Non
so se abbia ragione quel preside di Bergamo ( e oggi anche uno di
Torino) che ha vietato il presepe in aula per evitare frizioni con altre
religioni ormai massicciamente presenti, ma so che ha torto marcio la
fuoriuscita di Salvini dal tombino di ghisa delle grossolane
strumentalizzazioni per correre in soccorso di una presunta tradizione e
di cosiddetti valori che poi consistono solo nella difesa di meccanismi
identitari.
Ha torto in radice per così dire, anzi è la pochezza del Paese fatta
persona. Pur avendo compiuto tutto l’arco di studi in pieno periodo
democristiano, non ho mai visto un presepe in aula, segno che
paradossalmente la scuola era più laica allora che oggi e che non c’era
alcun bisogno di ribadire appartenenze votive come molti anni dopo
avverrà sotto la spinta “nazionale” del neo fascismo travestito e poi
della xenofobia. Anzi a dirla proprio tutta la tradizione del presepe,
specialmente nelle città del nord, stava del tutto scomparendo prima che
fosse recuperata come un reperto di appartenenza. Per carità non credo
sia un dramma il presepe a scuola, né che possa essere considerato
offensivo nei confronti di altri credi, forse sarebbe più interessante
se la laicità della scuola venisse affermata partecipando di più anche
ad altre tradizioni di origine culturale e religiosa piuttosto che
negarle tutte. Tanto più che, com’è noto, il Natale prende origine dalle
feste pagane del Sol Invictus e quelle della rinascita nel culto
mitralico cui il cristianesimo in via divenire l’asse di potere
nell’impero contrappose la nascita di Cristo, inventandosi di sana
pianta una data opportuna.
Dunque un rito di passaggio stagionale e astronomico che in qualche
modo abbraccia tutto il mediterraneo e la cui simbolicità potenzialmente
accomuna più che dividere. Di qui a dire come fa Michele Serra che “la
paura di molti che l’immigrazione cancelli tradizioni, recida radici,
metta a repentaglio identità, è comprensibile e legittima” ce ne
passa. Ma il noto satireggiatore il quale fa sapere di avere un
meraviglioso presepe messicano (guai se non ci si mette un po’ di
esotismo e di sciccoso per la sinistra dei salotti) tocca proprio il
punto dolente da cui nascono queste polemiche: se la nostra identità
culturale dipendesse dal presepe allora sarebbe messa ancor più in
pericolo dagli scimmiottamenti anglosassoni e mercantili che vengono
importati, tipo halloween e in fondo anche Babbo Natale o l’albero. La
ragione di questi ridicoli dibattiti è proprio questo: che il Paese non
riesce più a riconoscere una propria reale identità, ad avere memoria
del passato e senso del futuro, un pensiero che vada oltre
l’opportunismo e perciò si aggrappa scompostamente al presepe in quanto
feticcio come al “parmiggiano” per trovare un suo senso.
Del resto che si tratti di miserie intellettuali lo dimostra anche il
fronte avverso, quello presepista, per così dire, capitanato dal
parroco fiorentino Gianfranco Rolfi che davanti alla sua chiesa chiede
di ai fedeli di “schiacciare l’infame” (espressione recuperata da
Voltaire) ensemble nel quale compaiono fra gli altri Augias, Mancuso,
Odifreddi e Hack che fra l’altro è anche morta. Rolfi rappresenta bene
questo Paese il cui governo e la cui opposizione sono rappresentati da
personaggi nati alla Ruota della fortuna: lui invece ha partecipato al
Rischiatutto. La fenomenologia di Mike Bongiorno è il vero legante di un
Paese ridotto a presepe.
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