La prevalenza di Matteo Renzi tra gli iscritti al Pd nella corsa alla segreteria di quel partito costituisce un colpo al cuore del sistema politico strutturatosi nell’ultimo ventennio, e segue a distanza di appena un anno l’altro grande sintomo di quella crisi, l’affermazione della lista di Beppe Grillo alle elezioni politiche.
Che tra le due personalità politiche ci sia più di una affinità lo hanno colto molti osservatori: basti pensare che le inchieste sono unanimi nell’affermare che la scalata di Renzi ai vertici del Pd contribuirà ad essiccare l’acqua in cui nuota il pesce grillino. Tra tutte le similitudini tra le due vicende politiche, ve ne è tuttavia una che ha, all’apparenza, del paradossale: sia il partito di sinistra, geneticamente modificato da Renzi, che il M5S attingerebbero il proprio bacino di consenso da due culture inconciliabili, quella dei delusi dalla sinistra tradizionale (di matrice addirittura comunista) e dal berlusconismo. Che ciò si produca indica un panorama politico impazzito; e tuttavia le radici di questa «follia» possono essere razionalmente rintracciate nella nostra recentissima storia politica.
A partire dai primissimi anni Novanta si è passati, in Italia almeno, da una democrazia «orizzontale» a una «verticale». Il modello «orizzontale» del Novecento europeo è un modello in cui interessi appunto orizzontali, contrapposti nella società, trovano espressione in partiti, movimenti, o anche singole personalità che se ne fanno interpreti nell’agone politico. Non si tratta di un modello assolutizzante, per cui si verificano al suo interno vistose osmosi – la working class Tory inglese, l’imprenditore comunista emiliano… La contrapposizione di questi interessi struttura vistosamente il sistema politico della nostra «prima Repubblica».
A partire dagli anni Ottanta, tuttavia, una serie di macro-fenomeni sociali, accompagnati da scelte soggettive dei gruppi dirigenti, in specie della sinistra, contribuiscono a «periferizzare» gli interessi degli strati orizzontali inferiori, quando non lo stesso protagonismo politico dei loro esponenti. I luoghi e i riti della partecipazione alla politica dei ceti subalterni perdono di peso e di senso. Questi fenomeni profondi favoriscono e accompagnano il mutamento di paradigma che si produce negli anni Novanta, per cui i due poli che si confrontano si fanno portatori di interessi «verticali».
Oggi essi afferiscono entrambi a parti di gruppi dirigenti tradizionali, che menano le danze quasi a prescindere dallo scontro politico in atto – facilitati in questo dal trasferimento dei poteri decisionali dalle assemblee elettive a una tecnocrazia democraticamente irresponsabile. Si può a buon diritto argomentare a favore di una maggiore sensibilità civile e di un maggior cosmopolitismo di quella parte dei gruppi dirigenti di cui il centro-sinistra si è fatto espressione, ma poco cambia ai fini dell’argomentazione. Non è un caso che l’ultimo ventennio, pur contraddistinto da lunghi periodi di governi di centro-sinistra, sia stato marcato da un gigantesco spostamento di denaro (e di potere) dal salario diretto e indiretto al capitale e alla rendita. Il consenso di massa attorno a questo sistema di per sé elitario è mantenuto attraverso il meccanismo «verticale» della clientela – intesa in senso politico, non moralistico: spezzoni di società, che agiscono come somma di individui o tutt’al più come clan, che traggono il proprio sostentamento dalla vittoria dell’uno o dell’altro schieramento.
L’esplosione della Crisi ha inceppato questo meccanismo, dal momento che ha impedito ai gruppi dirigenti di assicurarsi il consenso dei «clienti» (emblematica la necessità di rinunciare allo strumento della Consulenza e del Condono fiscale). Gli esclusi dal meccanismo verticale hanno così iniziato a rispondere sul piano politico o con l’astensione, o con l’appoggio a movimenti e personalità che ne rivendicavano la rappresentanza. Si formano così, attorno ai leader «nuovisti», blocchi sociali eterogenei in lotta contro il sistema politico assodato: disoccupati e precari, giovani altamente formati, lavoratori dipendenti sono attratti dalle sirene di chi si scaglia contro manodopera occupata, pensionati e grandi industriali, genericamente accomunati dall’etichetta di «garantiti».Renzi e Grillo, gli homines novi cui ci si rivolge, assediano il palazzo della larghe intese, asserragliate a difesa dell’esistente. I grandi organi di stampa, legati a doppio filo con interessi reali ben determinati, se ne accorgono per tempo, e pompano il fenomeno per non giungere impreparati alla nuova transizione. Ciò che si vuole assicurare è il perpetuarsi del modello «verticale», che sotto la coltre di una dialettica aspra mantiene inalterata la funzione dirigente dei gruppi di potere tradizionale. È probabile che l’attuale sistema politico verrà definitivamente travolto, oppure salvato dall’apatia di massa espressa nell’astensione.
La sinistra sembra aver imboccato la via più facile, quella di legittimarsi tirando a campare e a riciclarsi nel nuovo scenario. Per ritrovare le proprie ragioni, tuttavia, sarebbe più produttivo, ancorché di gran lunga più difficile, che essa si desse a un lavoro di lunga lena di scomposizione dei meccanismi verticali di conflitto e di ricomposizione di quelli orizzontali, per elaborare una via d’uscita convincente alla crisi sociale e a quella del sistema politico.
Che tra le due personalità politiche ci sia più di una affinità lo hanno colto molti osservatori: basti pensare che le inchieste sono unanimi nell’affermare che la scalata di Renzi ai vertici del Pd contribuirà ad essiccare l’acqua in cui nuota il pesce grillino. Tra tutte le similitudini tra le due vicende politiche, ve ne è tuttavia una che ha, all’apparenza, del paradossale: sia il partito di sinistra, geneticamente modificato da Renzi, che il M5S attingerebbero il proprio bacino di consenso da due culture inconciliabili, quella dei delusi dalla sinistra tradizionale (di matrice addirittura comunista) e dal berlusconismo. Che ciò si produca indica un panorama politico impazzito; e tuttavia le radici di questa «follia» possono essere razionalmente rintracciate nella nostra recentissima storia politica.
A partire dai primissimi anni Novanta si è passati, in Italia almeno, da una democrazia «orizzontale» a una «verticale». Il modello «orizzontale» del Novecento europeo è un modello in cui interessi appunto orizzontali, contrapposti nella società, trovano espressione in partiti, movimenti, o anche singole personalità che se ne fanno interpreti nell’agone politico. Non si tratta di un modello assolutizzante, per cui si verificano al suo interno vistose osmosi – la working class Tory inglese, l’imprenditore comunista emiliano… La contrapposizione di questi interessi struttura vistosamente il sistema politico della nostra «prima Repubblica».
A partire dagli anni Ottanta, tuttavia, una serie di macro-fenomeni sociali, accompagnati da scelte soggettive dei gruppi dirigenti, in specie della sinistra, contribuiscono a «periferizzare» gli interessi degli strati orizzontali inferiori, quando non lo stesso protagonismo politico dei loro esponenti. I luoghi e i riti della partecipazione alla politica dei ceti subalterni perdono di peso e di senso. Questi fenomeni profondi favoriscono e accompagnano il mutamento di paradigma che si produce negli anni Novanta, per cui i due poli che si confrontano si fanno portatori di interessi «verticali».
Oggi essi afferiscono entrambi a parti di gruppi dirigenti tradizionali, che menano le danze quasi a prescindere dallo scontro politico in atto – facilitati in questo dal trasferimento dei poteri decisionali dalle assemblee elettive a una tecnocrazia democraticamente irresponsabile. Si può a buon diritto argomentare a favore di una maggiore sensibilità civile e di un maggior cosmopolitismo di quella parte dei gruppi dirigenti di cui il centro-sinistra si è fatto espressione, ma poco cambia ai fini dell’argomentazione. Non è un caso che l’ultimo ventennio, pur contraddistinto da lunghi periodi di governi di centro-sinistra, sia stato marcato da un gigantesco spostamento di denaro (e di potere) dal salario diretto e indiretto al capitale e alla rendita. Il consenso di massa attorno a questo sistema di per sé elitario è mantenuto attraverso il meccanismo «verticale» della clientela – intesa in senso politico, non moralistico: spezzoni di società, che agiscono come somma di individui o tutt’al più come clan, che traggono il proprio sostentamento dalla vittoria dell’uno o dell’altro schieramento.
L’esplosione della Crisi ha inceppato questo meccanismo, dal momento che ha impedito ai gruppi dirigenti di assicurarsi il consenso dei «clienti» (emblematica la necessità di rinunciare allo strumento della Consulenza e del Condono fiscale). Gli esclusi dal meccanismo verticale hanno così iniziato a rispondere sul piano politico o con l’astensione, o con l’appoggio a movimenti e personalità che ne rivendicavano la rappresentanza. Si formano così, attorno ai leader «nuovisti», blocchi sociali eterogenei in lotta contro il sistema politico assodato: disoccupati e precari, giovani altamente formati, lavoratori dipendenti sono attratti dalle sirene di chi si scaglia contro manodopera occupata, pensionati e grandi industriali, genericamente accomunati dall’etichetta di «garantiti».Renzi e Grillo, gli homines novi cui ci si rivolge, assediano il palazzo della larghe intese, asserragliate a difesa dell’esistente. I grandi organi di stampa, legati a doppio filo con interessi reali ben determinati, se ne accorgono per tempo, e pompano il fenomeno per non giungere impreparati alla nuova transizione. Ciò che si vuole assicurare è il perpetuarsi del modello «verticale», che sotto la coltre di una dialettica aspra mantiene inalterata la funzione dirigente dei gruppi di potere tradizionale. È probabile che l’attuale sistema politico verrà definitivamente travolto, oppure salvato dall’apatia di massa espressa nell’astensione.
La sinistra sembra aver imboccato la via più facile, quella di legittimarsi tirando a campare e a riciclarsi nel nuovo scenario. Per ritrovare le proprie ragioni, tuttavia, sarebbe più produttivo, ancorché di gran lunga più difficile, che essa si desse a un lavoro di lunga lena di scomposizione dei meccanismi verticali di conflitto e di ricomposizione di quelli orizzontali, per elaborare una via d’uscita convincente alla crisi sociale e a quella del sistema politico.
Nessun commento:
Posta un commento