Parigi – Londra, patto di guerra.
Così titolava in prima pagina il “Corriere della sera” ieri mattina.
Poi, nella stessa giornata, un caccia russo Sukhoi 24 è stato abbattuto
nei cieli turco-siriani su ordine del premier Ahmet Davutoglu e la
Russia ha schierato le proprie navi davanti alla costa turca.
L’esplodere dei grandi conflitti è sempre stato preceduto dal
manifestarsi di una grande “voglia di guerra”. Voglia che si manifesta
nelle dichiarazioni pubbliche e nei discorsi privati, nei quotidiani e,
oggi, nei media di ogni genere. Nelle scelte della politica e
dell’economia. Nella preparazione delle azioni militari e in quelle
repressive. Nella designazione di un nemico disumano, meritevole di ogni
violenza e di ogni atto di vendetta.
Voglia di armi
“Energia
e difesa trainano le borse”. Non erano ancora passati cinque giorni dai
fatti di Parigi che, mercoledì 18 novembre, “il Sole 24 Ore” poteva
trionfalmente dichiarare in prima pagina la felicità degli investitori
per la situazione venutasi a creare per le conseguenze poltico-militari
degli attentati messi in atto dai militanti dell’Isis . Come se ciò non
bastasse sulla colonna di sinistra un altro articolo dichiarava, quasi
spudoratamente: “Europa e conti. Più che la stabilità poté la
sicurezza”.
L’appello di lunedì 16 novembre del Presidente della
Repubblica francese alla clausola dell’articolo 42, punto 7, del
Trattato di Lisbona, riferito al mutuo soccorso europeo, ha aperto di
fatto la porta alla possibilità di uscire dai vincoli dei trattati
europei, riguardanti la spesa degli stati, per tutto ciò che riguarda la
sicurezza ovvero uomini, armi e tecnologie securitarie. Il taglio della
spesa pubblica, tanto richiamato da tutti i partiti di governo e di
opposizione, in un solo colpo può quindi essere aggirato, grazie
sostanzialmente all’appello di François Hollande, a favore delle imprese
fornitici di armamenti per gli eserciti e servizi all’intelligence.
Da
qui la gioia delle Borse, per le quali, evidentemente, i morti,
parigini o siriani che siano, della guerra in atto non sono altro che
una forma di interesse da pagare per il buon funzionamento e la ripresa
dei mercati. Una specie di keynesismo del sangue che andrebbe di diritto
inserito tra i crimini dei potenti e dell’economia di recente
analizzati da Vincenzo Ruggiero in alcuni suoi testi.1
Sabato 21 novembre “Repubblica.it” titolava “L’affare della guerra all’Is: boom di Borsa e vendita di armi, l’Italia c’è”, affermando chiaramente che
“Domandare,
offrire; vendere, comprare. Le regole del mercato sono poche e
semplici. E la guerra aperta dalla Francia e dalla Russia dopo gli
attentati terroristici ad opera dell’IS non fa eccezione. Per chi
domanda sicurezza, c’è chi offre strumenti di difesa; per chi vende
armi, c’è chi le compera. Gli stanziamenti degli Stati per armarsi
contro la minaccia terroristica cresceranno, questa è una delle poche
certezze di questi giorni: Francois Hollande ha già ottenuto da
Bruxelles di fare più deficit del previsto e anche la Stabilità italiana
si prepara a trovare 120 milioni di nuove risorse.” 2
Per poi proseguire “Con
i lampeggianti delle sirene parigine ancora accese, già si sapeva che
gli Usa avevano venduto migliaia di bombe intelligenti all’Arabia
Saudita, per 1,29 miliardi di dollari di valore. Per chi avesse dubbi,
basta guardare all’andamento di Borsa, dove fiutare l’affare è la
regola: aziende come la leader delle armi Lockheed Martin, ma anche
altri colossi come Bae System, la Airbus e la Boeing (che non producono
solo aerei passeggeri) e la nostra Finmeccanica hanno registrato un
balzo in avanti sui mercati. L’indice Bloomberg del settore
aero-spaziale e della difesa, dagli attentati di Parigi ha guadagnato il
4,5%, Finmeccanica più dell’8%”.
Per essere bipartisan occorre poi ricordare che Carlo Pelanda, su “Libero” di domenica 22 novembre, non dimenticando che “La grande depressione americana degli anni ’30 finì per la svolta espansiva e mobilitante data dall’entrata in guerra nel 1941”, ha sottolineato come non si veda “una
mobilitazione pacifista contro i bombardamenti, manco tanto selettivi,
di Raqqa o una condanna morale di Hollande perché, oltre alla parola
«guerra», ha anche aggiunto «vendetta». Pare che la percezione sia
quella di una Pearl Harbour europea caricata di una forte
caratterizzazione del nemico come indegno e non meritevole di pietà”. 3 Sintetizzando: il clima favorevole alla guerra c’è, vediamo solo di sfruttarlo al meglio.
Il
paradosso sta nei fatti: finita quella che si potrebbe definire come la
terza guerra mondiale, con cui sostanzialmente, tra il 1991 e,
indicativamente, l’eliminazione di Osama Bin Laden, gli Stati Uniti
hanno cercato di ridisegnare a proprio vantaggio il panorama
geo-politico venutosi a creare nel quarantennio di divisione
condominiale del mondo con l’URSS dopo la fine della seconda guerra
mondiale, ha avuto inizio, proprio dall’imbarbarimento di consuetudini e
stati seguito alla (fallimentare) balcanizzazione dell’Europa Orientale
e del Vicino Oriente voluta e perseguita dai vertici politico-militari
ed economici statunitensi, la quarta.
Mentre la terza, però, aveva
visto ancora una parte consistente del mondo, sviluppato e non,
adattarsi al comando americano sperando di trarre vantaggio sia dal
rafforzamento imperialista statunitense che dall’indebolimento e dalla
scomparsa dell’imperialismo sovietico in nome di un Nuovo Ordine
Mondiale, oggi a seguito della crisi economica, dello sviluppo e della
affermazione di varie potenze regionali e mondiali, della debolezza
della strategia americana e delle sue possibili prospettive, si ha uno
scontro di tutti contro tutti. In cui tutti gli attori sono
contemporaneamente possibili alleati e possibili nemici. Dal punto di
vista capitalistico, mercantile e finanziario è una situazione
magnifica: tutti possono vendere armi a tutti in attesa che i fronti si
definiscano meglio e le popolazioni, soprattutto in Occidente, si
abituino all’idea dell’inevitabilità dei sacrifici determinati dal clima
bellico e della giustezza delle ragioni della propria “patria” o del
proprio schieramento di riferimento.
Così la Francia può ballare
tra Stati uniti e Russia e l’Italia vendere armi agli Emirati del Golfo e
alla Turchia (solo per citare due esempi) continuando a gridare, sempre
più forte “Al lupo! Al lupo!” per il nemico alle porte. Quando il vero
nemico, il più importante, è costituito proprio da quei governi che ci
stanno portando al macello. Così mentre gli Stati Uniti, nel corso della
terza, avevano pensato di preparare una situazione utile sia a
contenere gli alleati/concorrenti occidentali, sia a circondare
strategicamente il colosso cinese, ora si trovano impantanati in una
situazione in cui ad ogni falso movimento rischiano di calpestare
pericolosamente i piedi di possibili alleati e possibili avversari
(ancora una volta i balletti di Kerry e Obama tra Iran, Israele,
Turchia, Russia ed Arabia Saudita possono servire da esempio).
Ballando
sull’orlo del baratro qualcuno inizierà a scivolare, trascinando con sè
tutti gli altri. In Turchia, in Siria, sulle coste del Mediterraneo:
dove sarà, sarà. Il luogo non sarà così importante alla fine.4
Per questo ho detto e ripeto ancora che il 13 novembre non corrisponde
all’11 settembre 2001 (tutto americano), ma al 28 giugno 1914.
L’italietta,
intanto, corre gioiosa incontro al proprio destino: soddisfatta degli
investimenti arabi sul territorio nazionale e nella sua linea aerea di
bandiera, spera di continuare a vendere armi a tutti, facendo girare a
mille gli stabilimenti di Finmeccanica e della Beretta e facendo finta
che il decreto legge che proroga la partecipazione militare italiana a
missioni internazionali approvato alla Camera, con la norma che
consentirà agli “007” di avvalersi dei corpi speciali per le operazioni
all’estero, non costituisca ancora un atto di guerra.5
“In
che modo la lotta al terrorismo sia un affare interessante per le
aziende del comparto è scritto anche nella relazione al bilancio 2014 di
Finmeccanica, portabandiera italiana della Difesa. Già in chiusura
dello scorso esercizio, ad assalto a Charlie Hebdo concluso, si
registrava che «la spesa per nuovi investimenti tenderà nei prossimi
anni a crescere con un ritmo intorno al 2% annuo, grazie al lancio di
programmi per lo sviluppo di nuovi sistemi di armamento e allo
stanziamento di fondi per operazioni contro il terrorismo organizzato
internazionale (circa 40 miliardi di euro tra il 2015 e il 2017)»
[…]L’azienda della Difesa è presente con dodici siti tra Arabia, Emirati
arabi uniti e aree circostanti. Con gli Eau, in particolare, nel
bilancio di sostenibilità Finmeccanica ricorda che c’è un interesse
«testimoniato dalla più che quarantennale presenza sul territorio degli
Eau, con i quali sono stati avviati importanti programmi di sviluppo che
hanno condotto alla creazione di una sede ad Abu Dhabi, con funzione di
coordinamento di tutte le attività nell’area. Finmeccanica intende
rafforzare la partnership con gli Emirati Arabi Uniti mediante la
definizione di ulteriori alleanze con il settore pubblico e privato e
con importanti enti di ricerca governativi, ampliando la rete di
collaborazione con i player di settore locali». A scanso di equivoci,
proprio in questi giorni l’ad Mauro Moretti è tornato a chiarire che
l’interesse è rivolto in tutte le direzioni: «Fornire armamenti a paesi
come Arabia Saudita e Qatar che sono considerati controversi? Sono paesi
che sono legittimati dagli Usa ed entrano a far parte del fronte
Occidentale in questa vicenda»“. 6
Continuando a far finta che un comune fronte Occidentale ancora esista.
… e di petrolio
L’euforia
borsistica, come si diceva all’inizio, si è estesa anche all’altro
grande protagonista dei drammi mediorientali presenti e passati: il
petrolio.
Protagonista indiscusso dello scontro sia mondiale che locale tra potenze imperiali, ma anche tra potenze regionali con aspirazioni globali come ben dimostra il coinvolgimento nel dramma siriano di Arabia Saudita, Stati del Golfo e Turchia, più o meno, dallo stesso lato e Iran dall’altro.7 Petrolio che costituisce anche una delle fonti dirette di finanziamento dello stesso Stato islamico e uno, se non l’unico, dei principali motivi della sua azione nel Vicino Oriente e in Africa.
Protagonista indiscusso dello scontro sia mondiale che locale tra potenze imperiali, ma anche tra potenze regionali con aspirazioni globali come ben dimostra il coinvolgimento nel dramma siriano di Arabia Saudita, Stati del Golfo e Turchia, più o meno, dallo stesso lato e Iran dall’altro.7 Petrolio che costituisce anche una delle fonti dirette di finanziamento dello stesso Stato islamico e uno, se non l’unico, dei principali motivi della sua azione nel Vicino Oriente e in Africa.
“I proventi vengono per il 27 per cento dalla vendita di petrolio” sostiene in un articolo, sull’Espresso on line del 20 novembre, Gianluca Di Feo a proposito delle finanze dell’Is.8
Mentre Maurizio Ricci, in una più dettagliata analisi, sostiene che,
pur essendo limitate le capacità estrattive dei miliziani, lo Stato
islamico ha potuto contare sull’estrazione di 50.000 barili giornalieri
nei territori occupati in Siria. nella zona orientale di Deir al-Zour, e
altri 30.000 nella regione di Mosul.
Una parte di questo petrolio
è avviato attraverso mezzi di fortuna, asini compresi, verso la Turchia
dove, nel terminale petrolifero di Ceyhan può essere mescolato con il
greggio ”proveniente da fonti legittime”.
“Di
fatto, l’Is può vendere il suo greggio, in condizioni di monopolio,
nella regione che controlla, […]Gli esperti calcolano che questo flusso
porti oggi l’equivalente di un milione, un milione e mezzo di dollari al
giorno nelle casse del Califfato. In prospettiva, un tesoro di 4-500
milioni di dollari l’anno […]L’Is gestisce, però, solo in parte il
traffico. I jihadisti hanno il controllo diretto dei giacimenti e
quello, diretto o indiretto, di alcune delle maggiori raffinerie.
Ma
il trasporto del greggio verso queste raffinerie e le molte piccole e
piccolissime, quasi casalinghe, è assicurato da centinaia di operatori
indipendenti. Chi ha potuto girare nelle aree controllate dall’Is dice
che, fuori dai giacimenti, ci sono code fino a 6 chilometri di camion
che aspettano di poter riempire le loro cisterne”. 9
Solo
recentemente, però, l’aviazione americana, forse seguendo l’esempio di
quella russa, ha iniziato a bombardare tali raffinerie, spesso mobili,
dislocate principalmente lungo il corso dell’Eufrate. Una delle fonti di
finaziamento è stata dunque per lungo tempo operativa e, nonostante
tutto, continua ad esserlo tutt’ora. Così come il Qatar, che è tra i
maggiori indiziati per il sostegno allo Stato islamico (presente
probabilmente nella lista dei quaranta paesi finaziatori dell’Isis cui
ha recentemente accennato Putin), continua a godere di una fitta rete di
relazioni in Europa e in Italia grazie a investimenti milionari nei
settori chiave: dalla moda al turismo fino all’alimentare.
Pur
essendo noto che la sua ostilità nei confronti del regime di Assad,
secondo una ricostruzione del giornale britannico The Guardian, è dovuta
al fatto che nel 2009
“il
presidente siriano Assad rifiutò la proposta dell’emirato di costruire
un gasdotto che si sarebbe collegato all’Europa in concorrenza con il
gasdotto della Russia di Vladimir Putin, alleato dei siriani.
Non
solo: l’anno successivo Damasco strinse un accordo per un’altro
gasdotto con l’Iran, sciita, che avrebbe permesso a quest’ultimo di
rifornire l’Europa attraversando Siria e Iraq. […] Il Qatar possiede un
terzo delle riserve mondiali di gas, ma ha un bisogno disperato di un
mercato come l’Europa per venderle. E la Siria avrebbe ostacolato un
possibile sbocco”. 10
Anche
in questo caso, non vi è dubbio, tutti vendono a tutti e tutti sono
disponibili a comperare. L’unico problema, a Est come a Ovest oppure per
gli stati del Middle East, è costituito dal determinare, manu militari,
chi gestirà e dove passerà il fiume di petrolio e quello di dollari che
porta con sé.
Ora che la guerra sta accadendo ancora tarda a formarsi una coscienza anti-militarista. Per ora ancora niente “guerra alla guerra!“,
mentre soltanto qualche debole proposizione di principio sembra
costituire la risposta antagonista (?) alla carneficina che si avvicina.
Basterà a dar vita ad un movimento unitario o sarà sopraffatta
anch’essa dallo sciame sismico della paura e del perbenismo nazionalista
ed identitario prodotto e alimentato dall’imperialismo?
N.B. L’immagine
scelta per accompagnare l’articolo costituiva il manifesto
pubblicitario di un film francese sul terrorismo islamico nelle banlieu,
la cui uscita nelle sale cinematografiche era stata programmata per il
18 novembre. A seguito dei fatti di Parigi l’uscita del film è stata
rinviata a data da definire così come anche il poster sarà sostituito da
altra immagine (anch’essa ancora da definire).
______________________________________________Note
Vincenzo Ruggiero, I crimini dell’economia. Una lettura criminologica del pensiero economico, Feltrinelli 2013 e Vincenzo Ruggiero, Perché i potenti delinquono, Feltrinelli 2015 (Quest’ultimo recensito su Carmillaonline il 28 ottobre 2015 http://www.carmillaonline.com/2015/10/28/lessenza-criminale-del-potere-v-ruggiero-perche-i-potenti-delinquono-recensione-ed-intervista-allautore/)
http://www.repubblica.it/economia/2015/11/21/news/armi_isis_guerra_borsa_emirati_arabi-127849393/?ref=HREC1-8
Carlo Pelanda, La guerra all’Isis può farci guadagnare, Libero, 22/11/2015, pag. 9
Si veda anche: http://www.carmillaonline.com/2013/09/10/war/
“Il decreto prevede quasi 59 milioni di euro fino al 31 dicembre prossimo per la missione in Afghanistan, 42.820.407 euro per la partecipazione ad Unifil in Libano e 64.987.552 euro per attività della coalizione internazionale di contrasto alla minaccia terroristica dell’Isis. Per quanto riguarda le missioni in Europa, il provvedimento destina, tra l’altro, 4.213.777 euro per la proroga della di Active Endeavour; 33.486.740 euro per la proroga di EUNAVFOR MED, 25.602.210 euro per le missioni nei Balcani, e quasi 70mila euro per la partecipazione di personale militare alla missione dell’Unione europea in Bosnia-Erzegovina, denominata EUFOR ALTHEA“ https://www.lastampa.it/2015/11/19/italia/politica/alla-camera-via-libera-per-la-proroga-delle-missioni-allestero-corpi-speciali-a-supporto-degli-qWwuz8EYSTXIIgVGurvb8I/pagina.html
Si veda ancora http://www.repubblica.it/economia/2015/11/21/news/armi_isis_guerra_borsa_emirati_arabi-127849393/?ref=HREC1-8
Si veda in proposito http://www.carmillaonline.com/?s=la+bomba+iraniana
http://espresso.repubblica.it/attualita/2015/11/20/news/terrorismo-da-dove-vengono-i-soldi-del-califfo-1.240236?ref=HRBZ-1
http://www.repubblica.it/esteri/2015/11/19/news/bombe_sul_petrolio_dello_stato_islamico_la_guerra_di_usa_e_russia_al_tesoro_di_al_baghdadi-127679597/
http://www.repubblica.it/economia/2015/11/20/news/qatar_isis_italia-127717794/
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