lunedì 16 marzo 2015

La “mala scuola” in 8 punti di Rosalinda Renda, lacittàfutura.it


Il disegno di legge sulla buona scuola, approvato dal Consiglio dei ministri del 12 Marzo, contiene misure prive di un qualsiasi piano pedagogico e didattico e va nella direzione di una scuola-azienda, anti-democratica e anti-egualitaria. Di fronte a tali misure è necessaria una forte mobilitazione da parte del mondo della scuola.


Mentre era in corso il Consiglio dei Ministri giovedì 12 Marzo, i lavoratori della scuola presidiavano piazza Montecitorio rispondendo all’appello degli autoconvocati (gli studenti avevano manifestato durante la mattinata), convinti che, viste le anticipazioni, la presentazione del ddl sulla scuola avrebbe presentato brutte sorprese. E così è stato. A parte la rinuncia degli scatti basati sul merito, che avrebbero comportato un taglio considerevole degli stipendi (già magri) per almeno 1/3 degli insegnanti e il ripristino, quindi, degli scatti di anzianità, misura che va considerata come una vittoria del movimento, che già a partire da questa estate si è organizzato e ha lottato contro “la Buona scuola” di Renzi, il resto del disegno di legge che sarà presentato in Parlamento contiene misure allarmanti. Vediamole nel dettaglio: 

1) Il balletto delle assunzioni. Le 150.000 assunzioni annunciate propagandisticamente lo scorso settembre sono scese a 100.000 e comprenderanno gran parte dei docenti iscritti nelle Graduatorie ad esaurimento (Gae), più i vincitori del concorso 2012 (gli idonei sono invece esclusi). Restano fuori 23.000 insegnanti della scuola materna che saranno stabilizzati in seguito e coloro che non hanno mai insegnato (per questi ultimi il governo non rischia la multa dell’Europa). Gli iscritti alle Graduatorie di istituto (GI) e tutti gli esclusi dalle assunzioni dovranno fare un concorso per essere assunti.
A parte la considerevole diminuzione (circa 50.000) delle assunzioni strombazzate per mesi, lo strumento del disegno di legge mette a rischio le assunzioni per il 1 settembre 2015; sarebbe stato meglio stralciare questa materia dal ddl e assumere con un atto amministrativo, visto che il piano di assunzioni era già stato previsto dal II governo Prodi, poi bloccato dalla Gelmini nel successivo governo Berlusconi. Inoltre, a causa dei tagli sempre della Gelmini (ben 8 miliardi), i posti vacanti sono solo 43.000. Cosa faranno gli altri 57.000 insegnanti che rimarranno senza cattedra? Probabilmente coloro che non accetteranno la mobilità regionale finiranno nel calderone dell’organico funzionale a fare i tappabuchi anche su discipline differenti rispetto a quelle in cui si sono abilitati (alla faccia della scuola di qualità!) e hanno lavorato per anni, vedendo il loro lavoro dequalificato rispetto al passato. Ciò comporterà l’eliminazione dei supplenti (sostituiti dall’organico funzionale) e, coloro che hanno maturato 36 mesi di servizio, ma non saranno assunti, non potranno avere altri incarichi (questo per evitare ulteriori multe dall’Europa), avallando così il principio chi ha più esperienza e competenza da precario diventa disoccupato (la scuola del merito! Sic!). Gli esclusi dalle assunzioni dovranno fare quindi un nuovo concorso nel 2016 non si sa bene su quali posti; il rischio è che sia un farsa come quello del 2012 che è costato migliaia di euro e vede persino gli stessi vincitori ancora a spasso.

2) Più potere (e soldi) ai presidi. Il preside “allenatore” potrà scegliere la sua squadra: nominerà i docenti di staff (anglismo che sostituisce “vicepreside”) per l’organizzazione e i docenti mentor per la valutazione degli altri docenti (utile a sostituire all’uguaglianza democratica la disuguaglianza liberale). Il super-preside potrà inoltre individuare i docenti che ritiene più adatti a realizzare il Piano dell’offerta formativa attingendo dagli appositi albi territoriali messi a disposizione dagli Uffici scolastici regionali. È il trionfo della scuola dell’autonomia dove i presidi gestiscono le risorse umane, tecnologiche, finanziarie, la didattica, gli edifici.
Insomma un partito che si definisce “democratico” si rivela a favore della tirannia. Concentra tutti i poteri in una sola figura, in barba a qualsiasi principio costituzionale, inclusa la libertà d’insegnamento. La scelta dei docenti da parte del capo d’istituto è tipica di una scuola privata che seleziona in base alla religione o ad altre appartenenze e non dovrebbe essere prerogativa della scuola pubblica, che invece dovrebbe selezionare in base all’esperienza acquisita e ai titoli (cioè al merito). La chiamata diretta da parte dei presidi, contrastata dal PD quando era all’opposizione e ora asse portante di questo ddl (tra l’altro non presente nel testo della “buona scuola”), inserisce nella scuola pubblica meccanismi clientelari, ricattatori nonché competitivi, tipici delle aziende private a danno della collegialità e della qualità della didattica e quindi della formazione dei discenti. È il ritorno della legge Aprea, bloccata nel 2012 dalle mobilitazioni degli studenti e dei docenti.

3) Togliere al pubblico per dare al privato. Le famiglie che iscrivono i figli nelle scuole paritarie dell’infanzia e del primo ciclo (elementari e medie) possono detrarre dalle spese sostenute fino a 400 euro. Il 5x1000, inoltre, può essere destinato alla scuola statale o a quella privata.
In linea con i principi del neoliberismo dettati dalla troika e abbracciati senza esitazione da questo governo, si toglie al pubblico e si dà il privato. Considerando, inoltre, che questa misura comporta la spesa di mezzo miliardo mentre il finanziamento della scuola pubblica non raggiunge un miliardo (dopo che ne ha visti sottratti otto) è chiara non solo la sottomissione dello Stato agli interessi dei privati, ma anche il fatto che la storiella che mancano i soldi è un bufala e le (contro)riforme della scuola sono dettate da mere scelte ideologiche.
Il destinare il 5x1000 alla “tua scuola”, strombazzato come coinvolgimento delle famiglie al miglioramento della scuola dei loro figli, è una misura altamente anti-egalitaria: le scuole dei ricchi saranno maggiormente avvantaggiate.
Palese in queste misure la violazione degli articoli 3 e 33 della Costituzione.

4) Addio alle classi pollaio? In sé una notizia positiva: I presidi possono derogare alla legislazione attuale ed evitare che si formino classi “pollaio”, ovvero con più di 25 allievi.
Viene un dubbio: se non è lo Stato a cancellare le classi pollaio, ma i presidi che “possono” derogare alla legge vigente, visto che gestiscono le risorse, le devono reperire e vengono valutati su come le spendono (pena la non riconferma) è proprio sicuro che sarà il loro primo atto?

5) Stipendi, merito e Bonus. Diversamente dalla “Buona scuola” rimangono gli scatti di anzianità, viene però introdotto il bonus delle eccellenze che andrà al 5% dei docenti che, secondo il dirigente scolastico e il consiglio di istituto sono i più meritevoli. Viene introdotto un voucher di 500 euro per tutti destinato all’aggiornamento.
Questa parziale marcia indietro del governo sulla questione del (presunto) merito, risultato delle mobilitazioni, è positiva ma non ci illudiamo. Il governo ha puntato tutto su due parole chiave: merito e autonomia e non arretrerà facilmente. Sembra anzi che la questione del merito è solo rimandata e su questa materia (come su altre, quali ad esempio sostegno e organi collegiali) chiederà al parlamento la completa delega. Il bonus da 500 euro è, invece, pura propaganda, un’una tantum puramente demagogica: pensiamo invece agli stipendi degli insegnanti tra i più bassi d’Europa (persino della Grecia), che in questi anni hanno perso potere d’acquisto a causa del mancato rinnovo del contratto. Il merito è anche frutto di uno stipendio adeguato: se sei costretto a fare un altro lavoro per arrivare alla fine del mese sottraendo tempo prezioso alla tua formazione professionale e allo studio ne risentirà la qualità della didattica e tutto ciò andrà a danno degli studenti.

6) Alternanza scuola-lavoro. Si prevedono stage e tirocini durante l’ultimo triennio delle superiori (400 ore nei tecnici e professionali, 200 ore nei licei) che varranno all’esame di maturità, dove potrà essere presente anche il tutor aziendale.
Ci sarebbe molto da dire su questo punto, ci limitiamo a sottolineare l’immane sottrazione al tempo scuola che comporterebbe l’alternanza scuola-lavoro con la conseguente limitazione al diritto allo studio; inoltre sarebbe lavoro non pagato e quindi sfruttamento del lavoro minorile. Insomma si licenzieranno i padri per far fare lavoro gratuito ai figli.

7) Alcune materie rafforzate, alcune opzionali. Si prevede il potenziamento dell’inglese, della musica, delle scienze motorie e della storia dell’arte e l’inserimento di diritto ed economia nei licei. Si dà la possibilità allo studente delle superiori di scegliere alcune materie (non si sa ancora quali), che diventeranno, quindi, opzionali.
Il potenziamento delle discipline di per sé è una cosa positiva, ma se non è opportunamente finanziato si rischia di fare il gioco delle tre carte: il rafforzamento di una materia comporterà necessariamente il depotenziamento di un’altra. 
Lo studente che può scegliere le materie è cosa altamente diseducativa: gli studenti devono essere formati non sono in grado di decidere, si rischia così di andare dietro le mode e di non poter fare più il programma ministeriale, perdendo così la conoscenza storica, letteraria, ecc.

8) La didattica hi-tech. Il piano digitale prevede, tra l’altro, l’inserimento di materie quali logica e pensiero computazionale (!) , cittadinanza digitale (!!), artigianato e produzione digitale (!!!), utilizzo critico dei social network. (!!!!)
La necessità di nuovismo a tutti i costi cela una profonda incompetenza di chi scrive queste riforme che poi vanno a pesare sugli studenti e gli insegnanti. D’altra parte non è stato coinvolto nessun pedagogista, nessun insegnante, nessun intellettuale nella stesura di questo ddl che cela dal punto di vista didattico incompetenza e pressappochismo. Questa “scuola 2.0” che si vuole creare nasconde però che gli edifici cadono a pezzi, nonostante la solita retorica dei fondi che sicuramente verranno stanziati per l’edilizia scolastica, poi puntualmente disattesi.
Di fronte a questo duro attacco alla scuola pubblica è necessaria una forte mobilitazione di insegnanti, studenti e genitori – dalle assemblee nelle scuole, alle manifestazioni in piazza fino allo sciopero – che conduca al ritiro del ddl. Chi ancora crede in una scuola pubblica, democratica, gratuita, laica, inclusiva e pluralista deve dare una mano a fermare questo scempio. Questo è il tempo, perché non c’è più tempo.

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