L’evasione fiscale in Italia è stimata in circa 180 miliardi di euro all’anno e
già la sola riduzione del 50% comporterebbe la disponibilità per lo
Stato di circa 90 miliardi di euro. Se il 50% (45 miliardi) di essi
venisse destinato a interventi sul welfare e a riduzione delle aliquote fiscali,
destinando il rimanente 50% alla riduzione del debito, la maggior parte
degli interventi che danno invece origine a scontri sociali più o meno
indotti potrebbero essere attuati e i conti dello Stato si risanerebbero
in fretta.
L’emersione dell’evasione fiscale avrebbe inoltre alcuni effetti
collaterali importantissimi: innanzitutto favorirebbe l’emersione
dell’evasione contributiva associata; secondariamente, tramite
l’emersione delle due evasioni congiunte, consentirebbe di ottenere chiarezza sulla reale distribuzione della ricchezza
che è resa più che opaca dall’evasione. Si potrebbe sapere da subito e
con ragionevole certezza, se per esempio una parte dell’assistenza dello
Stato non vada a persone che non sono bisognose, o determinare con
criteri non puramente numerici se alcune delle pensioni che appaiono da
integrare in modo assistenziale siano invece il frutto colpevole e
autolesionista di evasione contributiva reiterata.
Senza questa chiarezza, qualsiasi tipo di
intervento che sia ispirato da considerazioni sui redditi accertati e
sulle loro capacità di contribuire, è cronicamente iniquo. E’ iniquo il
sistema dei ticket sanitari, come il regime delle tasse scolastiche,
con esenzioni che certamente finiscono anche a evasori totali e che in
prospettiva si vorrebbero ribaltare in modo ancora maggiore sui redditi
accertati, come per esempio suggeriva Maurizio Ferrera sul Corriere della sera del 12 Novembre; sono iniqui gli interventi sulle pensioni,
tarati sull’ammontare degli assegni che talvolta, nelle fasce basse,
sono appunto dovuti all’evasione contributiva e parte degli interventi
assistenziali. Su quest’ultimo punto, in particolare, è palesemente
iniquo l’approccio del presidente dell’Inps Boeri il quale, prescindendo ormai anche da qualsiasi considerazione contributiva propone di spostare risorse dalle pensioni più alte a sussidi di disoccupazione,
lasciando intoccate le pensioni basse e medie tra le quali si contano,
oltre alle note pensioni baby, anche tutte quelle i cui destinatari
hanno scelto di accantonare in segreto anziché versare contributi. Ma sulla iniquità della proposta Boeri ha scritto meglio di me Giampaolo Galli in un articolo recentissimo su L’Unità e non mi dilungo sull’argomento.
Alla luce dei numeri e del panorama desolante dell’iniquità basata sui redditi conosciuti (il triste scenario è ben descritto in un ottimo articolo di A. Brambilla sul CdS del 16 giugno 2015)
viene da chiedersi come mai editorialisti, economisti, sindacalisti,
associazioni e più in generale i cittadini compatti non si impegnino
alacremente nel richiedere con forza e fermezza che vengano affrontati e
risolti alcuni problemi che costituiscono un macigno sulla strada del risanamento dei conti e del reperimento delle risorse necessarie a interventi di vario genere. Mi riferisco come detto all’evasione fiscale,
ma anche alla corruzione con i suoi enormi costi associati,
all’inefficienza della macchina politico/amministrativa e dell’apparato
burocratico.
Viceversa, i cittadini vengono indotti a bisticciare tra loro come i
galletti di Renzo (Tramaglino, a scanso di equivoci), scontrandosi
(fortunatamente in modo solo verbale, per ora) su materie di secondaria
importanza e soprattutto a incidenza finanziaria quasi marginale.
Così, abbiamo giovani contro anziani in un “conflitto intergenerazionale” articolato in forme talvolta più razionali (scostamento retributivo – contributivo) talvolta più “mirate alla pancia” (“il
sistema a ripartizione costringe i giovani di oggi a pagare le pensioni
dei vecchi”, come se non fosse stato sempre così) o pensionati contro
attivi e disoccupati, facendo credere che la flessibilità in uscita o il
sussidio ai 55enni senza lavoro non siano realizzabili se non a spese
di alcuni degli attuali pensionati, quasi che, solamente perché le due
cose sarebbero entrambe gestite dall’Inps, fossero logicamente
interconnesse e che non fosse possibile finanziare li sussidi da altre
zone (alcune, come detto, assai oscure) della contabilità dello Stato e
che la flessibilità in uscita si possa realizzare solamente a spese di
chi è già in pensione.
Vale qui ricordare che nei calcoli di Boeri, i sussidi ai 55enni valgono circa 1,5 miliardi di euro all’anno, cioè meno di 1/100 dell’evasione fiscale.
Nessuno vuole spiegare ai giovani che le risorse necessarie a modificare il loro futuro (siano esse sotto forma di tassazione più bassa o di reintroduzione del retributivo
per i redditi bassi e medi) vanno cercate altrove che dai pensionati
attuali o ai disoccupati che le ragioni per le quali il sussidio non
viene legiferato nulla hanno a che vedere con le pensioni d’oro,
d’argento e di bronzo, stante che l’assistenza manco dovrebbe stare
insieme alla previdenza ed essere invece finanziata dalla fiscalità
generale.
Questo comportamento, che definirei strategico, ha risvolti
drammatici; distoglie l’attenzione, dandoli per scontati, dai problemi
la soluzione dei quali sarebbe interesse di tutti e crea i presupposti
per scontri sempre più violenti tra categorie di cittadini, consolidando
un clima di reciproca sfiducia e di astio che sono l’esatto contrario di ciò di cui una nazione bisogno.
La modalità non è nuova: si tratta del “divide et impera”, nell’allocuzione latina o “diviser pour régner “, nella versione riferita a Luigi XI di Francia e definisce da millenni una strategia di potere politico
o militare che si esplica nel dividere gli oppositori evitando quindi
avere a che fare con un fronte compatto, numeroso e per questo temibile.
E’ molto più facile aizzare gli uni contro gli altri i cittadini (e che
poi si scannino tra loro) anziché predisporsi a rispondere
responsabilmente a una eventuale loro richiesta di eliminazione di
problemi collettivi e cronici.
Nessun commento:
Posta un commento