“Per liquidare i popoli si comincia con il privarli della memoria. Si
distruggono i loro libri, la loro cultura, la loro storia. E qualcun
altro scrive loro altri libri, li fornisce di un’altra cultura, inventa
per loro un’altra storia. Dopo di che il popolo s’incomincia lentamente a
dimenticare quello che è e quello che è stato. E il mondo intorno a lui
lo dimentica ancora più in fretta!”.
Queste parole dello scrittore ceco Milan
Kundera si attagliano in modo particolare al nostro Paese, dove da
oltre 20 anni è in corso un processo di liquidazione della memoria che
in questo tempo contorto si è trasformato in un vero e proprio uragano e
si appresta a cogliere la sua vittoria definitiva attraverso una
incisiva controriforma della democrazia costituzionale attuata mediante
l’interazione fra la riforma elettorale e la revisione della
Costituzione.
Nelle Costituzioni c’è la memoria
storica dei popoli. Nella Costituzione italiana c’è la memoria del
risorgimento e della Repubblica romana, c’è la memoria delle conquiste
liberali, c’è la memoria delle contraddizioni e dei limiti dello Stato
monarchico che portarono all’avvento del fascismo, c’è la memoria delle
nefandezze del fascismo, che sono state ripudiate, c’è la testimonianza
viva della passione e delle speranze della lotta di liberazione, che
incarnano il lascito della Resistenza.
“Dietro ogni articolo di questa
Costituzione, – diceva Calamandrei nel famoso discorso agli studenti il
25/1/1955 – o giovani, voi dovete vedere giovani come voi caduti
combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di
concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di
Milano, per le strade di Firenze, cha hanno dato la vita perché libertà
e la giustizia potessero essere scritte su questa carta”.
Mettere mano alla Costituzione significa
confrontarsi con quel patrimonio di beni pubblici repubblicani che ci è
stato tramandato dalle generazioni passate, come testamento di
centomila morti, perché noi lo curassimo, lo mettessimo a frutto e lo
consegnassimo, a nostra volta, alle generazioni future. Ebbene, in quel
patrimonio, la giustizia, l’eguaglianza, la dignità umana non sono solo
rivendicate, ma sono istituite e garantite attraverso una trama
istituzionale che le rende resistenti alle insidie e alle sfide del
tempo.
Se i principi fondamentali della
Costituzione sono antitetici rispetto a quelli proclamati o praticati
dal fascismo, tuttavia è l’architettura del sistema istituzionale che fa
la differenza ed impedisce che, ove mai giungano al governo forze
politiche caratterizzate da cultura o aspirazioni antidemocratiche (è
proprio quello che si è verificato nel corso degli ultimi vent’anni in
Italia), queste forze possano realizzare una trasformazione autoritaria
delle istituzioni, aggredendo il pluralismo istituzionale o
l’eguaglianza e i diritti fondamentali.
La Costituzione ha insediato la libertà
che ci è stata donata dalla Resistenza, rendendo impossibile ogni forma
di “dittatura della maggioranza”. Proprio per questo negli ultimi venti
anni da un vasto arco di forze politiche la Costituzione è stata vissuta
come un impaccio, come una serie di fastidiosi vincoli, di cui
sbarazzarsi per restaurare l’onnipotenza della politica.
Quale sia il modello di ordinamento a
cui puntano le forze politiche che, ormai da un ventennio si avvicendano
al Governo del Paese, ce l’ha detto Silvio Berlusconi con la consueta
franchezza che lo contraddistingue. Qualche anno fa, nel corso di un
dibattito pubblico alla presentazione di un libro di Bruno Vespa sui
precedenti Presidenti del Consiglio, Berlusconi dichiarò testualmente:
“Tra tutti gli uomini di cui si parla in questo libro, c’è un solo uomo
di potere, ed è Mussolini. Tutti gli altri, poteri, non ne hanno, hanno
solo guai. Credo che se non cambiamo l’architettura della Repubblica non
avremo mai un premier in grado di decidere, di dare modernità e
sviluppo al Paese” (Corriere della Sera, 12 dicembre 2007).
Col tramonto di Berlusconi non è
tramontata la sua concezione delle istituzioni e la politica ha
continuato a perseguire l’obiettivo di demolire l’architettura dei
poteri pubblici come configurata dalla Costituzione, cioè il pluralismo
istituzionale ed il sistema dei pesi e contrappesi, per concentrare i
poteri supremi di direzione della politica nazionale nelle mani di un
unico decisore politico. Oggi si è messa in moto una grande macchina
mediatica che vuole farci accettare l’idea che l’abolizione del Senato o
la sua trasformazione in una sorta di Conferenza Stato-Regioni sia un
grande risultato per la democrazia italiana e che le elezioni siano una
sorta di lotteria popolare che serve per investire un capo politico del
potere di governare e legiferare senza limite alcuno. Dobbiamo dirlo
chiaro e forte!
Se finora abbiamo conservato la libertà,
se il percorso politico verso la dittatura della maggioranza non è
riuscito a quelle forze politiche che avevano come modello
l’architettura istituzionale realizzata da Mussolini, questo è avvenuto
perché hanno resistito le garanzie che saggiamente i Padri costituenti
hanno posto a presidio della libertà.
Ha resistito la Corte Costituzionale, ha
resistito, salvo che negli ultimi anni, la garanzia politica incarnata
dal ruolo del Presidente della Repubblica, ha resistito il sistema
dell’indipendenza della magistratura che ha svolto una funzione di
argine agli abusi dei leaders politici, ha resistito, malgrado le
distorsioni a cui è stato sottoposto, il pluralismo nell’informazione,
mentre il sistema del bicameralismo, pur in presenza di un Parlamento
nel quale è stata annichilita la rappresentanza, ha consentito di
rallentare e rendere più meditata la decisione politica, dando la
possibilità alla società civile di interloquire con i suoi
rappresentanti istituzionali per correggere le scelte più inaccettabili.
Proprio l’esperienza storica di questi
ultimi anni ci ha insegnato che, se non vi fosse stato il bicameralismo,
sarebbero divenuti legge progetti folli, approvati da un ramo del
Parlamento, come l’espulsione di migliaia di fanciulli dalle scuole
italiane, come il c.d. “processo breve” che consegnava la resa dello
Stato alla mafia, o la c.d. legge bavaglio, che disarmava la polizia e
la magistratura dei mezzi di investigazione moderni, aprendo la strada
all’impunità.
Dopo che la Corte Costituzionale ha dato
il massimo contributo possibile alla difesa della democrazia nel nostro
paese, cancellando gli istituti più ingiuriosi (per i diritti politici
dei cittadini) del porcellum, viene riproposta una nuova legge
elettorale che va in direzione ostinatamente contraria alla Costituzione
italiana e alla coraggiosa sentenza della Corte Costituzionale ed è
perfino peggiorativa del porcellum perché recupera una innovazione
introdotta da una legge del 1923, il premio di maggioranza alla lista
più votata, che consentì ad un unico partito di controllare insieme il
Parlamento ed il Governo, realizzando il massimo della governabilità con
i risultati che tutti noi conosciamo.
L’impostazione antitotalitaria della
Costituzione del 1948 nasce dalle dure lezioni della storia ed è
dissennato considerarla obsoleta, solo perche le esperienze totalitarie
del 900 sono tramontate. Consegnare il controllo del parlamento e del
governo nelle mani di un unico partito o di un unico capo politico, ci
consente di conservare la libertà solo a patto che sia virtuoso il
soggetto politico a cui conferiamo tali prerogative. Ma l’esperienza
della nostra storia recente dovrebbe farci dubitare della virtuosità dei
soggetti politici in campo. Abbiamo dimenticato che soltanto qualche
anno fa a un ministro della difesa, intervenendo alla cerimonia dell’8
settembre, in ricordo dei caduti per la difesa della città di Roma, gli
scappò di fare l’elegio dei combattenti della Repubblica di Salò?
Abbiamo dimenticato che soltanto pochi giorni fa un leader politico che,
come avveniva in Germania negli anni 30 del secolo scorso, ha trovato
negli stranieri il capro espiatorio della crisi, ha riunito le sue
truppe, fra un tripudio di croci celtiche e di saluti romani?
Per quale motivo noi dobbiamo rimuovere
le valvole di sicurezza che tutelano l’edificio della democrazia e
consegnare le chiavi della nostra libertà nelle mani del soggetto
politico minoritario che riceverà l’investitura popolare?
Come ha scritto Gustavo Zagrebelsky,
noi: “sommessamente ma tenacemente continuiamo a pensare, con i nostri
Costituenti, che la buona politica richieda più, non meno, democrazia,
cioè più partecipazione e meno oligarchia, più aperture e meno chiusure
ai bisogni sociali: i bisogni di chi meno conta nella società e perciò
più ha diritto di contare nelle istituzioni”.
Toglieteci tutto, ma non la democrazia!
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