In questi giorni appare folgorante una frase riportata dal Financial
Times del defunto principe Saud Feisal al segretario di Stato Usa John
Kerry: «Daesh è la nostra risposta sunnita al vostro appoggio in Iraq
agli sciiti dopo la caduta di Saddam». Ecco in cosa consiste la Saudi
Connection: una politica estera intossicata dalle involuzioni di Riad
con i jihadisti mentre la sua campagna militare in Yemen, denominata
“Decisive Storm”, è diventata un Vietnam del Golfo.
La Saudi Connection è soprattutto il rapporto ombelicale che da 70
anni lega Washington a Riad. L’Arabia Saudita, il più oscurantista degli
Stati islamici, è la roccaforte del sunnismo ma anche la nazione
musulmana con il più antico patto con gli Stati Uniti, firmato tra Ibn
Saud e Roosevelt nel 1945, pochi giorni dopo Yalta.
I sauditi dopo l’accordo sul nucleare iraniano si sono sentiti
traditi da Washington, perché considerano Teheran la minaccia numero
uno. Ma le cose non stanno del tutto così. In termini pratici significa
che mentre Obama e Re Salman si stringevano la mano al G-20 di Antalya
veniva firmato l’ennesimo contratto militare: 1,2 miliardi di dollari
per 10mila sofisticate bombe Usa da scaricare i Yemen sulla testa dei
ribelli sciiti Houti.
Negli ultimi cinque anni i sauditi hanno acquistato sistemi d’arma da
Washington per 100 miliardi di dollari, di cui 12 negli ultimi mesi,
nonostante il Congresso abbia sottolineato la persistente violazione dei
diritti umani e i crimini di guerra in Yemen. Alla luce di queste cifre
si spiega l’atteggiamento americano nei confronti del Califfato e dei
jihadisti siriani sponsorizzati dalle monarchie del Golfo. E si
comprende perché Washington esiti a mandare truppe a terra. Da una parte
c’è l’ovvia considerazione che dopo l’Afghanistan, l’Iraq e la Libia,
gli Usa hanno mostrato segnali evidenti di disimpegno dal Medio Oriente.
Ma dall’altra c’è questa connessione implacabile con i sauditi, che
oltre ad essere leader dell’Opec, hanno finanziato i mujhaeddin afghani
contro l’Urss negli Anni 80 e foraggiato Saddam nel conflitto contro
l’Iran.
I sauditi pagano e gli americani guidano coalizioni internazionali
che ai loro occhi non devono abbattere il Califfato ma prima di tutto
contenere l’Iran e un giorno magari liquidare Assad in Siria. La Saudi
Connection condiziona la politica estera americana quanto l’alleanza con
Israele. Ora questo patto leonino tra Riad e Washington, dopo la strage
di Parigi, è entrato in collisione con la nuova “santa alleanza” tra la
Russia di Putin e la Francia di Hollande. Il problema è capire quali
obiettivi si pongono i belligeranti. Se assestare una punizione
esemplare al Califfato oppure demolire l’Isis. Nel secondo caso la
Francia si scontra con Riad. Se si limita a una spedizione punitiva
Parigi conserva le lucrose relazioni con la monarchia saudita,
principale cliente degli armamenti francesi che quest’anno, con
l’acquisto di reattori nucleari per 12 miliardi di dollari, ha salvato
l’Areva dal fallimento.
Ecco cosa significa la Saudi Connection, una delle molteplici ragioni
perché la guerra al Califfato finora è stata frenata da un mix di
affari militari, petrolio e investimenti esteri di uno Stato dove si
applica la sharia più duramente di qualunque altro posto al mondo,
tranne naturalmente il Califfato di Al Baghdadi.
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