Da quando me ne sono uscito, per nausea e disgusto, da un partito
oligarchico e inaffidabile, qual è il PD, non è però trascorso giorno
che non mi sia chiesto il perché di quanto a me accaduto. Cinque anni
sono corsi in fretta e, ancor oggi, poco o punto riesco a capacitarmi di
come una allettante intuizione iniziale sia poi naufragata per
imperizia dei piloti della nave. Checché se ne dica, a mio parere
nemmeno il dr Renzi alla lunga riuscirà nell’impresa poiché non
esistono, almeno in politica, gli uomini della Provvidenza e tanto meno
coloro che pretenderebbero di comandare in solitaria compagnia di solo
se stessi. Ma non è degli esiti politici nazionali che intendo, al
momento, occuparmi.
A fine Maggio si andrà al rinnovo del Consiglio Regionale dell’Umbria
e, aldilà di ogni altra considerazione, mi sento di affermare che il
potere ultraquarantennale della cosiddetta “sinistra umbra” abbia finito
per sfiancarla e logorarla fin nelle sue viscere, tanto che
l’appiattimento ideativo e il grigiore programmatico stanno investendo
tutti i comparti dell’azione pubblica, dalla sanità ai trasporti,
dall’agricoltura all’industria, dalla formazione scolastica alla
cultura, e chi più ne ha più ne metta.
Di ben altro, invece, vi è urgente necessità: dotare la Regione
dell’Umbria di una dirigenza politica, autorevole e illuminata, che sia
in grado di risollevare con tempestivi interventi le pessime sorti in
cui la medesima è stata fatta precipitare. Tutto ruota attorno al
partito egemone, appunto il PD.
Ci si chiede, sin dalla sua nascita, se è o meno realistico che
all’interno di detto partito esistano davvero due o più anime e, se sì,
come mai non si sia ancora riusciti a renderle conciliabili,
complementari e compatibili in ragione di una coesistenza pacifica e
generatrice di una soddisfacente politica per il governo della “cosa
pubblica”.
Per parte mia, in questi giorni, sto congetturando su dove sia e come
sia plasmata l’anima del PD la quale, senza inganno di apparenza, da
qualche parte dovrebbe pur esserci e, anche se non potrò essere del
tutto esauriente, mi proverò comunque a descrivere le brevi tappe delle
mie riflessioni.
Il nucleo centrale dell’identità ideale di un partito che tende a
proporsi come forza di progresso non può prescindere dal praticare,
nella concretezza della realtà, una strategia programmatica fondata su
princìpi sussidiari e solidali nel comparto sociale, pluralisti e
popolari a baluardo e difesa della democrazia, riformisti e/o
riformatori nella stesura legislativa di norme, regolamenti e
discipline.
Tutto quanto precede in virtù di meri ed astratti intendimenti
poiché, spesso e volentieri, vengono proclamati e diffusi tali concetti
mentre, paradossalmente, non se ne conosce né la sostanza e né la loro
pratica applicazione.
Ci si riempie la bocca, ad esempio, del termine solidarietà e non si
ha piena la percezione del valore ecumenico della “Pietas”, non dico
solo di quella cristiana, ma anche di quella greco-latina che, pur
pagana, era abbondantemente ricolma di raffinata sensibilità umana.
Basti pensare al pio Enea, descritto da Virgilio, nell’immagine di lui
che si carica sulle spalle l’anziano padre Anchise, malato e sofferente,
come a voler simbolicamente prendere su di sé il dolore e il bisogno
dei deboli, dei reietti e degli sconfitti.
Anche del pluralismo non si hanno ben definiti i contorni in quanto,
“ictu oculi, si avverte la sensazione di un suo uso limitativo e
limitato al “plurimum civitatis”, che porta con sé un’idea riduttiva e
riservata alle sole maggioranze di passaggio, mentre invece ci si
dovrebbe riferire alla “pluritas civitatis maiestatis” (Quintiliano, De
eloquentia) per afferrare appieno il senso della partecipazione di
tutti, e di tutti indistintamente, alle vicende economiche, politiche e
sociali della comunità di appartenenza senza substrati di
discriminazione per ragioni di diversità di pensiero o di azione.
Cosa poi ci sia dietro e dentro l’espressione “realizzare una
politica riformista”, non è affatto chiaro se non si coglie il
significato proprio della parola “reformé”, usata nel periodo meno
violento e più costruttivo della Rivoluzione Francese. Con “reformé”,
che ha le sue origini semantiche nella greca “diamorfé”, deve intendersi
il processo di metamorfosi da una forma arcaica di organizzazione
societaria verso un’altra più evoluta ed elevata, tale da garantire
migliori e più moderne strutture amministrative.
Le sintetiche valutazioni sopra riportate sono offerte all’attenzione
di ogni cittadina/o e, in particolare, alla introspezione del PD umbro
se non vuol che di lui si dica di essere stato, non tanto il promotore
di una coerente politica progressista, quanto piuttosto il suo
necroforo.
Dubito, però, che il PD sia in grado di guardare dentro se stesso e,
per cui, altra via non vedo se non quella di volgere lo sguardo, noi
corpo elettorale, verso altri lidi mutando radicalmente rotta.
Mario Tiberi
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