Il prossimo decreto non chiamatelo “Salva-Ilva”: chiamatelo “Salva-banche”. Il governo Renzi vuole colmare una voragine di 1 miliardo e 450 milioni di euro. A tanto ammonterebbe il debito bancario consolidato di Ilva.
Questa somma gigantesca è rivendicata per il 62% da Intesa San Paolo, per il 20% da Unicredit e per il 18% dal Banco Popolare. Il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, ha dichiarato che ILVA “è praticamente sull’orlo del fallimento” e che i privati non hanno le risorse per salvarla.
E per il futuro? La prospettiva è che – dopo aver perso 2 miliardi e mezzo di capitale netto – l’ILVA di Taranto continuerà ad accumulare inesorabilmente perdite. “Il break-even point di Ilva è stimato attorno alle 22 mila tonnellate giornaliere”, scrive Davide Lorenzini su Siderweb. Il break-even point è il “punto di pareggio”
in economia aziendale. Questo significa che sotto gli 8 milioni di
tonnellate/anno l’Ilva è destinata ad accumulare perdite e non profitti.
E attualmente lo stabilimento produce 5,7 milioni di tonnellate/anno di acciaio.
Chi deve mettere i soldi per pagare le banche che non hanno salvato l’Ilva né hanno speranza di farlo?
Il colosso siderurgico Arcelor Mittal ha posto condizioni inaccettabili e non si vuole inguaiare. Federacciai ha già detto: non chiedete a noi.
Quindi?Pagherà Pantalone: gli ignari italiani a cui viene detto A per poi invece fare B. E così il prossimo decreto sull’Ilva scaricherà sugli italiani i guai dell’azienda. Verrà detto loro che – con i soldi della Cassa Depositi e Prestiti, ossia dei risparmiatori che hanno libretti e buoni fruttiferi alla Posta – l’Ilva verrà risanata e trasformata in una gallina dalle uova d’oro. Ma in realtà l’obiettivo è quello di recuperare i crediti delle banche prima che Ilva affondi del tutto. Perché la prospettiva è quella: l’inabissamento imminente della corazzata Ilva in assenza di una ripresa del mercato. Ma ci sarà uno spiraglio di ripresa nel 2015? Pare proprio di no: c’è il 65% di possibilità che l’economia mondiale vada in recessione, trascinandosi dietro gli USA. Riassumiamo:
Il colosso siderurgico Arcelor Mittal ha posto condizioni inaccettabili e non si vuole inguaiare. Federacciai ha già detto: non chiedete a noi.
Quindi?Pagherà Pantalone: gli ignari italiani a cui viene detto A per poi invece fare B. E così il prossimo decreto sull’Ilva scaricherà sugli italiani i guai dell’azienda. Verrà detto loro che – con i soldi della Cassa Depositi e Prestiti, ossia dei risparmiatori che hanno libretti e buoni fruttiferi alla Posta – l’Ilva verrà risanata e trasformata in una gallina dalle uova d’oro. Ma in realtà l’obiettivo è quello di recuperare i crediti delle banche prima che Ilva affondi del tutto. Perché la prospettiva è quella: l’inabissamento imminente della corazzata Ilva in assenza di una ripresa del mercato. Ma ci sarà uno spiraglio di ripresa nel 2015? Pare proprio di no: c’è il 65% di possibilità che l’economia mondiale vada in recessione, trascinandosi dietro gli USA. Riassumiamo:
1) le banche vogliono indietro i soldi;
2) il governo Renzi prontamente risponde;
3) i sindacati sono entusiasti perché finalmente interviene lo Stato;
3) verrà sanato il debito dell’ILVA con i soldi pubblici;
4) le banche ringrazieranno il governo;
4) le banche ringrazieranno il governo;
5) i sindacati faranno finta che questa sia un’operazione di salvataggio dei lavoratori e applaudiranno;
6) nessuna ripresa vi sarà nel 2015 per raggiungere il “punto di pareggio”;
7) si accumuleranno altre perdite;
6) nessuna ripresa vi sarà nel 2015 per raggiungere il “punto di pareggio”;
7) si accumuleranno altre perdite;
8) la situazione diventerà insostenibile;
9) le banche diranno che non possono concedere altri prestiti, temono il concorso in “abuso del credito“;
10) l’ILVA affonderà.
9) le banche diranno che non possono concedere altri prestiti, temono il concorso in “abuso del credito“;
10) l’ILVA affonderà.
Nonostante i fatti non lascino spazi all’ottimismo, all’arrivo del nuovo decreto in molti diranno che si sta salvando l’ILVA e gioiranno. Diranno che i soldi prestati dallo Stato serviranno ad ammodernare gli impianti e a non far ammalare più le persone. Diranno che stiamo restituendo speranza ai lavoratori.
Sembra la riscrittuta della commedia di
Peppino De Filippo “Non è vero ma ci credo”. La Fiom dovrebbe sapere che
la manovra è pensata per restituire denaro alle banche usando i
soldi degli italiani ignari. Ma la commedia sembra già scritta. Il
pubblico plaudente non mancherà.Però c’è un intoppo: la Cassa Depositi e Prestiti non può per statuto investire in aziende in perdita (come invece accadeva per l’Iri).
E in più la magistratura e la Commissione Europea hanno gli occhi puntati sull’Ilva.
Quella che si profila come una commedia delle beffe ha tutti i requisiti per trasformarsi in un’operazione ad altissimo rischio.
Ilva, il Governo si prepara al bis dell'operazione
Alitalia. Nuovi parametri ambientali per compiacere Arcelor Mittal
Il
Governo pronto a fare Alitalia bis anche su Ilva. E dalle prime
avvisaglie l’operazione potrebbe essere più “sporca” di quanto
preventivato. E tutto senza discutere, ovviamente. Siamo in emergenza
bambole! Le misure per l'Ilva messe a punto dal ministero dello Sviluppo
economico dopo il confronto con Arcelor-Mittal nei giorni scorsi sono
in dirittura d’arrivo. Si sta ragionando se inserire il provvedimento
nella stessa legge di Stabilità. L’occasione potrebbe essere il
Consiglio dei ministri di venerdì prossimo. Il Sole 24 ore, che oggi
pubblica in prima pagina la notizia di una cordata composta da
Arcelor-Marcegaglia, fa rilevare che ci sarebbe il sostegno del Fondo
strategico, controllato dalla Cassa depositi e prestiti, direttamente
nel capitale di Marcegaglia. E questo per evitare eventuali obiezioni Ue
in materia di aiuti di Stato.
Non solo, Arcelor Mittal propone una revisione delle prescrizioni Aia, e qui la seconda "porcata", giudicate più severe degli standard europei, e chiede il potere di aumentare la produzione fino a 9,3 milioni di tonnellate quando l'Aia fissa a 8 milioni il tetto massimo (nel 2014 l'Ilva dovrebbe riuscire a produrne 6,3 tonnellate). Arcelor inoltre non vuole accollarsi i costi del risanamento ambientale che i Riva non hanno fatto e il rischio di cause legali. Tutti costi che potrebbero essere accollati a una bad company.
Secondo la Fiom, e non solo, siamo in presenza del “modello Alitalia”: ovvero, ripulire l'Ilva e scaricare sulla collettività… le perdite". Rosario Rappa, segretario nazionale della Fiom, sottolinea che ormai “il Governo è al settimo decreto salva-Ilva, con un bilancio in perdita di 40 miliardi di euro". "Siamo di fronte - ha aggiunto il sindacalista - a un percorso di messa in discussione, pezzo dopo pezzo, dei diritti acquisiti fino agli anni '80, con l'aggravante di un modello di sviluppo che vede una messa in discussione dei diritti per acquisire competitività. Bisogna capire cosa farà a questo proposito la politica".
Secondo Paolo Sabatini, di Usb, la prospettiva è quella di una “distruzione di posti di lavoro, considerando che l’impianto di Taranto è direttamente concorrente di Marcegaglia”. “Quello prospettato da Renzi non è altro che il remake di ‘capitani coraggiosi’ di Berlusconi con la compagnia di bandiera. Ci vuole più coraggio e una vera nazionalizzazione”.
Non solo, Arcelor Mittal propone una revisione delle prescrizioni Aia, e qui la seconda "porcata", giudicate più severe degli standard europei, e chiede il potere di aumentare la produzione fino a 9,3 milioni di tonnellate quando l'Aia fissa a 8 milioni il tetto massimo (nel 2014 l'Ilva dovrebbe riuscire a produrne 6,3 tonnellate). Arcelor inoltre non vuole accollarsi i costi del risanamento ambientale che i Riva non hanno fatto e il rischio di cause legali. Tutti costi che potrebbero essere accollati a una bad company.
Secondo la Fiom, e non solo, siamo in presenza del “modello Alitalia”: ovvero, ripulire l'Ilva e scaricare sulla collettività… le perdite". Rosario Rappa, segretario nazionale della Fiom, sottolinea che ormai “il Governo è al settimo decreto salva-Ilva, con un bilancio in perdita di 40 miliardi di euro". "Siamo di fronte - ha aggiunto il sindacalista - a un percorso di messa in discussione, pezzo dopo pezzo, dei diritti acquisiti fino agli anni '80, con l'aggravante di un modello di sviluppo che vede una messa in discussione dei diritti per acquisire competitività. Bisogna capire cosa farà a questo proposito la politica".
Secondo Paolo Sabatini, di Usb, la prospettiva è quella di una “distruzione di posti di lavoro, considerando che l’impianto di Taranto è direttamente concorrente di Marcegaglia”. “Quello prospettato da Renzi non è altro che il remake di ‘capitani coraggiosi’ di Berlusconi con la compagnia di bandiera. Ci vuole più coraggio e una vera nazionalizzazione”.
A parlare di modalità Alitalia e del
rischio di un ruolo pubblico del tutto ancillare e perdente, è anche
l'economista e, ultimo vice-presidente dell'Iri, Riccardo Gallo. "È una
delle tante storie di aziende deficitarie che restano a carico dello
Stato e delle banche molti più anni che in ambiti privati - spiega Gallo
- un altro esempio è l'Alitalia nel cui azionariato figurano ancora
Poste Italiane e Banca Intesa". "In generale, per salvaguardare i
lavoratori e per rimborsare i creditori - è la ricetta di Gallo - un
commissario straordinario ha il compito di ricollocare le attività sul
mercato, anche internazionale, senza badare alla natura del capitale
acquirente. L'ha fatto bene quello della Lucchini, al contrario Gnudi,
premendo sulle banche affinchè‚ facciano ancor più credito scellerato, e
riportando l'Ilva nel grembo della finanza pubblica fa prevalere una
logica di gruppo non necessariamente al servizio della collettività".
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