Nel dicembre dello scorso anno un informatico di nome Brandon
Marschall viene accidentalmente ucciso da un vicesceriffo durante
un’oscura e tuttora inesplicabile vicenda svoltasi fuori degli uffici
della Roku, una televisione digitale californiana. La notizia non venne
nemmeno riportata dai giornali locali, nonostante a suo modo Marschall
fosse una persona nota: era uno dei protagonisti e della class action
che i dipendenti di alcune grandi aziende dell’informatica avevano
attivato contro il piano messo a punto per tenere bassi gli stipendi.
Ecco il motivo per cui le circostanze della vicenda Marshall si
aggrovigliano e si fanno inquietanti: perché a un primo accordo da 320
milioni di dollari, se ne è aggiunto uno da 3 miliardi raggiunto nei
giorni scorsi, un fiume di denaro che le aziende sotto accusa dovranno
versare ai loro 64 mila dipendenti La notizia è di quelle che dovrebbero
bucare i media così attenti a fare titoloni sull’ultimo gadget della
minchia, ma invece è rimasta quasi nascosta, schiacciata sotto la pressa
dell’ipocrisia e del servilismo tanto più che nemmeno dà diritto a
riconoscimenti in natura tecnologica, come spesso avviene per le
recensioni zuccherose o ai 150 dollari di sconto riservati alle comparse
che si fanno riprendere all’alba a fare la fila per accaparrarsi
l’ultimo modello.
Eppure la vicenda contiene tutto il groviglio delle menzogne sul
merito, le favole sulla concorrenza e la triste verità del profitto a
tutti i costi per gli azionisti, oltre a mettere più a fuoco la figura
del guru Steve Jobs, iniziatore e ispiratore del sistema, nonché “santo
subito” dell’informatica da salotto. Dunque nel 2005, Jobs scrive a
Sergiej Brin di Google: “Se assumete una sola di queste persone è
guerra”. Perché strapparsi a vicenda le intelligenze pagandole per il
loro valore, quando con un patto di non belligeranza si può
retribuirle poco e sfruttarle al massimo? Ed è così che è nato il patto
segreto tra Apple, Google, Intel, Pixar,
Intuit, Adobe e Lucasfilm per non contendersi i dipendenti e/o
scambiarsi le informazioni sulle loro retribuzioni in modo da contenere
al massimo il costo del lavoro in un settore che è considerato di punta,
nonché strategico e che dovrebbe rappresentare la vetrina delle
premesse e promesse liberiste. L’esposizione permanente delle gioie del
mercato e del merito. Ciò che ne esce invece è qualcosa che assomiglia
molto di più alla Bulgaria e rasenta un ritorno all’Ottocento e ai
padroni delle ferriere come del resto ha dimostrato l’economista
Piketty.
Quindi non si fa molta fatica a capire perché la notizia abbia avuto
così scarsa risonanza persino sul web che è capace di infiammarsi per un
nonnulla: sarebbe stata come polvere e fango sulla teca che viene
portata in processione dal pensiero unico. E rivela come ormai i
conflitti del lavoro tendano a risolversi in controversie tra privati,
ancorché solidali nella classe action e dipendenti dal giudizio di un
giuria e dalle indicazioni di un giudice. Il risarcimento infatti non
colpisce il sistema ma solo i suoi effetti sui singoli quando essi
possano essere provati. Poi tutto ricomincia come prima.
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