Il disegno di legge sulla buona scuola, approvato dal Consiglio dei ministri del 12 Marzo, contiene misure prive di un qualsiasi piano pedagogico e didattico e va nella direzione di una scuola-azienda, anti-democratica e anti-egualitaria. Di fronte a tali misure è necessaria una forte mobilitazione da parte del mondo della scuola.
Mentre era in corso il Consiglio dei
Ministri giovedì 12 Marzo, i lavoratori della scuola presidiavano piazza
Montecitorio rispondendo all’appello degli autoconvocati (gli studenti
avevano manifestato durante la mattinata), convinti che, viste le
anticipazioni, la presentazione del ddl sulla scuola avrebbe presentato
brutte sorprese. E così è stato. A parte la rinuncia degli scatti basati
sul merito, che avrebbero comportato un taglio considerevole degli
stipendi (già magri) per almeno 1/3 degli insegnanti e il ripristino,
quindi, degli scatti di anzianità, misura che va considerata come una
vittoria del movimento, che già a partire da questa estate si è
organizzato e ha lottato contro “la Buona scuola” di Renzi, il resto del
disegno di legge che sarà presentato in Parlamento contiene misure
allarmanti. Vediamole nel dettaglio:
1) Il balletto delle assunzioni. Le
150.000 assunzioni annunciate propagandisticamente lo scorso settembre
sono scese a 100.000 e comprenderanno gran parte dei docenti iscritti
nelle Graduatorie ad esaurimento (Gae), più i vincitori del concorso
2012 (gli idonei sono invece esclusi). Restano fuori 23.000 insegnanti
della scuola materna che saranno stabilizzati in seguito e coloro che
non hanno mai insegnato (per questi ultimi il governo non rischia la
multa dell’Europa). Gli iscritti alle Graduatorie di istituto (GI) e
tutti gli esclusi dalle assunzioni dovranno fare un concorso per essere
assunti.
A parte la considerevole diminuzione
(circa 50.000) delle assunzioni strombazzate per mesi, lo strumento del
disegno di legge mette a rischio le assunzioni per il 1 settembre 2015;
sarebbe stato meglio stralciare questa materia dal ddl e assumere con un
atto amministrativo, visto che il piano di assunzioni era già stato
previsto dal II governo Prodi, poi bloccato dalla Gelmini nel successivo
governo Berlusconi. Inoltre, a causa dei tagli sempre della Gelmini
(ben 8 miliardi), i posti vacanti sono solo 43.000. Cosa faranno gli
altri 57.000 insegnanti che rimarranno senza cattedra? Probabilmente
coloro che non accetteranno la mobilità regionale finiranno nel
calderone dell’organico funzionale a fare i tappabuchi anche su
discipline differenti rispetto a quelle in cui si sono abilitati (alla
faccia della scuola di qualità!) e hanno lavorato per anni, vedendo il
loro lavoro dequalificato rispetto al passato. Ciò comporterà
l’eliminazione dei supplenti (sostituiti dall’organico funzionale) e,
coloro che hanno maturato 36 mesi di servizio, ma non saranno assunti,
non potranno avere altri incarichi (questo per evitare ulteriori multe
dall’Europa), avallando così il principio chi ha più esperienza e
competenza da precario diventa disoccupato (la scuola del merito! Sic!).
Gli esclusi dalle assunzioni dovranno fare quindi un nuovo concorso nel
2016 non si sa bene su quali posti; il rischio è che sia un farsa come
quello del 2012 che è costato migliaia di euro e vede persino gli stessi
vincitori ancora a spasso.
2) Più potere (e soldi) ai presidi. Il
preside “allenatore” potrà scegliere la sua squadra: nominerà i docenti
di staff (anglismo che sostituisce “vicepreside”) per l’organizzazione e
i docenti mentor per la valutazione degli altri docenti (utile a
sostituire all’uguaglianza democratica la disuguaglianza liberale). Il
super-preside potrà inoltre individuare i docenti che ritiene più adatti
a realizzare il Piano dell’offerta formativa attingendo dagli appositi
albi territoriali messi a disposizione dagli Uffici scolastici
regionali. È il trionfo della scuola dell’autonomia dove i presidi
gestiscono le risorse umane, tecnologiche, finanziarie, la didattica,
gli edifici.
Insomma un partito che si definisce
“democratico” si rivela a favore della tirannia. Concentra tutti i
poteri in una sola figura, in barba a qualsiasi principio
costituzionale, inclusa la libertà d’insegnamento. La scelta dei docenti
da parte del capo d’istituto è tipica di una scuola privata che
seleziona in base alla religione o ad altre appartenenze e non dovrebbe
essere prerogativa della scuola pubblica, che invece dovrebbe
selezionare in base all’esperienza acquisita e ai titoli (cioè al
merito). La chiamata diretta da parte dei presidi, contrastata dal PD
quando era all’opposizione e ora asse portante di questo ddl (tra
l’altro non presente nel testo della “buona scuola”), inserisce nella
scuola pubblica meccanismi clientelari, ricattatori nonché competitivi,
tipici delle aziende private a danno della collegialità e della qualità
della didattica e quindi della formazione dei discenti. È il ritorno
della legge Aprea, bloccata nel 2012 dalle mobilitazioni degli studenti e
dei docenti.
3) Togliere al pubblico per dare al
privato. Le famiglie che iscrivono i figli nelle scuole paritarie
dell’infanzia e del primo ciclo (elementari e medie) possono detrarre
dalle spese sostenute fino a 400 euro. Il 5x1000, inoltre, può essere
destinato alla scuola statale o a quella privata.
In linea con i principi del neoliberismo
dettati dalla troika e abbracciati senza esitazione da questo governo,
si toglie al pubblico e si dà il privato. Considerando, inoltre, che
questa misura comporta la spesa di mezzo miliardo mentre il
finanziamento della scuola pubblica non raggiunge un miliardo (dopo che
ne ha visti sottratti otto) è chiara non solo la sottomissione dello
Stato agli interessi dei privati, ma anche il fatto che la storiella che
mancano i soldi è un bufala e le (contro)riforme della scuola sono
dettate da mere scelte ideologiche.
Il destinare il 5x1000 alla “tua
scuola”, strombazzato come coinvolgimento delle famiglie al
miglioramento della scuola dei loro figli, è una misura altamente
anti-egalitaria: le scuole dei ricchi saranno maggiormente
avvantaggiate.
Palese in queste misure la violazione degli articoli 3 e 33 della Costituzione.
4) Addio alle classi pollaio? In sé una
notizia positiva: I presidi possono derogare alla legislazione attuale
ed evitare che si formino classi “pollaio”, ovvero con più di 25
allievi.
Viene un dubbio: se non è lo Stato a
cancellare le classi pollaio, ma i presidi che “possono” derogare alla
legge vigente, visto che gestiscono le risorse, le devono reperire e
vengono valutati su come le spendono (pena la non riconferma) è proprio
sicuro che sarà il loro primo atto?
5) Stipendi, merito e Bonus.
Diversamente dalla “Buona scuola” rimangono gli scatti di anzianità,
viene però introdotto il bonus delle eccellenze che andrà al 5% dei
docenti che, secondo il dirigente scolastico e il consiglio di istituto
sono i più meritevoli. Viene introdotto un voucher di 500 euro per tutti
destinato all’aggiornamento.
Questa parziale marcia indietro del
governo sulla questione del (presunto) merito, risultato delle
mobilitazioni, è positiva ma non ci illudiamo. Il governo ha puntato
tutto su due parole chiave: merito e autonomia e non arretrerà
facilmente. Sembra anzi che la questione del merito è solo rimandata e
su questa materia (come su altre, quali ad esempio sostegno e organi
collegiali) chiederà al parlamento la completa delega. Il bonus da 500
euro è, invece, pura propaganda, un’una tantum puramente demagogica:
pensiamo invece agli stipendi degli insegnanti tra i più bassi d’Europa
(persino della Grecia), che in questi anni hanno perso potere d’acquisto
a causa del mancato rinnovo del contratto. Il merito è anche frutto di
uno stipendio adeguato: se sei costretto a fare un altro lavoro per
arrivare alla fine del mese sottraendo tempo prezioso alla tua
formazione professionale e allo studio ne risentirà la qualità della
didattica e tutto ciò andrà a danno degli studenti.
6) Alternanza scuola-lavoro. Si
prevedono stage e tirocini durante l’ultimo triennio delle superiori
(400 ore nei tecnici e professionali, 200 ore nei licei) che varranno
all’esame di maturità, dove potrà essere presente anche il tutor
aziendale.
Ci sarebbe molto da dire su questo
punto, ci limitiamo a sottolineare l’immane sottrazione al tempo scuola
che comporterebbe l’alternanza scuola-lavoro con la conseguente
limitazione al diritto allo studio; inoltre sarebbe lavoro non pagato e
quindi sfruttamento del lavoro minorile. Insomma si licenzieranno i
padri per far fare lavoro gratuito ai figli.
7) Alcune materie rafforzate, alcune
opzionali. Si prevede il potenziamento dell’inglese, della musica, delle
scienze motorie e della storia dell’arte e l’inserimento di diritto ed
economia nei licei. Si dà la possibilità allo studente delle superiori
di scegliere alcune materie (non si sa ancora quali), che diventeranno,
quindi, opzionali.
Il potenziamento delle discipline di per
sé è una cosa positiva, ma se non è opportunamente finanziato si
rischia di fare il gioco delle tre carte: il rafforzamento di una
materia comporterà necessariamente il depotenziamento di un’altra.
Lo studente che può scegliere le materie
è cosa altamente diseducativa: gli studenti devono essere formati non
sono in grado di decidere, si rischia così di andare dietro le mode e di
non poter fare più il programma ministeriale, perdendo così la
conoscenza storica, letteraria, ecc.
8) La didattica hi-tech. Il piano
digitale prevede, tra l’altro, l’inserimento di materie quali logica e
pensiero computazionale (!) , cittadinanza digitale (!!), artigianato e
produzione digitale (!!!), utilizzo critico dei social network. (!!!!)
La necessità di nuovismo a tutti i costi
cela una profonda incompetenza di chi scrive queste riforme che poi
vanno a pesare sugli studenti e gli insegnanti. D’altra parte non è
stato coinvolto nessun pedagogista, nessun insegnante, nessun
intellettuale nella stesura di questo ddl che cela dal punto di vista
didattico incompetenza e pressappochismo. Questa “scuola 2.0” che si
vuole creare nasconde però che gli edifici cadono a pezzi, nonostante la
solita retorica dei fondi che sicuramente verranno stanziati per
l’edilizia scolastica, poi puntualmente disattesi.
Di fronte a questo duro attacco alla
scuola pubblica è necessaria una forte mobilitazione di insegnanti,
studenti e genitori – dalle assemblee nelle scuole, alle manifestazioni
in piazza fino allo sciopero – che conduca al ritiro del ddl. Chi ancora
crede in una scuola pubblica, democratica, gratuita, laica, inclusiva e
pluralista deve dare una mano a fermare questo scempio. Questo è il
tempo, perché non c’è più tempo.
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