Su facebook Naomi Klein consiglia questo intervento di Pablo Iglesias dalla rivista on line americana Jacobin. L’ottimo Federico Vernarelli l’ha immediatamente tradotto.
Il leader di Podemos Pablo Iglesias sulla politica radicale e sulla strada da percorrere per costruire movimenti di massa
L’ultimo
partito spagnolo in quanto a data di nascita è anche il primo in quanto
a popolarità. Podemos affonda le sue radici nel movimento degli
indignados del 2011 (anche chiamato Movimento 15-M), ma è emerso in
gennaio con una petizione lanciata da una manciata di intellettuali.
Alle elezioni per il Parlamento Europeo di maggio, solo pochi mesi dopo
la sua formazione, ha raccolto l’8% dei voti. Oggi è il secondo partito
più grande di Spagna per numero di tesserati e il primo nei sondaggi
elettorali. Persino il Financial Times è stato costretto ad ammettere
che “il nuovo partito appare destinato a mandare in frantumi il
tradizionale sistema bipartitico spagnolo”.
Ad
un’assemblea tenutasi all’inizio di quest’anno a Valladolid, in Spagna,
il Segretario Generale di Podemos Pablo Iglesias ha esposto il suo
pensiero su come la sinistra possa vincere. Sotto riportiamo un estratto
di questo discorso. Il video (https://www.youtube.com/watch?v=6-T5ye_z5i0&feature=youtu.be) è stato caricato da Joaquin Navarro e la trascrizione qui sotto è stata fornita a Jacobin da Enrique Diaz-Alvarez.
So molto
bene che la chiave per comprendere la storia degli ultimi cinque secoli
è la formazione di specifiche categorie sociali, chiamate “classi”; è
per questo che vorrei raccontarvi un aneddoto. Quando il movimento 15-M
ebbe inizio, alla Puerta del Sol, alcuni studenti del mio dipartimento,
il dipartimento di scienze politiche, studenti molto politicizzati –
avevano letto Marx, avevano letto Lenin – parteciparono per la prima
volta nella loro vita a iniziative politiche con persone normali.
Si
disperarono. “Non capiscono niente! Proviamo a dirglielo, voi siete
proletari, anche se non lo sapete!” Le persone li guardavano come se
venissero da un altro pianeta. E gli studenti tornavano a casa depressi,
dicendo “non capiscono niente”.
Gli
avrei voluto rispondere: “Non capite che il problema siete voi? Che la
politica non ha nulla a che fare con l’avere ragione, ma con il
riuscire?” Voi potete fare le migliori analisi, comprendere le chiavi di
lettura dello sviluppo economico a partire dal sedicesimo secolo,
capire che il materialismo storico è la via da seguire per capire i
processi sociali. E dopo di questo, cos’è che fate? Urlate a quelle
persone “siete proletari e nemmeno ve ne rendete conto”?
Il
nemico non farebbe altro che ridervi in faccia. Potete indossare una
maglietta con falce e martello. Potete persino portare un enorme
bandiera rossa, e tornarvene a casa con la vostra bandiera, il tutto
mentre il nemico continua a ridervi in faccia. Perché le persone, i
lavoratori, continuano a preferire il nemico a voi. Gli credono. Lo
capiscono quando parla. Mentre non capiscono voi. E probabilmente voi
avete ragione! Probabilmente potreste chiedere ai vostri figli di
scrivere sulla vostra lapide: “Aveva sempre ragione – ma nessuno lo
seppe mai”.
Quando
si studiano i movimenti rivoluzionari di successo, si può notare con
facilità che la chiave per riuscire è lo stabilire una certa convergenza
tra le proprie analisi e il sentire comune della maggioranza. E questo è
molto difficile. Perché implica il superamento delle contraddizioni.
Pensate
che avrei qualche problema ideologico nei confronti di uno sciopero
selvaggio di 48, di 72 ore? Neanche per idea! Il problema è che
l’organizzare uno sciopero non ha nulla a che fare con quanto grande sia
il desiderio mio e vostro di farlo. Ha a che fare con la forza dei
sindacati, e sia io che voi siamo insignificanti in materia.
Voi e io
possiamo desiderare che la terra sia un paradiso per l’umanità intera.
Possiamo desiderare quello che vogliamo, e scriverlo su una maglietta.
Ma la politica è una questione di rapporti di forza, non di desideri o
di quel che ci diciamo in assemblea. In questo paese ci sono solamente
due sindacati che hanno la capacità di organizzare uno sciopero
generale: la CCOO e la UGT. Mi piacciono? No. Ma così è come stanno le
cose, e organizzare uno sciopero generale è molto difficile.
Ho
partecipato ai picchettaggi davanti ai depositi degli autobus a Madrid.
Le persone che erano lì, all’alba, sapete dove dovevano andare? A
lavoro. Non erano crumiri. Ma sarebbero stati cacciati dal loro posto di
lavoro, perché lì non c’erano sindacati a difenderli. Perché i
lavoratori che possono difendersi da soli, come quelli nei cantieri
navali o nelle miniere, hanno sindacati forti. Ma i ragazzi che lavorano
come venditori telefonici, o nelle pizzerie, o le ragazze che lavorano
nel commercio al dettaglio, non possono difendersi.
Sarebbero
segati immediatamente il giorno dopo lo sciopero. E voi non sarete lì, e
io non sarò lì, e nessun sindacato sarà lì per sedersi col capo e
dirgli: faresti meglio a non far fuori questa persona perché ha
esercitato il diritto di sciopero, perché pagherai un prezzo per questo.
Questo non succede, non importa quanto entusiasmo possiamo avere.
La
politica non è ciò che io o voi vogliamo che sia. È ciò che è, ed è
terribile. Terribile. Ed è per questo motivo che dobbiamo parlare di
unità popolare, ed essere umili. A volte dovrete parlare con persone cui
non piacerà il vostro linguaggio, con le quali i concetti che voi usate
non faranno presa. Cosa possiamo capire da questo? Che stiamo venendo
sconfitti da parecchi anni. Il perdere tutte le volte implica
esattamente ciò: implica che il “senso comune” sia differente [da ciò
che noi pensiamo sia giusto]. Ma non è nulla di nuovo. I rivoluzionari
lo hanno sempre saputo. L’obiettivo è riuscire nel deviare il “senso
comune” verso una direzione di cambiamento.
César
Rendulues, un tipo molto acuto, afferma che la maggior parte delle
persone sono contro il capitalismo ma non lo sanno. La maggior parte
delle persone difende il femminismo anche se non ha mai letto Judith
Butler o Simone de Beauvoir. Ogni volta che voi vedete un padre fare i
piatti o giocare con suo figlio, o un nonno spiegare a suo nipote di
condividere i suoi giocattoli, c’è più trasformazione sociale in questi
piccoli episodi che in tutte le bandiere rosse che potete portare ad una
manifestazione. E se falliamo nel comprendere che queste cose possono
servire come fattori unificanti, loro continueranno a riderci in faccia.
Quello è
il modo in cui il nemico ci vuole. Ci vuole piccoli, mentre parliamo un
linguaggio che nessuno capisce, fra di noi, mentre ci nascondiamo
dietro i nostri simboli tradizionali. È deliziato da tutto ciò, perché
sa che finché continueremo ad essere così, non saremo mai pericolosi.
Possiamo
avere toni davvero radicali, dire che vogliamo organizzare uno sciopero
selvaggio, parlare di popolo armato, brandire simboli, portare ritratti
dei grandi rivoluzionari alle nostre manifestazioni – loro ne saranno
deliziati! Ci rideranno in faccia. È quando metterete insieme centinaia,
migliaia di persone, quando inizierete a convincere la maggioranza,
persino quelli che votavano per il nemico – è in quel momento che
inizieranno a spaventarsi. E questo è quel che è chiamata “politica”.
Quello che abbiamo bisogno di capire.
C’era un
compagno qui che parlava dei Soviet del 1905. C’era un tizio calvo e
col pizzetto – un genio. Egli intuì l’analisi concreta della situazione
concreta. In tempo di guerra, nel 1917, quando il regime russo era
sull’orlo del collasso, disse una cosa molto semplice ai russi, fossero
essi soldati, contadini o lavoratori. Egli disse: “Pane e pace”.
E quando
disse “pane e pace”, che era ciò che tutti volevano – che la guerra
finisse e che si potesse avere abbastanza da mangiare – molti russi che
non sapevano neppure se fossero di “destra”o di “sinistra”, ma sapevano
di essere affamati, dissero: “Il tizio calvo ha ragione”. E il tizio
calvo fece molto bene. Non parlò ai russi di “materialismo dialettico”,
gli parlò di “pane e pace”. E questa è una delle lezioni più importanti
del ventesimo secolo.
Cercare
di trasformare la società scimmiottando la storia, scimmiottando i
simboli, è ridicolo. La strada non è quella di ripetere le esperienze di
altri paesi, eventi storici del passato. La strada è quella di
analizzare i processi, le lezioni della storia. E comprendere in ogni
momento della storia che il “pane e pace”, se non è connesso a ciò che
le persone sentono e provano, è giusto una ripetizione, come farsa, di
una tragica vittoria del passato.
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