Poletti Giuliano, perito agrario e ministro del lavoro, va
preso sul serio quando invita a laurearsi subito con un voto da schifo
o a lavorare gratis al mercato. In un paese dove gli imprenditori non
sono laureati (come Poletti), e si rivalgono sui figli di nessuno, il
progetto è la guerra all’intelligenza collettiva.
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Poletti Giuliano, perito agrario non laureato è un ministro del
lavoro con le idee chiare per risolvere la disoccupazione dei laureati:
“Prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97
a 21″ ha detto sollevando le solite polemiche.
La guerra ai giovani
Bisogna prenderlo sul serio, Poletti Giuliano, perito agrario non
laureato. Nel corso del suo mandato ha sviluppato un pensiero nel
merito. «Troppi tre mesi di vacanze scolastiche — ha detto a marzo 2015 —
Magari un mese potrebbe essere passato a fare formazione». «Non
troverei niente di strano se un ragazzo lavorasse tre o quattro ore al
giorno per un periodo preciso durante l’estate, anziché stare solo in
giro per le strade».
Non bisogna farsi irretire dall’immaginario di questo emiliano,
cresciuto nella burocrazia imprenditoriale delle coop rosse, che coltiva
l’immaginario paternalistico contro i giovani immancabilmente
vagabondi, scioperati o, più elegantemente, “Choosy”. L’immaginario in
questione è comune alla classe dominante. Choosy fu l’epiteto rivolto da
Elsa Fornero, già ministra del lavoro nel governo Monti e docente
ordinaria a Torino, contro i laureati che non scelgono un lavoro
qualsiasi e, anzi, lo pretendono commisurato alle competenze maturate
nel corso degli studi. “Sfigati” furono definiti i fuoricorso dal
viceministro del lavoro Michel Martone, dello stesso governo. «I
fuoricorso hanno un costo anche in termini sociali» aggiunse Francesco
Profumo, ministro dell’Istruzione coevo.
Con Monti a Palazzo Chigi ci fu una violenta offensiva contro
i laureati, e i giovani dai 15 ai 34 anni in generale. Il messaggio fu
immediatamente recepito da un’altra docente universitaria mandata
a dirigere il ministero dell’Istruzione con il governo Letta. «Non
voglio più che gli studenti italiani arrivino a 25 anni senza aver mai
lavorato un solo giorno nella loro vita» disse Maria Chiara Carrozza.
Poletti Giuliano, perito agrario non laureato, ha studiato alla scuola dei professori
ordinari al governo, suoi ex colleghi, e ha trovato che il paternalismo
dell’impresa cooperativa che lui ha diretto per tanti anni è diffuso
ovunque, ai piani alti. A cominciare dall’università. Un classico da
libro cuore.
Filosofia Poletti
Poletti Giuliano, perito agrario non laureato, ha tuttavia una
visione del mondo molto precisa. Filosofica, addirittura. “In Italia —
ha sottolineato — abbiamo un problema gigantesco: è il tempo. I nostri
giovani arrivano al mercato del lavoro in gravissimo ritardo. Quasi
tutti quelli che incontro mi dicono che si trovano a competere con
ragazzi di altre nazioni che hanno sei anni meno di loro e fare la gara
con chi ha sei anni di tempo in più diventa durissimo”. “Se si gira in
tondo per prendere mezzo voto in più — ha insistito il ministro — si
butta via del tempo che vale molto molto di più di quel mezzo voto. Noi
in Italia abbiamo in testa il voto, non serve a niente”. Il voto
è importante solo perché fotografa un piccolo pezzo di quello che siamo;
bisogna che rovesciamo radicalmente questo criterio, ci vuole un cambio
di cultura”.
Può piacere o no, ma qui c’è una visione economica del tempo, del
mercato, della subordinazione, della competizione al ribasso sul costo
del lavoro. C’è un’idea di posizionamento del mercato italiano nelle
parti basse o bassissime sulla scena internazionale. C’è l’idea di fare i
“cinesi d’Europa”, proprio quando i cinesi progettano (da tempo) di
produrre tecnologia ad alto contenuto di valore e di esportarle in
Occidente. La nemesi, voluta da una classe dirigente tragicamente
incosciente, ma conseguente con
i tagli Gelmini a scuole e università che hanno agevolato la
disoccupazione e il crollo dei laureati. Come sostiene l’Ocse qui.
Lavorare subito, competere, disciplinare alle nuove regole del
mercato del lavoro italiano: professionalizzare l’istruzione nei settori
a basso contenuto tecnologico-relazionale e precario. Un classico in un
paese arretrato, brutale, ignorante dove gli imprenditori non sono
laureati (come Poletti che ha diretto Lega Coop dal 2002 al 2013
e l’Alleanza delle cooperative dal 2013 al 2014) e si rivalgono sui
sottoposti, i non affiliati, i figli di nessuno.
Poletti rappresenta un ceto senza formazione terziaria avanzata —
gli imprenditori — che hanno dato vita a una struttura
imprenditoriale a gestione familiare (il 66% contro il 36% della
Spagna e il 28% della Germania), incapace di «valorizzare il
capitale umano», l’innovazione del lavoro e l’internazionalizzazione
dell’impresa. Più che investire sul lavoro e sulla formazione, il
governo sta premiando i meccanismi di reclutamento di tipo
familistico che, secondo il rapporto, sono diffusi in questa
tipologia di aziende. Così la mobilità sociale resta il sogno degli
illusi della meritocrazia. I dati citati sono di un rapporto Almalaurea.
Una filosofia non supportata dai dati
Il problema di Poletti, e dei suoi ispiratori, è che non leggono
i rapporti che pure darebbero ragione alla loro impostazione
professionalizzante dell’istruzione terziaria, e in particolare del
mitologema tutto italiano: l’alternanza “scuola-lavoro” come lavacro del
fallimento delle riforme dell’università.
Quando parla del valore del voto Poletti confonde la laurea triennale
con la magistrale. Per l’Ocse l’Italia produce il 20% di minilaureati
contro la media del 17%. Queste persone vanno subito a lavorare. Il
problema, segnala l’Ocse, è che solo il 42% dei giovani si iscriverà ai
programmi d’istruzione terziaria. Siamo terzultimi, con Lussemburgo
e Messico.
Cosa fanno, invece, gli studenti universitari durante gli studi? Anche qui c’è una sorpresa.
Le statistiche Alma Laurea hanno evidenziato da tempo un boom di stage
e tirocini (+36% dal 2004), i ragazzi lavorano, sono sempre più precari,
si guadagnano da vivere, con l’aiuto dei genitori.
I giovani che sono attaccati, vilipesi, umiliati lavorano prima,
durante e dopo la laurea. E lavorano precariamente e con redditi bassi
per non dire inesistenti. La campagna di Stato contro l’università,
contro la laurea come strumento per avere uno stipendio leggermente
superiore al diploma, continua. Non importa che le sue tesi siano false.
Le statistiche, e addirittura la realtà non contano nulla. Dal 2008
a oggi, con i tagli, e poi con lo svuotamento di senso dell’istruzione,
si persegue una precisa idea del lavoro: non pagato, sottopagato,
grigio. Un lavoro da schiavi, un’istruzione irrilevante per i suoi
scopi.
E’ la guerra all’intelligenza collettiva. Questo è il progetto.
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