Ai militanti della CGIL che ancora una volta gremivano
Piazza San Giovanni è stato offerto un comizio dagli antichi accenti fabiani,
immagini quasi tratte dalla Londra dickensiana (abbiamo visto negli occhi…) e
un progetto di puro stampo keynesiano solo lontano parente del piano del lavoro
del 1949.
Intanto lo slogan di fondo, dal tono molto accorato era
“ascoltateci!” in perfetta linea con gli esponenti della minoranza del PD
presenti in piazza considerati, soprattutto dai mezzi di comunicazione di
massa, gli unici interlocutori politici.
Pesa come un macigno, inutile nasconderselo, l’assenza di un soggetto politico, di un partito di
sinistra in grado in questo momento di sviluppare un’opposizione efficace, di
sistema, capace di offrire una visione alternativa non solo rispetto al momento
ma nella stessa prospettiva di una radicale trasformazione della società.
Quello disegnato nel comizio di Susanna Camusso è apparso
quasi un quadro da fine’800 – primi ‘900 perfettamente in linea con l’intensità
dei livelli di arretramento sociale e di sfruttamento imposti dalla gestione
capitalistica .
In linea anche, questa visione ottocentesca, con l’assenza di prospettiva.
Ancora una volta: piazza piena e vuoto politico.
Quasi un simbolo della fase di che stiamo attraversando.
Dalla Leopolda la risposta è venuta secca: ascolteremo
(dalle 19 alle 19,30) poi andremo avanti perché il Paese ha bisogno di riforme
.
Riforme che
sottraggano democrazia, impoveriscano, riducano sempre più la forza lavoro a
merce disponibile per qualsivoglia transazione, amplino a dismisura le
diseguaglianze.
Una risposta quella arrivata dalla Leopolda che è riduttivo
definire “arrogante”, perché siamo ben oltre, ci troviamo in una dimensione già fortemente
antidemocratica e repressiva delle istanze popolari.
24 ore prima della manifestazione romane dalle piazze dallo
sciopero generale indetto dall’USB erano venuti segnali di resistenza: limitati
nei numeri ma combattivi e avanzati nelle espressioni.
Due mondi diversi quelli delle avanguardie sindacali e
quello del grande popolo della CGIL che è stato fatto esprimere ancora una
volta in maniera subalterna.
Potrà essere possibile una nuova saldatura del mondo del
lavoro, una ripresa di coscienza di classe, di mobilitazione incisiva, di nuova
aggregazione sociale?
Prima di tutto è questione di “impatto”: non basta pensare a
uno sciopero generale posto in lontananza come traguardo.
Andrebbe programmato subito (e non lo si sta facendo) un
vero “autunno caldo” con forti iniziative di lotta da parte delle categorie non
soltanto in difesa di posti di lavoro messi in crisi: il contratto del pubblico
impiego, ad esempio, andrebbe denunciato e aperta subito una vertenza che
riproponga come fondamentale il tema della contrattazione nazionale.
La seconda questione è quella del programma: il “piano del
lavoro” non potrà essere tale senza mettere in discussione il tema
dell’intervento pubblico in economia, dell’avocazione allo Stato della
proprietà di infrastrutture, banche, settori strategici dell’industria.
Un programma che deve arrivare al cuore della “questione
europea” nell’intento di sollevare le classi lavoratrici del continente in un
afflato effettivamente internazionalista contro lo strapotere delle banche e i
vincoli imposti dalle tecnocrazie.
La terza questione di fondo è quella della rappresentanza
sindacale (un tema che corre di pari passo con quello della rappresentanza
politica): denuncia immediata dell’accordo del 10 Gennaio, rappresentanza
diretta e revocabile dei delegati sui luoghi di lavoro in luogo delle RSU;
determinazione di nuovi “passaggi storici” sul terreno della democrazia
sindacale e del rapporto tra questa e la democrazia politica.
Ai sindacati di base tocca il compito di sviluppare una
piattaforma di questo tipo investendo l’intero mondo del lavoro, facendo
ritornare il sindacato ai suoi compiti originari e primari.
Porre fino in fondo, insomma, il discorso sulla “vera
utilità” di questa passeggiata romana: perché se il sindacato non serve alla
classe che rappresenta limitandosi a chiedere un “ascolto” da parte del
governo, allora il suo compito è soltanto quello di stabilizzare, a comando, la
pace sociale e diventa negativo per le lavoratrici e i lavoratori facendo
smarrire il senso dell’organizzazione, della lotta sociale, della
rivendicazione di diverse e migliori condizioni di vita, del cambiamento
radicale di questa società profondamente ingiusta.
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