Il signor Serra, la Leopolda e il Renzianesimo di Mauro Poggi
Quella del signor Serra è l’immagine glamour del successo
finanziario, invidiato e sognato. Giovane, facoltoso, potente: un
modello inavvicinabile ai più, destinato ad alimentare frustrazioni che
solo l’acquisto dell’ultima versione iPhone può temporaneamente
placare.
Servizi come quello della trasmissione La Gabbia, o articoli come quello di Yespolitical, offrono spaccati leggermente più sordidi, che però né sorprendono né riescono a scalfire l’immagine di superficie.
Il sistema di valori adottato dal signor Serra, quello del
capitalismo predatorio – per soprammercato finanziario, è troppo
radicale per pensare di confrontarcisi su un terreno comune di
discussione. Lo si combatte (quando e se si può), lo si subisce o lo si
condivide. Il signor Serra lo ha adottato con estrema coerenza;
attendersi da lui un agire diverso non avrebbe senso. Il problema semmai
è impedirgli di agire, il che è impossibile dato che agisce, se non
legittimamente, almeno legalmente.
Ineccepibili quindi i suoi acquisti di “non-performing-loans”, peraltro
impacchettati e messi in vendita da banche altrettanto al limite della
reprensibilità; o le vendite allo scoperto di titoli Mps, effettuate in
previsione di crollo delle quotazioni, puntualmente verificatosi, a
seguito della pronosticabile bocciatura allo stress-test. Se il signor
Serra non facesse questo tipo di operazioni verrebbe meno al mandato dei
suoi azionisti e/o sottoscrittori, e d’altra parte in questa attività
non è solo.
Ammissibile anche che il signor Serra faccia lobbismo, finanziando
il partito che ritiene in grado di meglio proteggere i suoi interessi.
Trovo che la coerente rivendicazione del proprio ruolo, una volta
compiuta la scelta, conferisca a chi se ne fa carico una certa dignità,
non fosse altro che per l’assunzione di responsabilità che implica. Il
signor Serra lo ha rivendicato alla Leopolda durante il suo
intervento, una convinta adesione alla dottrina neoliberista. Convinta e
convincente, a giudicare dagli applausi che ha riscosso e dalle
manifestazioni di popolarità che gli sono state tributate.
Quello che proprio non dovrebbe essere ammissibile, è la strumentale
ambiguità del PD, che continua imperterrito a rivendicare a parole la
sua vocazione progressista mentre propone di fatto il modello del signor
Serra: modernità e successo intesi come sinonimi di progressismo,
inteso a sua volta come opportunistica gestione di un presente privo di
alternative, in un loop semantico che inverte i ruoli fra reazionari e
progressisti: chi non accetta l’iniquità di questo presente viene
chiamato conservatore, mentre è rivoluzionario chi ne prende atto e vi
si adegua. Non a caso si sprecano i richiami al giovanilismo come valore
in sé. La sintonia con il proprio tempo è prerogativa giovanile, e
anche se quello della giovinezza è un meme abusato (ricordate di cosa
era l’ebbrezza?) rimane sempre deliziosamente replicabile.
La Leopolda, quindi, più che il laboratorio di idee che
pretende di essere, si rivela la macchina celebrativa di una riuscita
manipolazione di massa. L’omino del breve video qui sotto, che si
sbraccia a dirigere l’intensità dell’applauso nonostante il già ampio
entusiasmo della sala alla retorica del Caro Leader, è l’apoteosi
del talk show, l’indispensabile finzione tanto più necessitata quanto
più superflua.
Riti, retorica e stilemi sono indistinguibili nella sostanza da
quelli che allestiva l’aborrita Forza Italia. (Avete presente le convènscionz ?
E le intemerate del primo Berlusconi contro i parchi giurassici della
politica non sono affini all’empito rottamatorio di Renzi?).
Assistiamo a una magistrale fase di transizione indolore dal
Berlusconismo al Renzianesimo, con milioni di elettori euforicamente
convinti di avere superato per sempre il primo, inconsapevoli che il
secondo ne è la versione 2.0.
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