Se gli incentivi statali alle rinnovabili sono sulla bocca di tutti, spesso a sproposito, stranamente nessuno parla di quanti soldi vengono dati ogni anno all’industria dell’energia fossile per restare in piedi: carbone, petrolio e gas naturale non sono affatto meno incentivati di fotovoltaico, eolico o biomasse.
Bisogna, però, intendersi su cosa si intenda per “sussidi” visto che per le fonti fossili non ci sono quasi mai delle tariffe speciali per l’energia venduta, come accade per le rinnovabili. Seguendo le indicazioni dell’Agenzia Internazionale per l’Energia, allora, possiamo dire che per sussidi si intende:
I sussidi all’energia – misure governative che artificialmente abbassano il prezzo dell’energia pagata dai consumatori, alzano il prezzo ricevuto dai produttori o abbassano il costo della produzione – sono grandi e diffusi.
Quando sono ben disegnati i sussidi alle rinnovabili e alle energie a basso tenore di carbonio possono portare a benefici di lungo termine sia economici che ambientali. Al contrario, quando sono diretti alle fonti fossili, generalmente i costi superano i benefici.
Secondo la stessa IEA, poi, i sussidi alle fonti fossili nel 2010 sono stati pari a 409 miliardi di dollari ma nel calcolo non sono inclusi molti Paesi in via di sviluppo. Li ha conteggiati, invece, il National Geographic che ha realizzato una mappa interattiva di tutti i sussidi alle fossili.
In totale si superano i 500 miliardi di dollari annui nel mondo. Italia compresa, dove petrolio, gas e carbone hanno avuto sconti per due miliardi di euro. E viene da ridere visto che il Quinto Conto Energia, appena firmato da Clini, Passera e Catania, è stato a lungo bloccato dallo scontro sul tetto massimo di incentivi da dare al fotovoltaico: tra 6,5 e 7 miliardi di euro, con decisione finale a 6,7.
Mezzo miliardo in più i tre ministri lo potevano pure pescare dal grande pozzo delle esenzioni fiscali al petrolio e al gas. Per chi trivella in Italia, infatti, il nostro Stato offre un sacco di benefit. Quali? Innanzitutto le royalties, tra le più basse al mondo, che vengono pagate solo oltre una certa franchigia di produzione. Spiega bene Pietro Dommarco in Trivelle d’Italia:
Le compagnie petrolifere, per effetto della franchigia, sono esentate dal pagamento di compensazioni ambientali sulle prime 20 mila tonnellate di greggio estratto in terraferma, sulle prime 50 mila tonnellate di greggio estratto in mare, sui primi 25 milioni di metri cubi di gas estratto in terraferma e sui primi 80 milioni di metri cubi di gas estratto in mare.
Tradotto in milioni di euro, le compagnie petrolifere risparmiano approssimativamente per ogni anno di produzione 8 milioni di euro sul greggio estratto in terraferma, 19 milioni di euro sul greggio estratto in mare, 7 milioni di euro sul gas estratto in terraferma e 24 milioni di euro sul gas estratto in mare.
Il risultato, come recita il primo capitolo del libro di Dommarco, è che “Estrarre petrolio costa meno di un vasetto di yogurt”. Ma il vero costo evitato alle fossili, in Italia e nel resto del mondo, è il costo sociale delle emissioni di CO2. Che non viene né calcolato né pagato.
Secondo Skeptical Science, però, questo costo esiste e varia tra i 5 e i 68 dollari per tonnellata di CO2 emessa. E siccome nel 2011 dalle fossili sono derivate emissioni di CO2 per 31,6 miliardi di tonnellate totali, il conto non pagato è salatissimo: tra i 158 miliardi e i 2.100 miliardi di dollari l’anno, cioè tra i 23 e i 300 dollari per ogni essere umano che calpesta il pianeta Terra.
Fonte: National Geographic
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