Riepiloghiamo i fatti. Ilva ammazza, dal 1982, migliaia di persone,
tra cittadini e lavoratori negli stabilimenti. La Procura di Taranto,
il gip e il Tribunale della Libertà, fanno quello che possono per
evitare che la gente continui a morire. C’è un solo modo: impedire che
Ilva continui a spargere veleni. E siccome Ilva non lo fa, il suo
stabilimento è sequestrato. Ferrante, nominato custode,
approfitta di questa sua carica istituzionale per progettare iniziative
contrarie alle prescrizioni dei giudici. Quindi è rimosso. I padroni di
Ilva, alcuni ministri e i sindacati aggrediscono la magistratura,
l’accusano di insensibilità, eccesso di zelo, protagonismo, creatrice di
conflitto con la politica. Addirittura sproloquiano di veleni micidiali
nel passato ma non più presenti (o presenti oggi in minima parte),
sicché nulla osterebbe a riprendere la produzione, ferma restando la
necessità di risanamenti da realizzare in contemporanea; e pensano a un conflitto di attribuzioni contro la magistratura
che, con i suoi provvedimenti, contrasta l’azione del governo. Padroni e
sindacati, paradossalmente uniti, presentano ricorsi e occupano strade:
vogliono che la produzione riprenda. Tra vuoti proclami e accuse
ridicole, nessuno (ma proprio nessuno) sottopone alla pubblica opinione i
fatti che seguono.
Ilva produce veleno. Lo ha prodotto per 30
anni e continua a produrlo. Così dicono le perizie realizzate
nell’incidente probatorio, cui avrebbe potuto intervenire la difesa; che
invece non l’ha fatto, non ha contestato, non ha proposto argomenti o
soluzioni alternative a quelle dei periti. Silenzio completo. Ferrante e
Clini (in particolare quest’ultimo) straparlano di
progetti di risanamento, interventi concreti, decreti miracolistici e
tutta la solita fuffa propinata da una politica inconcludente.
E tuttavia, ammesso che simili baldanzosi propositi abbiano seguito, i
risultati si vedrebbero (se si trovassero i soldi), secondo Clini e
Ferrante, in 4 mesi, secondo i periti, in 4 anni. Sicché, sta di fatto
che, se la produzione continuasse, Ilva ammazzerebbe ancora, a dir poco,
per i prossimi 4 mesi. L’oggetto del contendere è dunque la vita delle
persone. Nemmeno B. avrebbe la faccia di sostenere che i giudici stiano
perseguendo un progetto eversivo di lotta alla politica per via
giudiziaria; in questo caso opponendosi (perché poi?) a fantomatici
progetti industriali. Ma Catricalà vuole proporre un
conflitto avanti alla Corte Costituzionale perché rimuova gli
illegittimi ostacoli frapposti dalla magistratura al progetto del
governo. Nonostante autorevoli precedenti, l’iniziativa muoverebbe al
riso; se non rivelasse una cultura ispirata a disprezzo per i più
elementari principi costituzionali; alludo, ovviamente, alla separazione
tra il potere esecutivo e quello giudiziario. Se i provvedimenti dei
giudici sono sbagliati, la via per correggerli è quella giudiziaria: un
primo ricorso è stato respinto; altro è possibile avanti alla Corte di
Cassazione: lo propongano e stiano a vedere.
Si tratta della vita
delle persone; non dell’obbligo di Ilva di procedere al risanamento
dello stabilimento. Non è compito dei giudici imporre misure di questo
genere: essi infliggono sanzioni per la violazione di norme (per esempio
di quelle in materia ambientale e antinfortunistica) e impediscono, con
il sequestro, il perpetuarsi dei reati. Se poi la proprietà non intende
adeguare lo stabilimento alle norme di legge, questo non è un problema
della magistratura. Semplicemente, finché lo stabilimento non è a norma,
lì dentro non si può lavorare. Clini potrebbe risolvere la situazione
prendendo a prestito i sistemi di B: una legge che innalzi i limiti
entro i quali la produzione di veleno è lecita e che tramuti Ilva in uno
stabilimento perfetto. Invece si arrampica sui vetri sostenendo che
Ilva ha ammazzato; e che ammazza ancora, ma non poi tanto. Proponga una legge che dica che è lecito ammazzare poco. Severino
imita Napolitano e chiede gli atti al gip. Per farne cosa non si sa.
Certo il ministro della Giustizia non può né annullarli né modificarli.
Quando ben bene se li sia letti, le cose resteranno come sono. Può
avviare un procedimento disciplinare, questo sì; il che, al momento
sembra essere l’attività preferita dalla politica pescata con le mani
nel sacco. Sanno, naturalmente, che si tratta di procedimenti infondati
ma confidano nell’intimidazione. E ignorano (ma non è
strano vista la loro formazione culturale – diciamo così) che i
magistrati non collusi con il potere non si lasciano intimidire; gli
altri, naturalmente, obbediscono spontaneamente. Sfortunatamente, tra i
magistrati che si occupano di Ilva, di questa seconda categoria non ce
n’è.
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