di Christian Raimo e jumpinshark
Qualcuno ha letto le Considerazioni Generali all’inizio del 48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese del Censis?
Noi due sì per esempio. Sono quelle dieci paginette che cominciano con un periodo molto depresso e deprimente:
“Dopo anni di trepida attesa, la
ripresa non è arrivata e non è più data come imminente; e quasi si ha
il pudore, forse la stanchezza, di continuare a usare un termine ormai
consumato nel racconto collettivo.”
E dell’Italia subito dicono che:
“si adagia, con un pizzico di fatalismo, a introiettare un galleggiamento su antiche mediocrità.”
Ci domandiamo come si possa, in apertura di un testo così importante
nel nostro discorso pubblico, scrivere queste due frasi riportate. Tanto
pretenziose sulla società e l’individuo quanto goffe nel linguaggio, da
tema scolastico copiato male da qualche manuale per temi scolastici.
Parole che sembrano un orrore premeditato, messe lì apposta per
richiamare l’eterno urlo morettiano «ma come parla?»
Qualcuno è andato avanti nella lettura, ha provato a farsi strada tra
un «cespuglio di vitalità» e una società «sempre più informe, sghemba
addirittura nei suoi pensieri»? Ed è arrivato al punto in cui l’analisi
comincia a diventare una specie di profezia religiosa?
“Si tratta solo di richiamare due
semplici verità: la prima, banale e kirkegaardiana insieme, è che non è
pensabile una ri-presa dello sviluppo senza un’adeguata ri-flessione
della base reale su cui operiamo;”
C’è da ri-manere basiti, oppure ci si può chiedere e ri-chiedere
perché il disgraziato “richiamare” non ri-meriti il trattino
kirkegaardiano.
Ri-troviamo fiducia qualche riga dopo, quando il testo ha finalmente
scovato le giuste metafore per rispondere alla domanda: che tipo di
società sia quella in cui si stanno compiendo le importanti
trasformazione di questi anni?
“Non c’è bisogno di inventarsi nuove metafore interpretative per
ribadire una realtà da tempo chiara: siamo una società molto
differenziata, molecolare, ad alta soggettività, piena di aspettative e
di obiettivi diversi. Altri l’hanno chiamata “società liquida” e la
definizione può utilmente essere presa a riferimento di base,
specialmente da chi inclina spesso alle metafore idrauliche (si pensi a
quanto anche questo Rapporto ha navigato su fenomeni quali il sommerso,
il galleggiamento, la mucillagine).”
Stupidi e presuntuosi noi, che non abbiamo compreso subito il termine
tecnico galleggiamento? Come la mucillagine. E allora le alghe? E il
pattìno, no? E perché discriminare il pedalò? Zygmunt Bauman ha mai
parlato della “funzione bagnino” in qualche saggio? Tutto questo liquame
ci sommerge.
Stiamo per affogare quando ecco che incontriamo di nuovo l’amichevole
cespuglio, a cui possiamo aggrapparci. Questa volta ci sono pure i fili
d’erba:
“Al di là delle metafore, siamo
comunque una società indistinta e sfuggente: indistinta, perché non è
più descrivibile con forme e figure delineate e significative (si pensi
al progressivo successo del termine “gente” e alla propensione a parlare
di “gentismo”); e sfuggente, perché tutto vaga senza radicamenti, per
cui è impensabile un ritorno ai fili d’erba e ai cespugli di sviluppo,
fenomeni tipicamente terragni, che hanno cioè bisogno di terra per
sorgere e crescere.”
E meno male che il paragrafo iniziava con “al di là delle metafore”…
Ma almeno abbiamo capito che la colpa della crisi è la nostra, ci siamo
allontanati dai “fenomeni tipicamente terragni”.
Per espiare cerchiamo di comprendere la logica interna del discorso
ed ecco che arriva l’illuminazione: siamo all’oroscopo sociologico.
Abbiamo fatto i segni d’acqua e di terra, tra un po’ seguiranno quelli
d’aria e di fuoco.
Intanto ci viene svelato l’ultimo arcano agricolo.
“La denominazione di questi mondi
incomunicanti è semanticamente avventurosa (circuiti, strati, vasi,
tubi, bigonce), ma in via di consapevole approssimazione si può avanzare
il termine “giare”, a significare contenitori a ricca potenza interna,
ma con grandi difficoltà a stabilire significativi rapporti esterni. E
facendo un più arrischiato passo in avanti si può definire allora
l’attuale realtà italiana come una “società delle sette giare”, dove le
dinamiche più significative avvengono all’interno del loro parallelo
sobollire, senza processi esterni di scambio e di dialettica.”
Il rapporto del Censis definisce appunto l’Italia il Paese delle Sette Giare (lo sottolinea anche il comunicato stampa).
Ci crediamo. Dev’essere proprio così! Perché non c’eravamo arrivati
prima? Finalmente una definizione utile! Abbiamo sudato camicie e fatto
il giro delle sette chiese nella lettura, ma ora siamo al settimo cielo!
Passa un secondo, e ci guardiamo di nuovo perplessi. Ci chiediamo:
sarà mica un riferimento a una vecchia fiaba raccolta da Calvino? O
forse, in perfetto tempismo, una variante di un gioco di carte
natalizio, tipo spurchiafiletto?. E soprattutto: se si rompe una giara, gli anni di sfortuna sono sempre sette?
Ma basta fare ironia: il Censis istruisce e ammonisce severo. E noi
continuiamo pagina dopo pagina, avvinti dal tono da sciagura con cui si
ribadisce che l’Italia è al tracollo: una, due, dieci quindici volte.
Stiamo veramente male, ci viene detto. Tanto che in alcuni passaggi ci
sembra di ascoltare una specie di confessione da sabato notte del nostro
amico all’apice della depressione:
“Al destino di essere un mondo
che vive di se stesso non sfugge neppure il mondo della gente del
quotidiano. È enorme, articolato, liquido, molecolare, di moltitudine,
ma non riesce ad avere dinamica: né in avanti, attraverso nuove
stagioni di iniziativa e di impegno; né all’indietro, attraverso
l’accettazione di un downgrading della composizione sociale.”
E a un tratto pensiamo che forse non siamo noi i lettori a cui è
destinato questo accollo – no, scusate, rapporto – ma le generazioni
future, umane e non. Questo testo è come quei documenti spediti subito
prima di morire dall’ultimo resistente nella navicella spaziale, con la
speranza che qualche popolazione aliena nelle estreme galassie lo legga e
non commetta gli stessi errori. Oppure è per i nostri bis-bis-nipoti
che fra cento anni vorranno comprendere qualcosa dell’Italia? Del perché
all’inizio del nuovo millennio questo paese andò in malora, e
cercheranno nei vecchi rapporti Censis qualche chiave interpretativa?
A questi sociologi futuri basterà sbirciare due righe scelte a caso,
tra vocaboli desueti (“è un giuoco tutt’interno”), metafore che
s’incartano, figure retoriche sballate e profezie apocalitticche condite
di termini pseudo-scientifici… Ma se, per rigore o per tigna, vorranno
arrivare all’ultima pagina, finiranno come noi, stremati dalla lettura, e
forse decideranno che per capirci qualcosa è meglio consultare qualche
fondo del caffè o qualche viscera di pollo. E riconosceranno l’amara
verità. Altro che mediocre kierkergaardiano galleggiamento: si capiva da
come scrivevano, che erano un popolo condannato all’estinzione.
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