Diciamo spesso che, all'ottavo anno di crisi economica, e davanti a inutili tentativi globali di far ripartire "la crescita", ci sembra ampiamente dimostrato che navighiamo in una crisi di sovraproduzione. Ricordiamo anche, con la stessa frequenza, che questa espressione classica va intesa esattamente come è stata pensata dal suo inventore: sovraproduzione di capitale. Ovvero non solo di merci, ma soprattutto di fabbriche-computer-uffici (capitale fisso) e forza lavoro umana (capitale variabile).
Ci capita anche di scrivere che il programma capitalistico per gestire questa "sovrabbondanza" di esseri umani è definibile come un dovete morire. Appare infatti evidente che quando dai vertici del governo o dell'Unione Europea o di altri organismi sovranazionali ci dicono che "si è allungata l'aspettativa di vita" e "quindi" bisogna alzare l'età pensionabile, tagliare la spesa sanitaria, flessibilizzare orari e turni di lavoro, cancellare i contratti a tempo indeterminato, eliminare le tutele del lavoro, vendere le case popolari, ecc, si sta cercando di ridurre le dimensioni della popolazione.
Naturalmente è difficile "far vedere" - a un'umanità ormai abituata a guardare le immagini più che a ragionare per mezzo di concetti - qualcosa che deriva necessariamente da una serie di fatti, ma ancora non "si mostra" nella realtà di tutti i giorni. Non ringrazieremo perciò mai abbastanza Massimo Bonato e il TgValleSusa per aver pubblicato l'articolo che segue, corredato di foto e riferimenti documentali.
Si parla degli Stati Uniti, ovvero dell'"impero della libertà" e dell'iniziativa privata, il paradiso delle "opportunità", dei "diritti umani" e altre parole che hanno assunto il peso di luoghi comuni su cui non è più necessario ragionare o interrogarsi. In questo paradiso, i "senza fissa dimora" - disoccupati che hanno perso anche la casa e la possibilità reddituale di affittarne una - vengono rinchiusi in campi di concentramento. Del tutto uguali a quelli nazisti o ai campi di prigionia dei paesi in guerra.
Il problema è che negli Usa non c'è alcuna guerra. Ma i senza fissa dimora vengono - tacitamente o esplicitamente - inquadrati come nemici combattenti. E rinchiusi. Senza reato, senza processo, senza limite temporale.
Forza lavoro in eccesso, per ora non impiegabile, quindi "immagazzinata" in attesa di tempi migliori. Se verranno. Altrimenti lasciata a macerare sotto gli eventi atmosferici come una delle mille ghost town che costellano il panorama statunitense.
Ci sembra evidente che il numero imprecisato di imprigionati nelle decine di campi di concentramento Fema non risultino tra i disoccupati e non "pesino" quindi sulle statistiche ufficiali (il "tasso di disoccupazione" è molto diminuito negli ultimi anni; un po' di quantitative easing, un po' di lager e il gioco è fatto). Come appare notevole il fatto che molte di questi lager federali (ovvero "statali") siano gestiti da contractors privati. Se c'è da trattare un problema senza passare per la legge ordinaria, e al di fuori di ogni Costituzione, cosa c'è di meglio di una bella società privata e di fatto segreta?
A voi l'articolo di Massimo Bonato, dunque.
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Dai campi Fema della North Carolina se ne esce soltanto se si accetta di farsi infilare un microchip sottocute.
Ai senza fissa dimora detenuti nel campo Fema della North Carolina è stata posta la scelta se rimanere o se andarsene, ma solo a condizione che gli venga impiantato un chip. L’Rfid (Radio-frequency identification) servirebbe a monitorarli e a tenerli sotto controllo, in cambio di benefici di sopravvivenza, cibo, coperte, vestiario.
La notizia si è diffusa, per diverse ragioni: intanto il monitoraggio, e di fatto la limitazione delle libertà personali di uomini e donne che sono detenuti senza aver commesso reati, ma solo perché homeless, senza fissa dimora, e senza occupazione. Ma ha riportato alla ribalta di nuovo anche la gestione della disoccupazione negli Usa. Campi Fema. A chi ricorda il romanzo di John Steinbeck Furore e il film che ne venne tratto non sarà difficile farsene un’idea.
Che cos’è Fema?
Dopo le Twin Towers del 2001, e precisamente l’anno successivo, il procuratore generale John Ashcroft “annunciò il desiderio di avere dei campi per i cittadini statunitensi che egli reputava essere ‘nemici combattenti’,” e che il suo piano “gli permetterebbe di ordinare la detenzione a tempo indeterminato di cittadini statunitensi e spogliarli sommariamente dei loro diritti costituzionali e l’accesso ai tribunali, dichiarandoli nemici combattenti” («Los Angeles Times»). In breve si trasformò in ciò che è adesso, e che fa dire a truthisscary.com che la “Fema è un governo segreto, che può sospendere la legge, la costituzione americana, i diritti civili”.
Il suo percorso è tracciato dalla paranoia della prevenzione: prima per un attacco nucleare, poi per calamità naturali, poi per attacchi terroristici. Ora nei suoi campi rinchiude senza fissa dimora.
I campi Fema
All’onore delle cronache i campi Fema tornano di recente, quando il North Carolina diventa l’esempio di come anche solo il vagabondaggio possa essere perseguibile. L’agosto del 2013 il Columbia City Council approva il programma di creazione di forze speciali di polizia che perseguano la “quality of life”. Di fatto si tratta di pattuglie che, dall’ottobre dello stesso anno aprono le porte del campo Fema di Columbia. Perseguono i senza fissa dimora accusati di vagabondaggio o sorpresi nel sonno o a orinare contro una pianta, li caricano sui mezzi e li conducono nel campo, a pochi chilometri dalla città. Ne parlano i siti attivi sul fronte dei diritti umani, come trueactivist.com, ma pochi altri. Segregazione si accompagna a segretezza. Fino a quando almeno, agli inizi di novembre di quest’anno, una troupe della Nbc si trova a filmare nei pressi di New York una prigione abbandonata, per un servizio culturale, ma non ci riesce. L’operatore non ha tempo a cominciare le riprese che dalla prigione esce un graduato, non si capisce di che arma, e intima alla Nbc di allontanarsi. È un contractor. La prigione non è abbandonata, non si può filmare, e non è gestita da un Dipartimento di Stato bensì da una polizia privata (globalresearch.ca).
Ma anche ci si interroga su quanto non sia generalizzato questo senso di “quality of life” ora in mano a polizie cittadine e private, a contractors. A difesa non soltanto dell’estetica metropolitana, ma anche, se non soprattutto, di quel divario sociale che sempre di più fa sorgere gated communities, quartieri privati, dotati di sorveglianza armata, recinzioni e filo spinato per tenere, queste sì, fuori la gente e non dentro.
Gente in, gente out, da non vedere, o da vedere il meno possibile, segregare per non suscitare malesseri, per tenere le strade pulite.
“Ma è questa l’America che vogliamo?” si chiedono in molti.da http://www.tgvallesusa.it
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