domenica 8 novembre 2015

I ferri, la sinistra e Forrest Gump di Alessandro Gilioli


image
Temo di non riuscire a condividere del tutto Norma Rangeri quando oggi sul Manifesto individua nell'alta età dei partecipanti - ieri al Quirino - l'unico limite che ha di fronte a sé Sinistra Italiana, la formazione nata ieri a Roma.
Ce ne sono invece molti altri, di ostacoli, e a nasconderli sotto il tappeto non si rende un servizio alle possibilità di successo: solo avendo coscienza dei problemi si può sperare di superarli.
Affronto quindi il pericolo di sembrare un "gufo" (questa volta nei confronti della sinistra) sperando tuttavia si sappia distinguere tra chi tifa per un flop e chi invece vede il rischio flop proprio nella reiterazione di conclamati errori.
Tra i quali c'è, anzitutto, un evidente difetto di costruzione: che è iniziata con una bandierina piantata su un tetto privo di fondamenta. L'addizione parlamentare fa un gruppo parlamentare, non un partito. Un partito nasce da persone con intenti comuni che - con molto tempo e lavoro - creano legami sociali e diffusione dei propri propositi tali da giungere a una rappresentanza.
Adesso questo gruppo parlamentare - comunque forte della base di Sel e dei democratici lontani da Renzi - ha quindi il compito di creare un legame emotivo, culturale, cognitivo e politico con la maggioranza invisibile.
Difficile, diciamo, avendo deciso di partire dal tetto.
Specie in un'epoca in cui il tetto - cioè l'accomodamento pregresso in Parlamento - non è visto esattamente come un credito reputazionale nella rappresentanza degli ultimi e degli impoveriti.
Ci sarebbero poi anche alcune più scivolose questioni personali, tra quanti a questa rappresentanza ambiscono: una "carovana" (termine usato nel loro documento) in cui non mancano esponenti che sono stati al governo coi voti di Berlusconi, che hanno fatto muro per Marini contro Rodotà al Quirinale e che hanno avuto ruoli di alta responsabilità nella catastrofica gestione del Pd tra il 2008 e il 2013, quando ha svenduto tutto se stesso in nome delle auspicate alleanze con Casini, Monti e Fini, in nome del fiscal compact e del pareggio di bilancio, in nome della difesa delle oligarchie arroccate del Pd di allora, in nome della negazione dei movimenti che nelle pratiche provavano a reinventare la sinistra (vedi referendum sull'acqua). In nome infine di un'emulazione del centrodestra iniziata molto prima di Renzi.
A proposito, non pochi di questi esponenti - con i loro errori - hanno spalancato la porta del Pd a Renzi: credo che sia lecito oggi qualche dubbio sulla loro capacità di guidare l'uscita del Paese dal renzismo, fatta salva ovviamente la buona fede.
Ci sono poi alcuni aspetti culturali e cognitivi, su cui forse bisogna essere meno assertivi nelle critiche ma che tuttavia vale la pena di sottoporre a qualche riflessione.
Non ho nulla in contrario al none "Sinistra Italiana", che indica un posizionamento chiaro e un'area orfana.
È tuttavia una formula che si inchina a geometrie politiche tradizionali in una fase storica in cui queste stanno non saltando ma molto ridefinendosi. Non ne faccio una questione di marketing elettorale ("attenti alla parola sinistra perché è sputtanata e agli under 30 suona attuale come "ghibellini"): il problema semmai è proprio la confusività del messaggio che esce da quel termine in un pianeta dove di sinistra si dicono o si sono detti anche Breznev, Blair, Pol Pot, Farinetti, Marco Rizzo, Boschi, Pietro Ichino, il Leoncavallo e il finanziere Serra.
Capisco quindi le intenzioni, meno l'effetto di corto circuito semantico, specie se davvero si vuol portare nel 'partito dell'eguaglianza' la suddetta maggioranza invisibile.
Ma transeat. Pazienza. I nomi alla fine si riempiono dei contenuti delle cose, e nelle cose che farà - dalle pratiche che implementerà - si giocherà il futuro di Si.
Il futuro, ecco: che adesso pare gravato di simbologie nobilissime ma forse poco utili, come l'attaccamento a "Bella Ciao" da cantare tutti insieme, il che è sempre un momento bello ed emozionante d'accordo, lo aveva fatto anche Ingroia in campagna elettorale due anni fa, ma vorrei che ciascuno dei cantanti di ieri prima di reintonare quelle strofe si leggesse il discorso di Pablo Iglesias sulla pesantezza dei vecchi simboli, sul rischio che il loro effetto cementante sia minore rispetto a quello zavorrante.
E chissà se questo ancoraggio subculturale al passato non abbia qualcosina a che fare con alcune assenze che ha notato ieri su Fb Pasquale Videtta: ieri niente streaming (quindi assemblea chiusa), nessun account a cui fosse riconducibile l'evento, nessuna piattaforma aperta per la costruzione degli intenti comuni, nessun idea di partecipazione digitale. Mi rendo conto che tra le falsificazioni del presente c'è la stupidissima deificazione dell'Internet che "ci porta da solo al futuro radioso", ma tra questa sciocchezza e l'arrocco opposto ci sono in mezzo galassie e galassie di possibili opzioni pragmatiche e aperte (e quella di Podemos è una tra le tante). Non volerne frequentare nemmeno una non sarebbe una buona scelta, credo. Anche per la definizione del futuro "gruppo dirigente" di questa cosa (e dei suoi eventuali candidati), che al momento sembra più cooptativa di un Conclave.
Anche (non solo, ma anche) da queste cose si vedrà se Sinistra Italiana è un'addizione di onorevoli in cerca di rielezione o un attore politico collettivo aperto e utile al futuro partito dell'eguaglianza.
E tralascio l'annosa questione delle alleanze locali col Pd da fare o non fare: non perché sia tema secondario, ma perché mi sembra del tutto accademico affrontarlo prima che sia definita l'identità del nascente partito: cioè appunto se è operazione politicista e poltronara o germe di espressione e rappresentanza della maggioranza invisibile.
Ecco, a me pare che Sinistra Italiana oggi sia come Forrest Gump quando dopo la malattia cerca di correre, frenato dai mille ferri che si porta ancora addosso. Se ne potrebbe liberare, e diventare un vero maratoneta; o crollare a terra e rimanere li, e ciao.

Nessun commento: