giovedì 30 agosto 2012

L’autoritarismo politico e il capitalismo da casinò di Henry A. Giroux



Gli Stati Uniti sono entrati in una nuova era storica marcata da un crescente disinvestimento dallo stato sociale, dai beni pubblici e dalla moralità civica. Le questioni di politica, potere, ideologia, governo, economia ora si traducono, senza alcun tono di scusa, in un disinvestimento sistemico dalle istituzioni e dalle politiche che favorisce il crollo delle sfere pubbliche che tradizionalmente assicuravano condizioni minime di giustizia sociale, dissenso e espressione democratica. Il neoliberalismo, o quello che potrebbe essere chiamato il capitalismo da casinò, è diventato la nuova normalità. Sfrontato nella sua pretesa di potere finanziario, autoregolamentazione e della sopravvivenza del sistema di valori dei più adatti, il neoliberalismo non solo erode la cultura formativa necessaria per produrre cittadini critici e le sfere pubbliche che li nutrono, esso facilita anche le condizioni per produrre un bilancio della difesa e un sistema industrial-carcerario rigonfi, degrado ambientale e l’emergere della “finanza come un’industria criminalizzata e canaglia” [i]. E’ chiaro che un autoritarismo emergente infesta una democrazia sdentata ora modellata e strutturata in larga misura dalle grandi imprese. Il denaro domina la politica, il divario tra i ricchi e i poveri sta esplodendo, gli spazi urbani stanno diventando campi di battaglia, il militarismo sta strisciando in una sfaccettatura della vita pubblica e le libertà civili sono fatte a brandelli. La politica neoliberista della competizione ora domina le politiche che definiscono le sfere pubbliche, come le scuole, consentendo che esse siano spogliate del progetto civico e democratico e siano trasferite alla logica del mercato. Disgraziatamente non è la democrazia bensì l’autoritarismo che resta in ascesa negli Stati Uniti mentre ci inoltriamo nel ventunesimo secolo.
Le elezioni presidenziali statunitensi del 2012 si presentano come momento centrale di questa trasformazione che abbandona la democrazia, un momento in cui i settori e le forze formative culturali e politiche – compresa la retorica utilizzata dai candidati all’elezione – sembrano saturi di celebrazioni della guerra e del Darvinismo Sociale. Conseguentemente la possibilità di una dirigenza sempre più autoritaria ed eticamente disfunzionale alla Casa Bianca nel 2013 ha certamente attirato l’attenzione di numerosi liberali e altri progressisti negli Stati Uniti. La politica statunitense in generale, e le elezioni del 2012 in particolare, rappresentano una sfida per i progressisti le cui voci, negli anni recenti, sono state sempre più escluse sia dai media convenzionali sia dai corridoi del potere politico. I media, invece, hanno messo in scena la visione apocalittica dei guerrieri fondamentalisti del Partito Repubblicano, che sembrano fissati nel tradurre temi in precedenza considerati non religiosi – come l’orientamento sessuale, l’istruzione, l’identità e la partecipazione alla vita pubblica – nel linguaggio della rinascita della religione e della crociata militante contro il male.
Come altro spiegare la dichiarazione del candidato Repubblicano alla vicepresidenza, Paul Ryan, che la lotta per il futuro è una “lotta dell’individualismo contro il collettivismo”, con il suo richiamo alla retorica della guerra fredda e del maccartismo degli anni ’50? O l’affermazione di Rick Santorum che “il presidente Obama sta rendendo gli Stati Uniti schiavi della “dipendenza dai narcotici governativi”, promuovendo l’idea che il governo non abbia la responsabilità di mettere a disposizione reti di sicurezza per i poveri, gli invalidi, i malati e gli anziani. Qui c’è all’opera qualcosa di più di una semplice versione potenziata del darwinismo sociale con la sua etica selvaggiamente crudele del “ricompensare i ricchi, penalizzare i poveri e lasciare che tutti se la cavino da soli” [ii]; c’è anche un attacco a pieno campo al contratto sociale, allo stato assistenziale, all’uguaglianza economica e a ogni vestigio vitale della responsabilità morale e sociale. L’appropriazione da parte di Romney-Ryan dell’ode all’egoismo e all’interesse privato di Ayn Rand è di particolare importanza perché offre uno squarcio della forma crudele del capitalismo estremo, in cui i poveri sono considerati “scrocconi”, visti con disprezzo e scelti per essere puniti. Ma questa ideologica economica fondamentalista teocratica fa di più. Distrugge ogni idea vitale della virtù civica in cui il contratto sociale e il bene comune costituiscono la base per creare legami sociali significativi e per instillare nei cittadini un senso di responsabilità civica e sociale. L’idea di servizio pubblico è vista con disdegno proprio come è disprezzato il lavoro di singoli, gruppi sociali e istituzioni che beneficiano la cittadinanza in generale. Come segnalano George Lakoff e Glenn W. Smith, il capitalismo da casinò crea una cultura di crudeltà: “con effetti orribili su decessi dei singoli, malattie, sofferenza o maggiore povertà e perdita di opportunità, di vita produttiva e di denaro [iii]”. Ma [l’ideologia economica] fa più che limitarsi a distruggere ogni idea vitale del bene comune e della vita pubblica spezzando “i legami che ci tengono uniti” [iv]. Nel capitalismo da casinò gli spazi, le istituzioni e i valori che costituiscono ciò che è pubblico sono ora presi d’assedio da potenti forze finanziarie e considerati semplicemente come un altro mercato da mercificare, privatizzare e costringere alla resa alle pretese del capitale. Con al potere zeloti religiosi e mossi dal mercato, la politica diviene un’estensione della guerra; l’avidità e l’egoismo calpestano ogni preoccupazione per il benessere degli altri; la ragione è calpestata da emozioni radicate nelle certezze assolutistiche e nell’aggressione militare; e lo scetticismo e il dissenso sono considerati opera di Satana.
Se la gara per la candidatura Repubblicana del 2012 è un qualche indizio, allora il dibattito politico negli Stati Uniti non solo si è spostato a destra ma è andato introducendo valori e ideali totalitari nella normalità della vita pubblica. Il fanatismo religioso, la cultura consumistica e lo stato di belligeranza operano in tandem con le forze economiche neoliberali per incoraggiare la privatizzazione, le esenzioni fiscali alle imprese, una crescente disuguaglianza di reddito e di ricchezza e l’ulteriore fusione delle sfere finanziarie e militari in modi che sminuiscono l’autorità e il potere del governo democratico [v]. Gli interessi neoliberali a liberare i mercati dalle costrizioni sociali, ad alimentare la competitività, a distruggere i sistemi d’istruzione, a produrre soggetti atomizzati e a sciogliere gli individui da ogni senso di responsabilità sociale preparano la popolazione e un lento abbraccio del darwinismo sociale, del terrorismo di stato e della mentalità bellicista, in misura non minore distruggendo i legami comunitari, disumanizzando l’altro e mettendo gli individui contro le comunità che abitano.
Le tentazioni autoritarie ora saturano i media e la cultura più in generale con il linguaggio dell’austerità come ortodossia politica ed economica. Ciò cui stiamo assistendo negli Stati Uniti è la normalizzazione di una politica che stermina non solo lo stato assistenziale, e la verità, ma tutti quelli che sono macchiati dal peccato dell’Illuminismo, cioè quelli che rifiutano una vita libera da dubbi. La ragione e la libertà sono diventate nemici non semplicemente da irridere, ma da distruggere. E questa è una guerra le cui tendenze totalitarie sono evidenti nell’aggressione alla scienza, agli immigrati, alle donne, agli anziani, ai poveri, alla gente di colore e ai giovani. Quel che troppo spesso passa sotto silenzio, in particolare con la concentrazione dei media sulla retorica incendiaria, è che quelli che dominano la politica e il relativo processo decisionale, Democratici o Repubblicani, lo fanno in larga misura grazie al loro sproporzionato controllo sul reddito e la ricchezza della nazione. Appare sempre più che questa élite politica sceglie di agire in modi che sostengono il suo dominio mediante la riproduzione sistematica di un ordine sociale iniquo. In altre parole, l’alta finanza e il potere delle imprese governano mentre la politica elettorale è manipolata. La segretezza della cabina elettorale diviene l’ultima espressione della democrazia, riducendo la politica a un acquisto individuale, una forma cruda di atto economico. Qualsiasi forma politica disponibile a investire in una simile parata ritualistica non fa che accrescere l’attuale natura disfunzionale del nostro ordine sociale, rafforzando allo stesso tempo una profonda mancanza d’immaginazione politica. Il problema non dovrebbe essere più come operare all’interno dell’attuale sistema elettorale, bensì come smantellarlo e costruire un nuovo paesaggio politico capace di rivendicare l’equità, la giustizia e la democrazia per tutti i suoi abitanti. L’appello un tempo ispiratore di Obama alla speranza è degenerato in una fuga dalla responsabilità. L’amministrazione Obama ha operato per ampliare le politiche che hanno fatto a pezzi le libertà civili, esteso il permanente stato di guerra e aumentato la portata nazionale dello stato punitivo di sorveglianza. E se Romney e la sua corte ideologica, ora vista come la fazione più estremista del Partito Repubblicano, saliranno al potere, certamente le attuali tendenze totalitarie e antidemocratiche all’opera negli Stati Uniti si intensificheranno pericolosamente.
Un catalogo delle prove d’accusa rivela la profondità e la portata della guerra scatenata contro lo stato sociale e in particolare contro i giovani. Oltre a denunciare la depravazione morale di una nazione che non protegge i propri giovani, tale guerra esprime nulla di meno di un perverso desiderio di morte, un desiderio appena mascherato di autodistruzione, così come la deliberata distruzione di un’intera generazione non solo trasforma la politica statunitense in una patologia, ma è certa di suonare la campana a morto per il futuro degli Stati Uniti. Quanto a lungo dovrà attendere il pubblico statunitense perché l’incubo finisca?
E’ importante avere consapevolezza degli elementi materiali e culturali che hanno prodotto queste condizioni profondamente antidemocratiche; tuttavia semplicemente non basta. La reazione collettiva, qui, deve comprendere un rifiuto di adeguarsi all’attuale dibattito politico di compromesso e accomodamento, pensare ben oltre il discorso sulle facili concessioni e portare avanti lotte sui terreni mutualmente informati dell’alfabetizzazione, dell’educazione e del potere civici. Il rifiuto delle forme tradizionali di mobilitazione politica deve essere accompagnato da un dibattito politico nuovo, che sveli le prassi celate del dominio neoliberale sviluppando allo stesso tempo modelli rigorosi di riflessione critica e forme nuove d’impegno intellettuale e sociale.
Tuttavia l’attuale momento storico sembra in totale svantaggio per creare un grande movimento sociale capace di affrontare la natura totalitaria e i costi sociali di un fondamentalismo religioso e politico che si sta fondendo con un estremo fondamentalismo del mercato. In questo caso, un fondamentalismo la cui idea di libertà non va oltre il personale utile finanziario e il consumismo infinito. In circostanze simili i progressisti dovrebbero concentrare le proprie energie nella collaborazione con il movimento Occupy e con altri movimenti sociali per sviluppare un nuovo linguaggio di riforma radicale e per creare nuove sfere pubbliche che rendano possibili il pensiero critico e l’agire impegnato che sono le fondamenta stesse di una democrazia davvero partecipativa e radicale. Tale progetto deve operare per sviluppare vigorosi programmi educativi, modalità di comunicazione pubblica e comunità che promuovano una cultura decisionale, di pubblico dibattito e di scambio critico su un’ampia varietà di sedi culturali e istituzionali. In definitiva deve concentrarsi sull’obiettivo finale di generale quelle culture formative e sfere pubbliche che sono le precondizioni per l’impegno politico e vitali per dare energia ai movimenti democratici per il cambiamento sociale, movimenti disponibili a pensare oltre i limiti di un capitalismo globale selvaggio. La pedagogia in questo senso diviene centrale per ogni idea concreta del fare politica e deve essere considerata un elemento cruciale della resistenza organizzata e delle lotte collettive. Gli elementi profondamente regressivi del neoliberismo costituiscono sia una prassi pedagogica sia una funzione legittimatrice di un ordine sociale profondamente oppressivo. Relazioni pedagogiche che facciano scomparire il potere del capitalismo da casinò vanno scoperte e messe alla prova. In circostanze simili la politica diviene trasformativa piuttosto che accomodante e mira ad abolire un sistema capitalista marcato da enormi disuguaglianze economiche, sociali e culturali. Una politica che sveli le aspre realtà imposte dal capitalismo da casinò dovrebbe operare anche in direzione della creazione di una società in cui le questioni della giustizia, dell’uguaglianza e della libertà siano avvertite come fondamenta cruciali di una democrazia concreta.
Anziché investire nella politica elettorale, sarebbe più valido per i progressisti sviluppare condizioni formative che rendano possibile una democrazia reale. Come ha suggerito Angela Davis, ciò significa impegnarsi “in difficili processi di costruzione di coalizioni, nel negoziare il riconoscimento di cui le comunità e i temi sono in lotta [e raccogliersi] in un’unità che non sia semplicistica e oppressiva, bensì complessa ed emancipativa, riconoscendo, nelle parole di June Giordan, che ‘noi siamo quelli che aspettavamo’”. [vi] Sviluppare un movimento sociale con una base vasta significa trovare un terreno comune sul quale lo sfidare le diverse forme di oppressione, sfruttamento ed esclusione possa diventare parte di uno sforzo più vasto per creare una democrazia radicale.
In parte questo significa rivendicare un discorso di etica e moralità, elaborando un nuovo modello di politica democratica e sviluppando nuovi concetti analitici per capire e impegnarsi nel concetto del sociale. Una possibilità di sviluppare una politica critica e trasformativa potrebbe trarre lo spunto dai giovani dimostranti di tutto il mondo e sviluppare nuovi modi per sfidare i valori industriali che modellano la politica statunitense e, sempre più, quella globale. E’ in special modo cruciale offrire valori alternativi che contrastino le ideologie informate al mercato che fanno corrispondere la libertà all’individualismo radicale, all’egoismo, all’iper-competitività, alle privatizzazioni e alle deregolamentazioni, minando al tempo stesso i legami sociali, il bene pubblico e lo stato assistenziale. Tali azioni possono essere ulteriormente intraprese reclutando giovani, insegnanti, attivisti sindacali, leader religiosi e altri cittadini impegnati affinché diventino intellettuali pubblici disponibili a utilizzare le loro competenze e il loro sapere per rendere visibile come opera il potere e per affrontare importanti temi sociali e politici. Naturalmente il pubblico statunitense ha necessità di fare di più che solo parlare. Deve anche riunire educatori, studenti, lavoratori e chiunque altro sia interessato alla democrazia reale per creare un movimento sociale, un movimento ben organizzato capace di cambiare i rapporti di potere e le vaste disuguaglianze economiche che hanno creato le condizioni per la violenza simbolica e sistemica della società statunitense.
Affrontare sfide di questo genere suggerisce che i progressisti dovranno invariabilmente assumere il ruolo di attivisti dell’educazione. Un’opzione consisterebbe nel creare microsfere di educazione pubblica che promuovano modi di apprendimento critico e di attivismo civico e mettano così i giovani e altri in condizioni di apprendere come dovrebbe essere piuttosto amministrato il governo. Ciò può essere realizzato attraverso una rete di spazi educativi gratuiti tra le diverse comunità di fede e le scuole pubbliche, così come in organizzazioni laiche e religiose affiliate a istituzioni di istruzione superiore.
Questi nuovi spazi educativi concentrati sul coltivare sia il dialogo sia l’azione nell’interesse pubblico possono guardare a modelli del passato nelle istituzioni sviluppate dai socialisti, dai sindacati e dagli attivisti per i diritti civili agli inizi del ventesimo secolo e più tardi negli anni ’50 e ’60. Tali scuole hanno rappresentato sfere pubbliche d’opposizione e funzionato da sfere pubbliche democratiche nel miglior senso educativo e hanno spaziato dalle prime reti di scuole domenicali radicali al successivo College Sindacale di Brookwood e alla Scuola Popolare Highlander nel Tennessee. Stanley Aaronowitz insiste giustamente sul fatto che l’attuale “sistema sopravvive grazie all’eclisse dell’immaginazione radicale, all’assenza di un’opposizione politica vitale con radici nella popolazione generale e al conformismo dei propri intellettuali che, in larga misura, sono soggiogati da porti sicuri nel mondo accademico, posti di lavoro meno sicuri nelle imprese del settore privato e istituzioni del centro e del centrosinistra.” [vii]. In un periodo in cui il pensiero critico è stato appiattito diviene imperativo sviluppare un discorso di critica e di possibilità, che riconosca che, senza una cittadinanza informata, la lotta collettiva e movimenti sociali dinamici, la speranza di una futura democrazia vitale scivolerà fuori portata.
Henry A. Giroux detiene la cattedra di Global TV Network in inglese e di Studi Culturali presso l’Università McMaster in Canada. I suoi libri più recenti includono: “Take Back Higher Education” (co-autore con Susan Searls Giroux, 2006) [Riprendiamoci l’istruzione superiore], “The University in Chains: Confronting the Military-Industrial-Academic Complex” (2007) [L’Università in catene: affrontare il compresso militare-industriale-accademico] e “Against the Terror of Neoliberalism: Politics Beyond the Age of Greed” (2008) [Contro il terrore del neoliberalismo: la politica oltre l’era dell’avidità]. Il suo libro più recente è Twilight of the Social: Resurgent Publics in the Age of Disposability,” (Paradigm.) [Crepuscolo del sociale: pubblici che risorgono nell’era della spendibilità].
 
Note
[i]. Charles H. Ferguson, Predator Nation (New York: Crown Press, 2012), p.21. Vedere, ad esempio, Bill McKibben, The End of Nature (New York: Random House, 2006); Chalmers Johnson, Dismantling the Empire: America’s Last Hope (New York: Metropolitan Books, 2010); Angela Davis, Are Prisons Obsolete? (New York: Seven Stories Press, 2003);
[ii] Robert Reich, “Romney-Ryan Will Bring Back Social Darwinism,” The Kansas City Star (14 agosto 2012). In rete: http://www.kansascity.com/2012/08/14/3762436/robert-b-reich-romney-ryan-will.html
[iii] George Lakoff e Glenn W. Smith, “Romney, Ryan and the Devil’s Budget,” Huffington Post (22 agosto 2012). In rete:
http://www.huffingtonpost.com/george-lakoff/romney-ryan-and-the-devil_b_1819652.html
[iv] Ibid.
[v] Vedere Jeffrey R. Di Leo, Henry A. Giroux, Sophia A. McClennen, e Kenneth J. Saltman, Neoliberalism, Education, Terrorism,: Contemporary Dialogues (Boulder: Paradigm, 2012).
[vi] Angela Davis, “The 99%: a community of resistance,” The Guardian, (15 novembre 2011)
[vii] Stanley Aronowitz, “The Winter of Our Discontent,” Situations, IV, no.2, (Primavera 2012). p. 68.
Fonte: http://www.zcommunications.org/authoritarian-politics-in-the-age-of-casino-capitalism-by-henry-a-giroux
Originale: Counterpunch
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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