L'Idv vede le «streghe» ma non da oggi. La bomba di Report si è abbattuta su un partito che era già in crisi da almeno due anni, lacerato a livello locale da guerre per bande, con iscritti e militanti in fuga, vampirizzato prima da Sel e poi dal Movimento 5 Stelle. Ad accelerare il default è stata però la caduta di Berlusconi. Venuto meno il core business del dipietrismo è venuta meno anche la presa carismatica con la quale Antonio Di Pietro aveva suturato le contraddizioni della sua creatura: un partito di post democristiani in cerca di prebende e con in dote i sempiterni pacchetti di tessere e voti, portato a fianco della Fiom e piegato ad un'opposizione a Monti mai digerita. Così come la Dc con l'alibi dell'anticomunismo aveva occupato il potere identificando il partito con lo stato, allo stesso modo il moderato Di Pietro ha costruito l'Idv su una piramidale concentrazione di poteri sul suo cerchio magico, che alla fine risultava paradossalmente speculare ai mostri politici e ai predellini berlusconiani. La fine ormai segnata del dipietrismo coincide però anche con la fine della seconda repubblica che l'ex pm ha inaugurato con mani pulite. Quella stagione, lungi dall'essere stata una primavera dei popoli, si è rivelata la levatrice di un drastico spostamento a destra dell'asse politico e ideologico e di un'egemonia dei dogmi liberisti dai quali è nato non a caso il ventennio berlusconiano. Di Pietro ha aderito subito a quella filosofia, flirtando addirittura con il cavaliere e votando Forza Italia nel '94, sposando tesi presidenzialiste e maggioritarie, e atteggiamenti precocemente antipolitici e antiparlamentaristi. Tutta la prima fase del suo percorso - durata fino al 2008, quando ancora chiedeva il reato di clandestinità per i migranti - è caratterizzata da furibondi attacchi contro i Verdi e Rifondazione Comunista e da continui logoramenti da destra del centrosinistra. Poi, dal 2008 in poi, la schiacciante vittoria del centrodestra ma soprattutto la crisi economica in arrivo, hanno spinto Di Pietro - sempre più ispirato da Marco Travaglio - a imporre una torsione più radicale alle sue politiche, in questo modo però accentuando le sue doppiezze e oscillazioni amletiche. Di Pietro, deposta la maschera del poliziotto legge e ordine, voleva presidiare le praterie apertesi alla sua sinistra, fino a quando sono apparsi Nichi Vendola e soprattutto Beppe Grillo. Allora di colpo quegli spazi liberati dall'eclisse dei neocomunisti, sono diventati, prima un angusto corridoio, e ora una prigione. Chiuso a destra da Fini e dall'Udc antiberlusconiano, pressato a sinistra da una crisi capitalista che non riusciva a decifrare con il suo bagaglio neoliberista, Di Pietro ha tentato una disperata manovra, da una parte aggrappandosi alla foto di Vasto vissuta come un'immagine votiva di Padre Pio, dall'altra trasformando Napolitano nel nuovo Berlusconi, aderendo a un'opposizione simil leghista al governo Monti e sperando in un logoramento del Pd fedele al professore. Con un partito di benpensanti non poteva riuscirgli e infatti non gli è riuscita, e Tonino è andato a schiantarsi contro le sue mistificazioni e i suoi stessi fantasmi, quelli del famoso interrogatorio di Forlani, le cui imbarazzate smorfie ha replicato, in una devastante nemesi, davanti alla telecamera di Report . Grillo, con cui condivide l'ambigua presa a destra, dopo avergli succhiato tutto il voto d'opinione, ora offre magnanimamente un rifugio al suo amico Tonino, ma i primi a rifiutarlo saranno i colonnelli più dipietristi e soprattutto Di Pietro stesso, allergico alle alleanze e dominato da un'atavico istinto proprietario. D'altra parte, come si evince dall'ormai famosa cartella catastale, all'ex eroe di mani pulite piace essere padrone in casa sua.
di Giacomo Russo Spena
da L'Huffington Post
Sulla figura di Antonio Di Pietro
bisogna scindere il discorso su due piani: le sue battaglie e posizioni
politiche da un lato, il modo di gestire il partito dall'altro. Report -
come ha ammesso lui stesso - gli ha dato il colpo di grazia. Ma, pur
essendo uscito sempre pulito dai processi che lo vedevano imputato,
alcune "macchie" sul Tonino nazionale sono indelebili. Da anni Di Pietro
porta avanti una gestione dell'Idv a dir poco avventata, familistica e
clientelare. I casi dei deputati Razzi e Scilipoti o la questione nel
Lazio di Maruccio sono emblematici.
Non tanto "mele marce" - come ci
vorrebbe far credere - ma la persistenza nel partito di una classe
dirigente poco meritocratica. Nel partito dell'anticasta, infatti,
democrazia e trasparenza interna sono un'utopia, congressi pilotati,
tesseramenti farsa, presenza di riciclati democristiani e gestione
familistica sono la dura realtà.
Il rinnovamento annunciato nel 2008 è
finito con le fughe di Luigi De Magistris, Sonia Alfano e Giulio
Cavalli. Di Pietro ha preferito circondarsi di fedelissimi e yesmen.
Così mentre negli anni l'Idv picconava il berlusconismo e il Cavaliere,
dall'altra avallava meccanismi interni simili. Su questo Antonio Di
Pietro ha gravissime responsabilità, a prescindere dalle case che
realmente ha acquistato: ha predicato bene ma razzolato male. Malissimo.
Altro, invece, è il piano politico, dove
- a parte qualche scivolone giustizialista e populista - ha avuto nel
tempo il coraggio di fare "opposizione". Di schierarsi prima contro
Berlusconi e poi dopo contro Monti e, soprattutto, il presidente
Napolitano. Un "non allineato", che ha investito sui referendum su acqua
pubblica e nucleare e contro le leggi ad personam, difeso e sostenuto
la Fiom nel suo contrasto al marchionnismo. Questo è il personaggio di
Di Pietro.
E ora? Le critiche di Massimo Donadi
sono del tutto strumentali: è stato per anni un colonnello di Tonino e
l'ha difeso in toto quando in passato veniva denunciata la mala gestione
nel partito. Adesso Donadi utilizza questo elemento per fare durissima
opposizione, chiedendo a gran voce un'assemblea straordinaria e
minacciando la scissione: "Con Di Pietro ho rotto definitivamente. Da
politico navigato ha chiuso un'operazione sulla pelle dell'Idv". Per poi
paragonarlo al nemico di sempre, al padrone Silvio Berlusconi.
La realtà è un'altra. E riguarda le
scelte politiche. Donadi è intenzionato a confluire nel centrosinistra e
quasi sicuramente lui e i suoi fedeli approderanno nel prossimo
parlamento nelle liste del Pd, come "indipendenti".
Di Pietro? Da bravo non allineato
continua per la sua strada solitaria: l'idea anche di sciogliere il
partito. Di una lista civica nazionale pro-Fiom, aperta ai movimenti.
Alternativa al montismo. Scelta difficile, ardua. Vista soprattutto la
decisione di Maurizio Landini di "saltare un giro" a questa tornata
elettorale. Rimane Beppe Grillo - che lo vorrebbe strumentalmente al
Quirinale per "mangiarsi" gli elettori Idv - vecchia fiamma di Tonino.
Chissà. E' la fine di un personaggio
pubblico, al pari di Berlusconi? E' il termine del personalismo in
politica? Non credo. Di Pietro ha sette vite come i gatti e sono
convinto che sarà capace di regalarci qualche altra sorpresa. Chiuso il
capitolo Idv. Magari dando il suo contributo alla costruzione di un
soggetto di alternativa - a sinistra del Pd e ostile all'idea di un
Monti-bis - con il sostegno dall'attuale sindaco di Napoli Luigi De
Magistris.
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