Nel
cuore del cuore di ciò che rimane del ghetto ebraico di Praga, ovvero
al centro del vecchio cimitero, dove si sono stratificati i corpi e la
cultura di migliaia di ebrei vissuti in quella città prima della
catastrofe nazionalsocialista, si erge la tomba di Judah Loew ben
Bezalel, anche noto come Yehudah ben Bezalel, o Jehuda Löw, o come
Maharal di Praga. Vissuto tra il 1520 e il 1609, Rabbi Loew rappresenta
ancora oggi un motivo di pellegrinaggio per le comunità ebraiche.
La
sua celebrità e la sua importanza sono dovute, oltre al ruolo
esercitato nell’ambito dell’interpretazione del Talmud, anche, e forse
soprattutto, per essere stato, almeno secondo le leggende che ne
circondano l’immagine, colui che, insieme al genero Jizchak ben Simson e
al discepolo Jakob ben Chajim Sasson, plasmò dal fango uno o più Golem,
riuscendo ad insufflargli lo spirito della vita.
Il Golem
costituisce, nella sua interpretazione più semplice, una sorta di automa
di argilla, una statua animata destinata ad obbedire agli ordini ed
alle necessità del suo creatore fino a quando questi non cancelli dalla
sua fronte l’alef di ‘emet, modificandone il significato da verità in met, morte.1
Oppure, più semplicemente, togliendogli dalla fronte la benda
contenente le parole magiche che lo animavano e lo tenevano in vita.
Ciò
che importa, in questa sede, della suddetta leggenda è legato al fatto
che tale o tali Golem, a seconda della versione, spesso si ingrandivano
troppo durante la loro azione e finivano col dover essere distrutti dal
loro creatore. Anche quando essi erano creati per difendere le stesse
comunità ebraiche da nemici più numerosi o più potenti. Bastava infatti
un attimo di disattenzione da parte di chi ne deteneva il controllo
perché questo o questi finissero col distruggere le proprietà, se non
addirittura le vite degli ebrei stessi.
Al di là delle sue interpretazioni kabbalistiche e trascendentali,2
il mito del Golem, anticipando di secoli sia Mary Shelley che Philip K.
Dick, tratta della facoltà umana di creare una vita artificiale e nel
fare questo ammonisce l’uomo dal non volersi rendere simile a Dio,
poiché da un essere imperfetto non può nascere nulla di perfetto.
Infatti già nel Talmud si parla di un essere artificiale creato da un
uomo pio. Ma il Golem in questione, creato da Rava, è incapace di
parlare poiché “i pii, gli uomini giusti, sono dotati di poteri
straordinari che sono però limitati dalle iniquità da cui nessun essere
umano può essere esente”.3
Prestiamo ben attenzione all’avvertimento: iniquità da cui nessun essere umano può essere esente.
Perché, a questo punto, è ben facile poter intravedere nella creazione e
susseguente distruzione del Golem una lezione sul limite e la
pericolosità che le macchine create dall’uomo, anche nella loro forma
istituzionale (Stato, esercito), possono comportare per coloro che
credono di poterle usare per la propria difesa o al proprio servizio.
Molto
ci sarebbe ancora da dire sui limiti che una parte del pensiero ebraico
pone alla vanagloria dell’uomo e dei suoi apparati, ma per ora basti
qui citare la contrarietà che molte comunità ebraiche da sempre
manifestano nei confronti dello Stato sionista di Israele e delle sue
aggressive politiche, sia nel mondo che all’interno dello stesso.4
Contrarietà
che ha assunto ultimamente i toni di una grande manifestazione di massa
tenutasi a Tel Aviv, sabato 7 marzo scorso, quando decine di migliaia
di persone (gli organizzatori hanno parlato di 85.000 manifestanti) si
sono raccolte, in vista delle elezioni parlamentari del 17 marzo, per
opporsi alle suicide politiche militariste di Netanyahu e del suo
governo di destra. Sono stati scanditi slogan come “Fermiamo la guerra”,
“Portate i soldati a casa” e “Gli ebrei e gli arabi rifiutano di essere
nemici”, mentre sugli striscioni era scritto “Israele vuole un
cambiamento” oppure “Bibi, hai fallito, tornatene a casa” (quest’ultimo
con riferimento al soprannome del premier).
La manifestazione era stata organizzata dal movimento “Un milione di
mani”. Lo scopo, a dieci giorni dalle elezioni, era quella di chiedere
un cambiamento delle priorità di Israele, con maggiore attenzione a temi
come la sanità, la scuola, i salari, la casa, il costo della vita e
l’assistenza agli anziani, mentre un bambino su tre versa in condizioni
di povertà.
Gli organizzatori del raduno avevano scritto sulla loro pagina Facebook: “Di
fronte alla guerra che sta pretendendo un pesante tributo di sangue, di
morti e di feriti da entrambe le parti, di distruzione e terrore, di
attentati e razzi, noi resteremo con l’affermazione: «Terminare la
guerra ora!» Invece di essere trascinati ancora e ancora in più guerre e
più operazioni militari, ora è il momento di condurre un percorso di
dibattito e di un accordo diplomatico. C’è una soluzione diplomatica.
Quale prezzo pagheremo – noi, i residenti del sud e il resto di Israele,
e gli abitanti di Gaza e Cisgiordania – per arrivare a questo? […]
Insieme, ebrei e arabi, sostituiremo il cammino fatto di occupazione e
di guerre, di odio, istigazione e razzismo, con un percorso di vita e di
speranza”.
“Abbiamo un leader che combatte una sola campagna – la campagna per la propria sopravvivenza politica”,
ha detto uno dei principali oratori: Meir Dagan, ex capo del Mossad,
che era in piazza con l’ex comandante militare della regione nord ed ex
vice capo del Mossad, Amiram Levin.
“Per sei anni, il signor Benjamin Netanyahu ha servito come primo ministro”- ha aggiunto- ”In sei anni non ha fatto una sola mossa per cambiare la regione e per creare un futuro migliore”
“Per sei anni, il signor Benjamin Netanyahu ha servito come primo ministro”- ha aggiunto- ”In sei anni non ha fatto una sola mossa per cambiare la regione e per creare un futuro migliore”
La
vedova del colonnello israeliano Dolev Keidar, ucciso durante
l’offensiva della scorsa estate contro la Striscia di Gaza, dal podio ha
severamente criticato l’approccio del premier verso la questione
palestinese. “Sì, signor Primo Ministro, ciò che è importante è la
vita stessa, ma è impossibile parlare tutto il tempo di Iran e chiudere
un occhio sul sanguinoso conflitto con i palestinesi, che ci costa tanto
sangue”, ha detto Michal Kestan-Keidar.
Mentre la crisi
mondiale precipita sempre più verso una guerra allargata, è chiaro ormai
per molti israeliani che, qualsiasi possano essere gli sviluppi futuri
dell’attuale situazione politica, economica e militare internazionale,
la politica aggressiva di Benjamin Netanyahu ha portato ormai lo Stato
di Israele ad un punto di non ritorno. Soprattutto con la spinta verso
la guerra all’Iran, altrettanto voluta dagli Stati del Golfo e dal
regime saudita, ma attualmente osteggiata dagli Stati Uniti che, invece,
dell’Iran come alleato potrebbero avere sempre più bisogno per dirimere
le questioni mediorientali.
La politica dell’incremento della
spesa militare di tutte le maggiori potenze e di autentico riarmo da
parte della Cina, del Giappone e della stessa Germania confermano il
lento scivolare del globo verso un conflitto mondiale,5 di cui le guerre finanziarie e monetarie non sono che un’anticipazione gravida di imprevedibili conseguenze6.
Ed Israele potrebbe trovarsi a breve al centro di ogni tipo di
conflitto, senza alleati sicuri con cui concordare la propria azione.
D’altra parte Hannah Arendt l’aveva già previsto nel lontano 1948, ai tempi della prima guerra arabo-israeliana: “[…]
anche se gli ebrei dovessero vincere la guerra […] La nuova terra
sarebbe qualcosa di molto diverso dal sogno degli ebrei di tutto il
mondo, sionisti e non-sionisti. Gli ebrei “vittoriosi” vivrebbero
circondati da una popolazione araba interamente ostile, segregati entro
confini perennemente minacciati, a tal punto occupati a difenderli
fisicamente da trascurare ogni altro interesse e ogni altra attività […]
il pensiero politico sarebbe focalizzato sulla strategia militare; lo
sviluppo economico sarebbe determinato esclusivamente dalle necessità
della guerra. E questa sarebbe la sorte di una nazione che,
indipendentemente dal numero di immigrati che potrebbe ancora assorbire e
dall’estensione del suo territorio […] continuerebbe a essere un
piccolo popolo soverchiato dalla prevalenza numerica e dall’ostilità dei
suoi vicini”.7
Da
settant’anni ormai lo Stato di Israele affida la sua sicurezza a
Tsahal, uno degli eserciti più armati, addestrati e potenti del mondo
ipocritamente definito come Forza di difesa, senza però mai essere
venuto definitivamente a capo dei suoi problemi di sicurezza ed
economici. Anzi entrambi sembrano essersi aggravati nel corso dei
decenni, dimostrando così che il progressivo rafforzamento del Golem
tecnologico-militare non ha contribuito a difendere meglio il suo
territorio né, tanto meno, a migliorare le condizioni di vita della
maggioranza dei suoi abitanti.
Da
questo punto di vista la storia del carro armato Merkava, il gioiello
corazzato dell’esercito israeliano, nato nel 1979 e interamente prodotto
in Israele, può costituire un buon esempio.
Il carro Merkava prende pomposamente il nome dalla parola ebraica Merkavah, (carro, biga) usata in Ezechiele (Ez1,4-26) con riferimento al carro-trono di Dio con angeli detti Chayyot.
Il carro Merkava prende pomposamente il nome dalla parola ebraica Merkavah, (carro, biga) usata in Ezechiele (Ez1,4-26) con riferimento al carro-trono di Dio con angeli detti Chayyot.
Il profeta Ezechiele così descrive la struttura del Carro Celeste: “Le
ruote avevano l’aspetto e la struttura come di topazio e tutt’e quattro
la medesima forma, il loro aspetto e la loro struttura era come di
ruota in mezzo a un’altra ruota. Potevano muoversi in quattro direzioni,
senza aver bisogno di voltare nel muoversi. La loro circonferenza era
assai grande e i cerchi di tutt’e quattro erano pieni di occhi
tutt’intorno. Quando quegli esseri viventi si muovevano, anche le ruote
si muovevano accanto a loro e, quando gli esseri si alzavano da terra,
anche le ruote si alzavano. Dovunque lo spirito le avesse spinte, le
ruote andavano e ugualmente si alzavano, perché lo spirito dell’essere
vivente era nelle ruote. Quando essi si muovevano, esse si muovevano;
quando essi si fermavano, esse si fermavano e, quando essi si alzavano
da terra, anche le ruote ugualmente si alzavano, perché lo spirito
dell’essere vivente era nelle ruote”. (Ez. 1,16-21)
Il
richiamo biblico serve dunque a definire un mezzo corazzato in grado di
raggiungere ogni luogo e in qualsiasi condizione. Tant’è però che, anche
se oggi è considerato dagli esperti il carro armato più sicuro al
mondo, nel corso degli anni i modelli succedutisi sono stati almeno
sette: tutti modificati, o quasi, a seguito delle esperienze belliche
sui vari fronti (a partire da quella in Libano degli anni ottanta). E
senza che esso sia mai riuscito a trionfare nello sconto urbano o su
territori difficili come quello del confine libanese, per cui è stato
continuamente modificato.
L’aumento della potenza da sola non
basta contro un nemico abile e determinato anche se armato in maniera
più povera. Questa è una lezione che la strategia militare occidentale
ed israeliana continuano a non comprendere. Anzi, si potrebbe dire che
la guerra da sola, come strumento di controllo e di dominio non sarà mai
sufficiente a risolvere i problemi tra le società e le nazioni.
Forse
era anche questa la lezione che gli uomini pii delle antiche leggende
volevano trasmettere: la forza non basta, anzi spesso è dannosa anche, e
forse proprio, per chi pensa di averne di più. Poiché nel momento in
cui quella forza gli si rivolterà contro, l’apprendista stregone non
saprà e non potrà affrontarla perché tutto il suo sapere, tutte le sue
abilità e tutte le sue esperienze si saranno già preventivamente
concentrate in essa e soltanto in essa. Privandolo di qualsiasi altra
possibilità dialettica o strumentale.
Oggi Bibi, l’omino di latta
dal sorriso feroce, sbruffoneggia, ricordando qualche nostro premier,
mentre scherza col fuoco di una guerra allargata. Eppure già diversi
anni fa, un vecchio israeliano, comunista di origini polacche, aveva
intravisto la trappola in cui il sionismo si sarebbe racchiuso da sé.
Senza via di scampo. “Nonostante lo stato d’assedio e i
bombardamenti, nonostante tutti i morti e i feriti, nonostante le
massicce distruzioni e i colpi inferti alle istituzioni militari e
civili dell’Autorità palestinese, nessun segno di prossima capitolazione
è in vista. La deteminazione dei palestinesi e delle palestinesi, di
ogni tendenza, si esprime nella loro ostinata volontà di rimanere sul
posto e di condurre una vita normale in mezzo alle distruzioni […] Ma,
come tutti gli imbecilli gallonati del mondo, i generali israeliani,
compresi quelli che hanno deposto l’uniforme per diventare ministri,
sono convinti che quello che non sono riusciti a ottenere con l’uso
della forza, lo otterranno usando una forza ancora maggiore”8
E concludeva affermando: “La
povertà intellettuale di un Benyamin Netanyahu, il provincialismo
culturale di un Ariel Sharon li rende ciechi: credendo di servirsi degli
Stati Uniti per il loro progetto coloniale, essi non sono, in realtà,
che lo strumento di un progetto molto più ambizioso che ha, fra l’altro,
come rovina il popolo di Israele”.9
Schiacciato
tra i giochi planetari della potenza declinante di Washington e quelli
locali delle monarchi sunnite del Golfo e delle potenze rampanti come
Cina, Turchia e Iran, Israele rischia veramente di fare la fine del
topo. Nonostante la prosopopea da protettore degli “ebrei di tutto il
mondo” con cui Bibi ha voluto presentarsi alle imbambolate piazze
parigine del post-Charlie.
A meno che i suoi cittadini non si arrischino, per ridurlo in polvere, a
togliere l’alef dalle parole, false, scritte sulla fronte del loro
Golem.10
Così come dovremo fare noi anche qui, nel resto dell’Occidente,
strappando dalla fronte dei nostri Golem imperialisti e militaristi le
magiche parole “Progresso, Democrazia e Libertà” con cui continuano a
tenersi in vita. A spese nostre e del mondo intero.
- Così come avviene nelle narrazioni medievali riguardanti la creazione del Golem riportate in Moshe Idel, Il Golem. L’antropoide artificiale nelle tradizioni magiche e mistiche dell’ebraismo, Einaudi 2006, pag. 90 e seguenti ↩
- Vedasi, oltre al già citato Moshe Idel, anche Gersom Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica, Einaudi 1993 e, ancora, G.Scholem, La Kabbalah e il suo simbolismo, Einaudi 1980 ↩
- M. Idel, op. cit., pag.50 ↩
- Si confrontino, a tal proposito, Yakov M. Rabkin, Una minaccia interna. Storia dell’opposizione ebraica al sionismo, Ombre Corte, Verona 2005 e Furio Biagini, Giudaismo contro sionismo. Storia dei Neuteri Karta e dell’opposizione ebraica al sionismo e allo Stato di Israele, l’Ornitorinco edizioni, Milano 2010 ↩
- Si vedano: Guido Santevecchi, Il riarmo cinese. Spese su del 10%, Corriere della sera 5 marzo 2015; Giovanni Zagni, La Germania pensa al riarmo e rivede il suo pacifismo, Corriere della sera 9 marzo 2015; Guido Santevecchi, La spesa record del Giappone per il riarmo. Guardando alla Cina, 15 gennaio 2015 ↩
- Brunello Rosa, La guerra delle valute, in Moneta e Impero, Limes 2/2015 ↩
- Hannah Arendt, Salvare la patria ebraica: c’è ancora tempo (1948) in Ebraismo e modernità, Feltrinelli 1993, pp. 167-168 ↩
- Michael Warschawski, A precipizio. La crisi della società israeliana, Bollati Boringhieri 2004, pp. 48-49 ↩
- M.Warschawski, op.cit., pag.123 ↩
- Sulla possibile sconfitta elettorale di Netanyahu e della sua coalizione alle prossime elezioni si veda Bernardo Valli, Tra i seguaci di Netanyahu che temono le urne. La sinistra di Israele torna a sognare la vittoria, La Repubblica 13 marzo 2015 ↩
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