di Francesco Rombaldi
Dopo Berlusconi, Monti, Letta, è la volta di Renzi. Cadono come birilli i
presidenti del consiglio e neanche i segretari (o fondatori) di partiti
di opposizione se la passano bene: anche Grillo è in caduta libera.
Cosa è accaduto ? E’ accaduto che alle elezioni amministrative nella
fondamentale Emilia Romagna (e anche in Calabria in tono leggermente
minore), si è assistito al più grande tracollo di partecipazione
elettorale nella storia della Repubblica italiana. Non è un fatto
positivo, ma è il fatto che registra, in modo limpidissimo, il distacco
definitivo della gente da questa politica. E che la crisi economica (e
democratica) è ai massimi storici.
In Emilia Romagna ha votato il 37% degli aventi diritto. In Calabria
il 44%. Renzi dice che l’importante è vincere: entrambe le regioni vanno
al PD. Ma il PD perde 769mila voti nelle due regioni rispetto alle
ultime elezioni europee svoltesi solo pochi mesi fa.
Entrambe le regioni saranno governate (si fa per dire) da governi di
iper-minoranza, nel senso che rappresentano, se va bene, il 18-20%
dell’elettorato. Circa il 63% dell’elettorato emiliano-romagnolo e il
56% di quello calabrese, si è rifiutata di andare alle urne. La novità
più lampante è il calo dell’Emilia Romagna, regione in cui storicamente
si è registrata per 70 anni consecutivi, il massimo afflusso percentuale
in ogni successiva elezione politica, regionale o europea.
Tra le forze politiche che hanno determinato la storia politica
italiana degli ultimi 20 anni, c’è da registrare il tracollo di Forza
Italia, superata dalla Lega nord di Salvini e anche quello del Movimento
5 Stelle di Beppe Grillo, ridotto, in Emilia Romagna, al 13%.
Pare che la gente avverta con chiarezza che le regioni non hanno più
alcun sensibile spazio di autonomia legislativa e di programmazione.
(Anche gli Stati, per la verità, ne hanno sempre di meno).
Un eminente filosofo italiano, Cacciari, di cui preferiremmo leggere
libri di filosofia piuttosto che ascoltare le analisi politiche, ha
espresso ieri con involontaria chiarezza qual è il problema (dal suo
punto di vista che pare molto vicino a quello dei famosi poteri forti, o
delle elites): il problema, dice, è che la situazione politica italiana
si va polarizzando e radicalizzando, con il risorgere di una Lega nord
similfascista e lepenista (appoggiata in effetti da organizzazioni come
Casapound), che raccoglie consensi nei settori di lumpenproletariat e in
quelli strutturalmente xenofobi e razzisti (insomma più o meno
fascisti). Mentre prima, fino a pochi mesi fa, dice Cacciari, il
malcontento era raccolto dal Movimento 5Stelle che, almeno,
rappresentava in modo trasversale l’ampia e generica protesta generata
dalla crisi economica e dall’inanismo della politica. “Aprendo il
Parlamento come una scatoletta di tonno”, dicevano. Ma il Parlamento, si
è scoperto, è solo il Parlamento, e per giunta, più che a parlare, pare
debba solo ascoltare e annuire: al premier e al presidente della
Repubblica.
Secondo il filosofo, ex sindaco di Venezia, il PD, con lo scontro
durissimo con la Cgil, si sta spostando definitivamente al centro, anche
perché il consenso di sinistra si diluisce nell’astenzione. Forza
Italia, partito di centro-destra che garantiva comunque una
rappresentanza potabile e interclassista (forse leggermente mafiosa)
scompare. Il rischio è quello di un ritorno alla prima repubblica, dice
il filosofo, con il riemergere delle ali estreme e con un partito di
puro centro che sarà il “Partito della Nazione” di Renzi.
A me pare che le cose stiano in un modo parzialmente diverso: la
situazione si sta rapidamente polarizzando perché tutte le soluzioni
individuate per superare la crisi italiana (ed europea) si sono rivelate
inefficaci e fallimentari; i leader (e i governi) che si sono
susseguiti in questi anni (2011-2014), sono caduti uno dietro l’altro,
vuoi per pressioni esterne (UE, FMI, Troika, ecc.), vuoi per pressioni e
sgambetti interni, ma soprattutto perché non sono stati in grado di
migliorare la critica situazione in cui versano tre quarti della
popolazione del paese. Anzi, nel corso di questi 4 anni, è peggiorata la
condizione delle persone, il patrimonio industriale si è ridotto del
25%, la tassazione è aumentata, il Pil è diminuito, il debito pubblico e
i conseguenti interessi sul debito sono aumentati.
La situazione è tragica, come ogni persona che non abbia fette di
mortadella sugli occhi può ben verificare ogni giorno (se esce di casa e
non frequenti solo i palazzi).
Il voto mancato in Emilia Romagna certifica l’ennesimo fallimento,
quello di Matteo Renzi e ne decreta la fine o l’inizio della fine. Il
capo scout tra poco dovrà cedere e tornare a guidare le allegre squadre
di giovani marmotte sugli appennini, in cui potrà raccontare le sue
gesta in una radura, tra una ruota della fortuna e l’altra.
Ovviamente, per alcuni mesi tenteranno di prendere tempo con
l’ausilio di media, giornalisti e intellettuali organici dispiegati
sulla trincea della linea gotica a difesa dell’impossibile. Ma il
destino del giovane fiorentino e delle sue giovani ministre è già
scritto.
Appare all’orizzonte, come alternativa, un altro giovane Matteo, il
Salvini, già membro autorevole dei comunisti nazionalisti nel
parlamento della Padania, che oggi si impegna nella lotta strenua
all’immigrazione terzo mondiale e alla presenza dei Rom sul territorio
nazionale (150mila contro gli oltre 500mila presenti, ad esempio in
Germania), coadiuvato dai fascistelli di nuova generazione o del terzo
millennio. Il loro progetto è quello di acquisire consensi popolari
nelle periferie metropolitane e in quelle spirituali per scatenare la
guerra tra i poveri italiani e i marginali stranieri (che la Lega nord,
insieme all’esimio Fini crearono all’epoca della Bossi-Fini, anche con
una attenzione inattesa di componenti del PD, che, alcuni anni or sono,
se ben ricordate, rincorrevano la Lega su due argomenti: federalismo e
lotta ai clandestini; a Napoli, furono tra i responsabili dell’assalto e
dell’incendio di un campo rom).
Diciamo che ci troviamo nella fase finale delle successive
sperimentazioni di gestione della crisi; all’espediente di prendere
tempo, di invocare e replicare nuovi successivi leader di governo (o di
opposizione trasversale) che fanno sorgere speranze risolutive nelle
moltitudini, come i re taumaturghi medioevali, si passa a espedienti già
positivamente sperimentati nel corso del moderno secolo, aborrito e
breve, il ‘900: adesso è l’ora della contrapposizione tra nazionale e
straniero, ma non chiamiamolo fascismo, per favore, chiamiamolo
lepenismo, o magari sovranismo, o, chiamiamolo come vogliamo: il gioco,
pur in situazioni diverse, è invariabilmente lo stesso.
Anzi, in questo caso, c’è forse una variante: che i due Mattei si
legittimino a vicenda per diverso tempo. Sempre per allontanare
reciprocamente, il vero confronto. Sembra già di vederli, occupare tutte
le tv in una tenzone senza fine tra civilization all’inglese e kultur
fatta di Blut und Boden.
Nel frattempo, i dati suggeriscono che la maggioranza del paese è
altrove, sia con il corpo che con la testa, ma non ha rappresentanza. O
meglio, non ha rappresentanza parlamentare, perchè quella sociale
comincia pian piano a ricomporsi. Ci vorrà del tempo, ma neanche troppo.
Vedremo cosa accade il 12 dicembre. Il problema è il passaggio alla
rappresentanza parlamentare, che tradotto in termini rozzi, è “come si
vince”, “come si arriva al potere”.
Io direi che al potere si arriva facendo cose semplici: la gente deve
mangiare, riscaldarsi, avere un tetto, la luce e l’acqua in casa, poter
allevare dignitosamente i figli, farli studiare, essere curati,
costruire prospettive di futuro. Tutte queste cose dovrebbero essere
garantite. Ma queste cose, si dice costano. A fil di logica i diritti
non costano. Ma diciamo, per ragioni editoriali, che costino.
Se costano si devono reperire i soldi necessari (visto che questo è
il modo in cui le comunità umane organizzano le loro relazioni). Negli
ultimi 40 anni i soldi sono stati travasati da una parte – grande – di
società (i lavoratori comunque intesi, al di là del loro contratto o del
loro essere dipendenti o autonomi) ad un’altra parte – molto piccola –
costituita dalle elites dirigenti, imprenditoriali o della rendita.
Ciò che è stato travasato da quella parte, deve tornare nell’altra
direzione. Almeno per la metà. Anche perchè buona parte di questo
materiale (per restare all’Italia) è stato acquisito tramite corruzione,
evasione, illegalità. In questo senso, non c’è neanche da mettere in
discussione il merito.
Autorevoli economisti già da diversi anni, individuano in una
patrimoniale secca ed una tantum, variabile tra i 200 e i 400 miliardi,
la soluzione di tutti i mali. Questo c’è da fare. E per farlo c’è da
dirlo con chiarezza, senza timori di andare a toccare i terribili poteri
forti. Il consenso per vincere, si costruisce così.
D’altra parte, si chiede una semplice riforma (a proposito di
riforme), non di socializzare i mezzi di produzione o la proprietà,
tanto meno, di trasformare il paese in uno spazio consiliare. Gli
italiani sono affezionati alle libertà formali. Sempre che a queste
corrispondano libertà e opportunità sostanziali per tutti. Se no, come
si vede, c’è qualcosa che non va, diciamo così…se no, gli italiani si
rendono conto di essere presi per il culo, come le consultazioni di ieri
dimostrano.
Questa soluzione si applica sia che l’Italia resti nell’Euro, sia che
debba uscirne; perché è anche vero che il problema del gap di
produttività con altri paesi, si pone comunque; e quindi esistono
soluzioni per l’oggi, ma si debbono costruire anche soluzioni a medio e a
lungo termine. Ma il problema del gap di produttività è costituito
anche dalla tipologia di capitalismo nostrano con cui abbiamo a che
fare. E la questione è che il capitalismo italiano dovrebbe essere meno
orientato alla rendita e più orientato a sviluppare il genio italico.
L’emigrazione forzata del più importante capitale, quello umano, che
stiamo lasciando defluire dal paese nell’ordine di oltre 300mila giovani
ogni anno dimostra che la questione centrale è quella dell’incapacità
strutturale di valorizzare le nostre risorse; non le valorizziamo perchè
il capitale è investito da altre parti (da coloro ai quali piace
vincere facile), oppure viene consumato oltre misura (da pochi rentiers
pubblici, ex pubblici e privati), oppure serve a saldare gli interessi
sul debito pubblico alle banche nazionali e internazionali (con
estorsione di imposte non progressive), in ogni caso perchè non è
investito neanche secondo i canoni capitalistici, che dovrebbero essere
quelli di valorizzarlo per mantenere il sistema sostenibile, in
equilibrio, cioè redditizio.
C’è dunque bisogno di un programma di salvezza nazionale: che si
realizza solo ridistribuendo ciò che alcuni hanno in eccesso
indirizzandolo a chi non ha o ha poco e agli investimenti. Politica
economica semplice, basilare. Ma da attuare con rapidità. Non c’è tempo
per diluirla in altri 5 o 10 anni. In uno spazio di tempo di questa
durata, l’Italia, semplicemente, scompare.
Le resistenze a questo schematico e forse volgare programma politico
vanno superate sollecitando un’ ampia riflessione interiore su ciò che
potrebbe accadere nel caso (immaginabile) che, in mancanza di misure
risolutive, la situazione peggiori ulteriormente. Dobbiamo forse
rassegnarci ad assistere alla fuga dei ricchi che seguono i loro
capitali all’estero? Non sarebbe bello lasciare il suolo natio. Dovrebbe
tuttavia essere chiaro che dopo la fuga dei Rom e degli immigrati, a
meno che non si sognino improbabili paradisi perduti, è inevitabile che
tocchi a loro.
Renzi cadrà: è necessario che il 65% costituito dagli astenuti
d’Italia, sia pronto a scegliere bene. E che parte del restante 35,
recuperi lucidità.
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