Alla fine, per capirci, è andata così: quei lavoratori dipendenti del
privato che avessero urgente bisogno di liquidità, possono farsi dare
la liquidazione dei prossimi tre anni in busta paga; però ci pagheranno
su più di tasse di quanto farebbero se invece la prendessero
normalmente, a fine rapporto.
In termini formali, il lavoratore è libero di scegliere: nessuno cioè lo costringe a farsi anticipare il Tfr. Anzi, è solo una possibilità in più che prima non aveva: quindi tutto molto bello.
In termini formali, il lavoratore è libero di scegliere: nessuno cioè lo costringe a farsi anticipare il Tfr. Anzi, è solo una possibilità in più che prima non aveva: quindi tutto molto bello.
Questo in termini formali, se non ideologici.
In termini concreti, invece, la nuova norma divide i lavoratori dipendenti tra chi ha urgente necessità di soldi e chi no.
I primi, mossi dal bisogno e appunto dall’urgenza, accetteranno di
pagare allo Stato il pizzo della maggior tassazione, pur di mettersi un
po’ di contanti in tasca subito. I secondi eviteranno invece di
sottoporsi a questa tagliola, visto che possono permetterselo.
Più sono i primi, cioè i bisognosi che incassano meno ma subito, più lo Stato ci guadagna, grazie alla maggiore tassazione.
In sostanza, lo Stato lucra sul bisogno urgente delle fasce più
malmesse dei lavoratori dipendenti. E lo fa contrabbandando
quest’operazione come scelta di libertà.
Certo che è libertà: più o meno la stessa che si ha quando, avendo
disperato e urgente bisogno di soldi, ci si rivolge agli strozzini.
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