Sembra sia finita la recita a soggetto tra i partiti di
governo sul “pacchetto lavoro”. Una recita a beneficio dei tanti che si
perdono nei dettagli e non vedono più l'insieme; una recita per
consentire a qualche corrente di avere visibilità e disegnarsi un ruolo
meno infame (la “sinistra del Pd” eccelle in questo giochino).
Il decreto lavoro all'esame della Commissione lavoro in Senato è
stato perciò riscritto da otto emendamenti presentati dallo stesso
governo; e tutti – a partire da Renzi – giurano che ora il testo è
“blindato”.
Un esame anche superficiale del nuovo testo rivela che ben poco è
cambiato nella logica del provvedimento, tutta orientata a
“flessibilizzare” i rapporti di lavoro e consentire alle imprese di
manovrare i dipendenti come una “materia prima” del ciclo produttivo: la
si ordina quando serve, la si butta via quando non è indispensabie.
Senza impegni e senza “responsabilità”.
“A sinistra” (nel Pd) si parla di “vittoria” per aver ottenuto il
limite del 20% degli “apprendisti” da assumere a tempo indeterminato
(dopo tre anni!). Oltre quella soglia l'azienda pagherà una multa
(meglio sarebbe dire “dovrebbe pagare”). Ma questo limite varrà soltanto
per le imprese con più di 50 dipendenti, anziché 30 (come nel testo
precedente). Al di sotto di questa soglia l'impresa non avrà vincoli di
percentuale: anche tutti “apprendisti”, insomma. Un vero “successo” per
Fassina & co.
Idem per le proroghe dei contratti a termine: ce ne potranno essere
cinque (anziché otto) nell'arco dei 36 mesi. Nella realtà futura non
cambierà nulla (semplicemente ogni proroga dovrà essere per un periodo
leggermente più lungo), visto che non è prevista alcuna stabilizzazione
al termine dei 36 mesi.
Superati anche i “contrasti” sulla presenza o meno della “formazione
pubblica” degli apprendisti. La Regione - nei 45 giorni previsti per
comunicare all'azienda le modalità di svolgimento dell'offerta formativa
pubblica - dovrà indicare anche le «sedi» e il «calendario», facendosi
supportare... dalle «imprese e dalle loro associazioni che si siano
dichiarate disponibili». Un lungo giro burocratico per tornare al punto
di partenza: la “formazione pubblica” si farà in azienda (“on the job”),
lavorando per una paga decurtata del 30% (corrispondenti alle ore di
“formazione”).
Quasi da presa in giro l'emendamento che stabilisce un “diritto di
precedenza” per le donne in gravidanza, che dovrebbe essere indicato nel
contratto a termine da stipulare.
Una sanatoria di lunga durata, infine, per le imprese che quanfo
andrà in vigore la legge si ritroveranno con più dipendenti a tempo
determinato consentito; dovranno rientrare nel limite entro il 31
dicembre del 2014 (ovvero licenziare un po' di precari a termine). Ma
c'è un altro “aiutino” cui potranno ricorrere, perché questi limiti
potranno essere superati se «un contratto collettivo applicabile
nell'azienda disponga un limite percentuale o un termine più
favorevole». In pratica, con la scusa di “salvaguardare l'occupazione”,
qualche sindacato complice potrà accordare al padrone di avere più
precari del consentito.
Gli emendamenti sono così innocui che tutti i contendenti nella
maggioranza (Maurizio Sacconi, Angelino Alfano, Pietro Ichino, ecc) se
ne sono detti soddisfatti.
Le aziende ringraziano.
Le aziende ringraziano.
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