venerdì 10 agosto 2012

Contro la crisi economica e ambientale la ricetta è l'equità

 
Per cambiare le cose nel senso della sostenibilità serve più impegno dei governi, ma anche di amministrazini locali, imprese e cittadini e imparare dai buoni esempi. E poi nuovi indicatori per capire: il Pil non basta più, non valuta l'incredibile sperequazione in atto. Qualenergia.it intervista Izaak Van Melle del WorldWatch Institute.
 
Un articolo pubblicato su Qualenergia.it il 16 gennaio scorso.
Il futuro dell'Europa è sospeso tra la crisi economica e quella ambientale. Le azioni individuali e le politiche pubbliche sono essenziali per portarci verso una società più sostenibile ambientalmente ed economicamente. Questa è la visione del Worldwatch Institute, così come la racconta a QualEnergia.it, Izaak Van Melle, ex presidente dell'istituto e oggi impegnato nelle attività della sezione europea.
Il Worldwatch Institute ha di recente pubblicato una strategia in 12 passi per un 2012 verde.  Si tratta di scelte quotidiane. Pensa che le azioni individuali possano sopperire alla mancanza di politiche internazionali?
Le scelte personali e le politiche internazionali sono egualmente importanti. Ma su entrambi i fronti credo manchi l'urgenza. Per cambiare davvero le nostre abitudini e cominciare a usare in modo efficiente energia e risorse, sia i cittadini che i governi devono agire. Ma i governi spesso non fanno abbastanza, ne sono un esempio gli USA. Una buona notizia sta nel mezzo: a volte governi locali, città e compagnie private prendono il tipo di iniziative che ci aspetteremmo dai governi nazionali e vanno verso la sostenibilità. Negli USA per esempio, mentre il governo federale è bloccato a causa dell'opposizione nel Congresso, a livello locale le cose stanno cambiando.
Quali sono gli elementi chiave per una decarbonizzazione dell'Europa? Serve una politica comune?
É importante che si raggiunga un accordo internazionale. Paragonata al resto del mondo, l'Europa sta facendo abbastanza bene. Per esempio tassare le compagnie aeree per le emissioni di CO2 è una buona misura per cominciare, anche se ancora troppo leggera. Anche la rete elettrica internazionale che vogliono predisporre in tutta Europa renderebbe la diffusione, l'uso e il trasporto delle rinnovabili molto più fattibili. Il problema è che l'Europa è una federazione di Stati e quindi il potere è limitato.
La politica del 20-20-20 è il tipo di iniziativa di cui abbiamo bisogno?
Quella è una buona politica perché parla all'immaginazione di molte persone. Anche governi che sono lontani dalla sostenibilità sentono di dover fare qualcosa altrimenti avranno problemi a Bruxelles. Dalle iniziative europee viene una pressione nella direzione della sostenibilità.
Ma se l'Europa fosse in grado di diminuire le proprie emissioni solo perché sta spostando la produzione industriale verso paesi in via di sviluppo?
Delocalizzare, ovviamente, non è una soluzione perché si sposta anche l'inquinamento. Potremmo migliorare molto cercando di monitorare le importazioni di quei beni non sostenibili o prodotti in modo non sostenibile. Per esempio il legname o il pesce. Possiamo fare molto per avere una migliore conoscenza delle importazioni da paesi che non hanno leggi rigide sull'ambiente. In parte lo stiamo già facendo, ma c'è una grande opposizione da parte della World Trade Organization che spinge per il libero commercio e non è disposta ad accettare l'imposizione di limiti solo per ragioni di sostenibilità.
L'Europa sta affrontando una pesante crisi economica. Pensa che gli obiettivi di sostenibilità possano contribuire alla soluzione della crisi?
Sì. Di recente ho letto un articolo in cui si sosteneva che Obama dovrebbe vendere meglio i lavori verdi all'opinione pubblica, invece che, per esempio, costruire quel controverso oleodotto dal Canada agli USA. Quell'opera porta qualche migliaia di posti di lavoro, ma Obama potrebbe far capire alla gente che sviluppare le rinnovabili su larga scala porta molta più occupazione. C'è una forte connessione tra la crisi economica e ambientale. Per esempio noi importiamo petrolio, ma se invece producessimo la nostra energia con le rinnovabili questo creerebbe lavoro. In alcuni paesi europei sta già succedendo: il Regno Unito e la Germania oggi usano i cantieri navali non per costruire navi ma per realizzare pale per l'eolico offshore. C'è bisogno di tanto personale tecnico e al momento non ce n'è abbastanza.
Dovremmo cominciare a cambiare i criteri con cui valutiamo il benessere delle nostre società?
Il Pil non basta più. Non è giusto dividere il prodotto totale dei paesi per il numero di persone. È molto più importante guardare al modo in cui le rendite dei paesi sono divise tra i cittadini. La differenza tra ricchi e poveri negli Stati Uniti è aumentata troppo negli ultimi decenni. É un dramma e una vergogna per un paese così ricco. Sono molto a favore di un cambiamento di criteri che possa incorporare la distribuzione del benessere, la diffusione dell'assistenza medica e dell'educazione. 
Pensa che nel futuro dell'Europa ci sia una società più ingiusta?
Stiamo assistendo a un certo irrigidimento. Per esempio sta diventando più facile licenziare il che, in una certa misura, è giusto perché eravamo arrivati a un punto in cui era impossibile licenziare anche se i lavoratori non erano affatto produttivi. Tuttavia l'Europa si sta comportando ancora relativamente bene. Ma potremmo fare di meglio: se i cittadini hanno dei benefit, potremmo chiedere loro di dare qualcosa in cambio, di dare il loro contributo alla società. Ma questo non sta avvenendo.
Quale sarà la sfida più urgente che dovremo affrontare nei prossimi decenni?
La questione più pressante è la bomba demografica. Ogni anno aggiungiamo 70 milioni di persone a questo Pianeta. Ho viaggiato molto e ho visto la pressione di troppe persone su un pezzo di terra troppo piccolo. L'Oriente sta crescendo in modo impressionante. Nella regione del Nilo ci sono 80 milioni di persone, mentre ce ne erano 50 milioni nel recente passato: la quantità di terra disponibile però è rimasta la stessa. Se la popolazione continuerà a crescere a questo ritmo sarà come un cancro. Ucciderà le aree circostanti e alla fine se stessa.
Cosa possiamo fare?
La crescita della popolazione può essere controllata, come ha fatto la Cina. Purtroppo la religione, specialmente Islam e Cristianesimo, ci impediscono di farlo. Non sono molto ottimista. Persone come il Papa, sono intellettuali, persone istruite, dovrebbero fare meglio, dovrebbero stare più attenti a quello che comunicano.
Quanto è importante l'educazione dei cittadini?
É molto importante, in particolare l'educazione delle donne. Non appena le donne ricevono un maggiore spazio di manovra, più libertà e un'educazione migliore, possono portare enormi cambiamenti nel mondo. Se guardiamo al mondo arabo, quasi metà della popolazione è di sesso femminile, ma non sta contribuendo attivamente alla società. E questa è una vergogna.

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