Per realizzarsi, la "resistibile ascesa di Arturo Ui" ha
sempre bisogno di truppe cammellate e nemici finti, o al massimo di
un'opposizione idiota.
E' così anche per la resistibile carriera di Renzi, arrivato a un
passo dallo scardinare l'architettura costituzionale per consegnare il
paese al primo dittatorello che disporrà di una maggioranza
parlamentare. Naturalmente i suoi "meriti" sono abbastanza scarsi, più
abili - certamente - i maggiorenti che "lo abbiamo messo lì" (com'ebbe a
confessare il prode Sergio Marchionne, mentre spostava sede legale e
fiscale della Fiat-Fca in paesi meno fiscali). Ci perdonerete la
sgrammaticatura, speriamo, prendendo il buono che rivela.
L'altro elemento necessario è la pochezza di coloro che dicono di
volerlo contrastare. Al voto finale Renzi ci arrivava con un Pd
teoricamente spaccato, con Berlusconi ufficialmente tornato
all'opposizione, una Lega e una Sel decisi a votare contro, come anche i
penstastellati.
Vero è che alla Camera il Pd - grazie al "porcellum" - ha una
maggioranza blindata e può contare anche sull'apporto dei alfaniani e
neo-democristiani "popolari". Ma se gli oppositori fossero stati veri
avrebbero unificato i loro sforzi per "mettere sotto" il primo
presidente del consiglio mai eletto da nessuno.
E invece: i berlusconiani si dividono in tre pezzi: chi vota a favore
perché "queste riforme le abbiamo scritte anche noi", rivendicanone lo
stigma di destra piena, chi vota contro a prescindere perchè "ora siamo
all'opposizione" e chi si astiene è perché non ci capisce più un tubo.
I grillini lasciano l'aula, facendo così mancare una quota rilevante
di voti contrari (per "non legittimare lo stravolgimento della
Costituzione", bah...).
La "sinistra Pd", naturalmente, non manca di fare l'ennesima figura
innominabile per puteolenza, accingendosi ancora una volta a votare "sì"
per disciplina di partito (qui ridotta a servilismo puro). In
quest'area è difficile dire chi si sta comportando peggio. Se Fassina e
forse Civati, che potrebbero fa compagnia ai grillini sull'Aventino,
oppure se i "bersaniani", il cui portavoce - Cesare Damiano - ha
annunciato che voteranno a favore per «certificare lo sforzo compiuto
dalla minoranza per migliorare il testo di partenza». Migliorato? Mica è
un contratto dei metalmeccanici da svendere come al solito, vero
Cesare?
Una Costituzione di minoranza
di Massimo Villone, Il manifesto
Un brutto giorno per la Repubblica. Come era nelle previsioni, la
Camera approva la riforma costituzionale Boschi-Renzi, già votata in
Senato. 357 sì, 125 no, 7 astenuti, che alla Camera non contano.
Movimento 5 Stelle fuori dall’Aula. Numeri certo favorevoli a Renzi.
Ma è facile vedere, richiamando il consenso ai soggetti politici
realmente espresso nel voto del 2013, che una Camera depurata dalla
droga del premio di maggioranza dichiarato illegittimo con la
sentenza 1/2014 della Corte costituzionale oggi avrebbe bocciato la
proposta. Non è la Costituzione della Repubblica. È la
costituzione del Pd con escrescenze. Una costituzione di minoranza.
Questo conferma tutte le critiche sulla mancanza di
legittimazione a riformare la Costituzione di un parlamento
fulminato nel suo fondamento elettorale. E dunque non abbiamo
affatto un paese più semplice e giusto, come esulta Matteo Renzi.
Invece, abbiamo in prospettiva una Costituzione che non riflette la
realtà del paese.
Il voto della Camera ci consegna quel che sarà, molto
probabilmente, il testo definitivo della riforma. Si richiede un
nuovo passaggio in Senato per chiudere con l’approvazione di un
identico testo la fase della prima deliberazione richiesta
dall’art. 138 della Costituzione. Ma è ragionevole prevedere che
Renzi alzerà barricate contro ogni ulteriore modifica, che potrebbe
del resto toccare solo le parti ora emendate dalla Camera.
Immutata la sostanza. Lievemente migliorata la “ghigliottina”
per cui il governo poteva pretendere a data certa il voto su un testo
di sua scelta. Un vero e proprio potere di vita o di morte sui lavori
parlamentari. Ora rimane solo la data certa, e non è poco. Fino ad
oggi sarebbe stata materia riservata all’autonomia delle Camere
attraverso i regolamenti parlamentari. Da domani — scritta in
Costituzione — sarà invece un vincolo sul parlamento nei confronti
del governo. Peggiorata la riforma del Titolo V, dove viene
annacquato con inedite complicazioni il proposito — in sé
apprezzabile — di una semplificazione del rapporto Stato-Regioni.
Ma su tutto prevale la inaccettabile scelta — che rimane — di un
Senato non elettivo, di seconda mano e di doppio lavoro, tuttavia
investito di poteri rilevanti, tra cui spicca quello di revisione
della Costituzione. Mantengono piena validità le critiche più
volte espresse su queste pagine. Soprattutto per la sinergia con
l’Italicum, che va colta in tutto il suo significato. E se ne
accentua il rilievo nel momento in cui la riforma costituzionale
rimane pessima, e l’Italicum peggiora. Al già inaccettabile
impianto di base, inosservante dei principi posti con la sentenza
1/2014, si aggiungono ora il premio alla sola lista, la beffa dei
capilista bloccati e candidabili in più collegi, il
ballottaggio. Il colpo alla rappresentatività delle
istituzioni e ai processi democratici si aggrava.
La fine dichiarata da Berlusconi del patto del Nazareno aveva
suscitato qualche speranza. La lettera dei “verdiniani” — Verdini
è notoriamente in odore di renzismo — fa nascere dubbi sul
controllo di Berlusconi sul partito. Forse una parte dei suoi si
appresta a cambiare padrone, se non casacca. Nel prossimo voto in
Senato — ancora in prima deliberazione — non sarà prescritta una
particolare maggioranza. Ma sarà una prova generale per la seconda
deliberazione ex art. 138, per cui si richiede il voto favorevole
della metà più uno dei componenti l’assemblea. In Senato il dissenso
potrebbe allora essere decisivo. E affossare la riforma
trascinerebbe con sé anche l’Italicum, che nulla prevede per il
Senato assumendone il carattere non elettivo.
Sapremo dunque già nel voto che si avvicina se la sinistra del Pd
ha numeri e attributi. Sapremo se il patto del Nazareno è davvero
morto. Berlusconi ha inteso fare a Renzi lo stesso sgambetto che fece
a D’Alema nel 1997, quando affossò in Aula la proposta che Fi aveva
votato in Commissione bicamerale Allora, pur avendo i numeri, la
maggioranza di centrosinistra si fermò. Questa volta non gli
è riuscito. In Senato provaci ancora, Silvio. Magari faremo il tifo
per te.
Nel frattempo, bisognerà spiegare al popolo sovrano che nelle
istituzioni si forgiano le politiche di governo. Per le donne e gli
uomini di questo paese le scelte istituzionali non sono
indifferenti. Istituzioni semplificate e poco
rappresentative, assemblee elettive con la mordacchia, governi
che funzionano come giunte comunali (formula renziana), partiti
della nazione producono politiche conservatrici, disattente
verso i diritti, subalterne ai poteri forti, sorde alle diversità,
e invece tolleranti verso le diseguaglianze. Già accade.
Con pensosa pacatezza Bersani finalmente avverte che l’Italicum
non è votabile per la sinergia perversa con la riforma
costituzionale. Corra ai ripari. Qualcuno dovrebbe spiegare a lui
e all’evanescente sinistra Pd che la ditta li ha già messi in cassa
integrazione a zero ore. Anche il nuovo partito non più
leggerissimo di cui Renzi favoleggia li metterebbe in mobilità.
Per loro, solo contratti a tutele decrescenti.
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