la cultura della
dipendenza dallo Stato. Il pubblico impiego deve essere governato dalle
stesse norme che sovrintendono al lavoro privato introducendo maggiore
flessibilità sia del rapporto di lavoro che in costanza del rapporto di
lavoro.
Dal 2003 l’Italia ha diminuito le
protezioni dai licenziamenti (cioè ha aumentato la flessibilità) più di
ogni altro paese OCSE. Il risultato è che l’occupazione non è aumentata,
l’incertezza è diventata la condizione standard del lavoratore, i figli
guadagnano meno dei padri. Ovviamente non si è proceduto ad alcuna
compensazione in termini di welfare: difficile sostenere
contemporaneamente che occorre diminuire la spesa pubblica mentre si
propongono misure che la farebbero aumentare a dismisura. A meno che
tali costi non siano a carico di imprese e lavoratori, ovvero si
trasformino in un aumento dei contributi (quindi dell’imposizione). Ma
non si era detto al punto 3) di diminuire la tassazione su lavoro e
imprese?
Da questo punto in poi procederemo più velocemente perché si tratta di ovvietà o di ripetizioni dei punti precedenti.
6) Adottare immediatamente una legislazione organica sui conflitti d’interesse.
Nulla da dire.
7) Far funzionare la giustizia.
Riformare il codice di procedura e la carriera dei magistrati, con netta
distinzione dei percorsi e avanzamento basato sulla performance; no
agli avanzamenti di carriera dovuti alla sola anzianità. Introdurre e
sviluppare forme di specializzazione che siano in grado di far crescere
l’efficienza e la prevedibilità delle decisioni. Difendere
l’indipendenza di tutta la magistratura, sia inquirente che giudicante.
Assicurare la terzietà dei procedimenti disciplinari a carico dei
magistrati. Gestione professionale dei tribunali generalizzando i
modelli adottati in alcuni di essi. Assicurare la certezza della pena da
scontare in un sistema carcerario umanizzato.
Un sistema carcerario umanizzato
richiede più spesa, ma non possiamo farla perché il punto 2) dice che
dobbiamo ridurla. Stranamente però, il manifesto “liberale” non dice
nulla circa la depenalizzazione dei reati “fascistissimi” che non sono
percepiti più come tali: consumo di droghe, violazioni del copyright,
ingiuria, ecc. Questo farebbe risparmiare tempo e denaro e farebbe
funzionare più speditamente la giustizia, molto più che la “netta
distinzione dei percorsi”.
8) Liberare le potenzialità di crescita,
lavoro e creatività dei giovani e delle donne, oggi in gran parte
esclusi dal mercato del lavoro e dagli ambiti più rilevanti del potere
economico e politico. Non esiste una singola misura in grado di farci
raggiungere questo obiettivo; occorre agire per eliminare il dualismo
occupazionale, scoraggiare la discriminazione di età e sesso nel mondo
del lavoro, offrire strumenti di assicurazione contro la disoccupazione,
facilitare la creazione di nuove imprese, permettere effettiva mobilità
meritocratica in ogni settore dell’economia e della società e,
finalmente, rifondare il sistema educativo.
“Eliminare il dualismo occupazionale”
richiederebbe dare ai giovani le stesse garanzie dei padri. Ma questo è
l’opposto di quanto affermato in precedenza. L’alternativa è fare il
contrario, ovvero togliere garanzie ai lavoratori a tempo indeterminato,
come si è iniziato a fare con la riforma dell’art.18. Ma come questo
aiuterebbe i giovani è difficile immaginarlo.
Riguardo gli “strumenti di assicurazione contro la disoccupazione” si è
già detto. “Facilitare la creazione di nuove imprese”: è stato già
fatto. Ora si può aprire un’impresa con un solo euro. Trovare un cliente
che si fidi di una società senza capitali è altro discorso. Peraltro il
problema del nostro paese è l’esatto opposto: ci sono troppe aziende e
troppo piccole per realizzare quelle necessarie economie di scala che
permettano l’aumento della produttività.
9) Ridare alla scuola e all’università
il ruolo, perso da tempo, di volani dell’emancipazione socio-economica
delle nuove generazioni. Non si tratta di spendere di meno, occorre anzi
trovare le risorse per spendere di più in educazione e ricerca. Però,
prima di aggiungere benzina nel motore di una macchina che non funziona,
occorre farla funzionare bene. Questo significa spendere meglio e più
efficacemente le risorse già disponibili. Vanno pertanto introdotti
cambiamenti sistemici: la concorrenza fra istituzioni scolastiche e la
selezione meritocratica di docenti e studenti devono trasformarsi nelle
linee guida di un rinnovato sistema educativo. Va abolito il valore
legale del titolo di studio.
Ma come, non si era detto al punto 2)
che bisogna intervenire anche sull’istruzione per ridurre le spese?
Riguardo all’abolizione del valore legale del titolo di studio, gli
unici che se ne avvantaggerebbero sono le scuole e le università
private, come accade negli Stati Uniti.
10) Introdurre il vero federalismo con
l’attribuzione di ruoli chiari e coerenti ai diversi livelli di governo.
Un federalismo che assicuri ampia autonomia sia di spesa che di entrata
agli enti locali rilevanti ma che, al tempo stesso, punisca in modo
severo gli amministratori di quegli enti che non mantengono il pareggio
di bilancio rendendoli responsabili, di fronte ai propri elettori, delle
scelte compiute. Totale trasparenza dei bilanci delle pubbliche
amministrazioni e delle società partecipate da enti pubblici con
l’obbligo della loro pubblicazione sui rispettivi siti Internet. La
stessa “questione meridionale” va affrontata in questo contesto,
abbandonando la dannosa e fallimentare politica di sussidi seguita
nell’ultimo mezzo secolo.
Il federalismo porta ad aumentare
l’inefficienza moltiplicando i centri di spesa e di decisione. Non a
caso infatti nella spending review si è puntato molto sugli acquisti
centralizzati. Si guardi alle Regioni che già oggi sono più autonome,
come la Val d’Aosta e la Sicilia: non esattamente un modello in termini
di efficienza. Certo, il manifesto parla di “pareggio di bilancio”, ma
dare alle Regioni una più ampia autonomia in termini di entrate
significa una cosa semplice: più tasse. Darla in termini di spesa
significa più spesa, magari in prebende agli amici degli amici, come ci
ricordano sempre gli stessi firmatari del manifesto. Il pareggio di
bilancio si fa anche tassando al 100% i redditi privati e spendendo il
100% degli introiti: gli estensori dell’appello vogliono una repubblica
federale socialista?
La strada è semmai opposta, a partire dall’abolizione delle province (tutte).
In conclusione, il manifesto “Fermare il
declino” potrebbe tradursi in “accelerare la caduta” o “ripetere gli
stessi errori”. I suoi estensori appaiono in definitiva animati da una
sorta di visione “delirante” della crisi, in quanto staccata dalla
realtà dei fatti e spesso autocontraddittoria. Ma, al di là della buona
fede di costoro, il ridimensionamento del settore pubblico ha ben altri e
più smaliziati sponsor.
Il gioco di parole “Fermare il declino”/”Fermare il delirio” è del nostro lettore Paolo Maiellaro
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