Temo di non riuscire a condividere del tutto Norma Rangeri quando
oggi sul Manifesto individua nell'alta età dei partecipanti - ieri al
Quirino - l'unico limite che ha di fronte a sé Sinistra Italiana, la
formazione nata ieri a Roma.
Ce ne sono invece molti altri, di ostacoli, e a nasconderli sotto il
tappeto non si rende un servizio alle possibilità di successo: solo
avendo coscienza dei problemi si può sperare di superarli.
Affronto quindi il pericolo di sembrare un "gufo" (questa volta nei
confronti della sinistra) sperando tuttavia si sappia distinguere tra
chi tifa per un flop e chi invece vede il rischio flop proprio nella
reiterazione di conclamati errori.
Tra i quali c'è, anzitutto, un evidente difetto di costruzione: che è
iniziata con una bandierina piantata su un tetto privo di fondamenta.
L'addizione parlamentare fa un gruppo parlamentare, non un partito. Un
partito nasce da persone con intenti comuni che - con molto tempo e
lavoro - creano legami sociali e diffusione dei propri propositi tali da
giungere a una rappresentanza.
Adesso questo gruppo parlamentare - comunque forte della base di Sel e
dei democratici lontani da Renzi - ha quindi il compito di creare un
legame emotivo, culturale, cognitivo e politico con la maggioranza
invisibile.
Difficile, diciamo, avendo deciso di partire dal tetto.
Specie in un'epoca in cui il tetto - cioè l'accomodamento pregresso
in Parlamento - non è visto esattamente come un credito reputazionale
nella rappresentanza degli ultimi e degli impoveriti.
Ci sarebbero poi anche alcune più scivolose questioni personali, tra
quanti a questa rappresentanza ambiscono: una "carovana" (termine usato
nel loro documento) in cui non mancano esponenti che sono stati al
governo coi voti di Berlusconi, che hanno fatto muro per Marini contro
Rodotà al Quirinale e che hanno avuto ruoli di alta responsabilità nella
catastrofica gestione del Pd tra il 2008 e il 2013, quando ha svenduto
tutto se stesso in nome delle auspicate alleanze con Casini, Monti e
Fini, in nome del fiscal compact e del pareggio di bilancio, in nome
della difesa delle oligarchie arroccate del Pd di allora, in nome della
negazione dei movimenti che nelle pratiche provavano a reinventare la
sinistra (vedi referendum sull'acqua). In nome infine di un'emulazione
del centrodestra iniziata molto prima di Renzi.
A proposito, non pochi di questi esponenti - con i loro errori -
hanno spalancato la porta del Pd a Renzi: credo che sia lecito oggi
qualche dubbio sulla loro capacità di guidare l'uscita del Paese dal
renzismo, fatta salva ovviamente la buona fede.
Ci sono poi alcuni aspetti culturali e cognitivi, su cui forse
bisogna essere meno assertivi nelle critiche ma che tuttavia vale la
pena di sottoporre a qualche riflessione.
Non ho nulla in contrario al none "Sinistra Italiana", che indica un posizionamento chiaro e un'area orfana.
È tuttavia una formula che si inchina a geometrie politiche
tradizionali in una fase storica in cui queste stanno non saltando ma
molto ridefinendosi. Non ne faccio una questione di marketing elettorale
("attenti alla parola sinistra perché è sputtanata e agli under 30
suona attuale come "ghibellini"): il problema semmai è proprio la
confusività del messaggio che esce da quel termine in un pianeta dove di
sinistra si dicono o si sono detti anche Breznev, Blair, Pol Pot,
Farinetti, Marco Rizzo, Boschi, Pietro Ichino, il Leoncavallo e il
finanziere Serra.
Capisco quindi le intenzioni, meno l'effetto di corto circuito
semantico, specie se davvero si vuol portare nel 'partito
dell'eguaglianza' la suddetta maggioranza invisibile.
Ma transeat. Pazienza. I nomi alla fine si riempiono dei contenuti
delle cose, e nelle cose che farà - dalle pratiche che implementerà - si
giocherà il futuro di Si.
Il futuro, ecco: che adesso pare gravato di simbologie nobilissime ma
forse poco utili, come l'attaccamento a "Bella Ciao" da cantare tutti
insieme, il che è sempre un momento bello ed emozionante d'accordo, lo
aveva fatto anche Ingroia in campagna elettorale due anni fa, ma vorrei
che ciascuno dei cantanti di ieri prima di reintonare quelle strofe si
leggesse il discorso
di Pablo Iglesias sulla pesantezza dei vecchi simboli, sul rischio che
il loro effetto cementante sia minore rispetto a quello zavorrante.
E chissà se questo ancoraggio subculturale al passato non abbia
qualcosina a che fare con alcune assenze che ha notato ieri su Fb
Pasquale Videtta: ieri niente streaming (quindi assemblea chiusa),
nessun account a cui fosse riconducibile l'evento, nessuna piattaforma
aperta per la costruzione degli intenti comuni, nessun idea di
partecipazione digitale. Mi rendo conto che tra le falsificazioni del
presente c'è la stupidissima deificazione dell'Internet che "ci porta da
solo al futuro radioso", ma tra questa sciocchezza e l'arrocco opposto
ci sono in mezzo galassie e galassie di possibili opzioni pragmatiche e
aperte (e quella di Podemos è una tra le tante). Non volerne frequentare
nemmeno una non sarebbe una buona scelta, credo. Anche per la
definizione del futuro "gruppo dirigente" di questa cosa (e dei suoi
eventuali candidati), che al momento sembra più cooptativa di un
Conclave.
Anche (non solo, ma anche) da queste cose si vedrà se Sinistra
Italiana è un'addizione di onorevoli in cerca di rielezione o un attore
politico collettivo aperto e utile al futuro partito dell'eguaglianza.
E tralascio l'annosa questione delle alleanze locali col Pd da fare o
non fare: non perché sia tema secondario, ma perché mi sembra del tutto
accademico affrontarlo prima che sia definita l'identità del nascente
partito: cioè appunto se è operazione politicista e poltronara o germe
di espressione e rappresentanza della maggioranza invisibile.
Ecco, a me pare che Sinistra Italiana oggi sia come Forrest Gump
quando dopo la malattia cerca di correre, frenato dai mille ferri che si
porta ancora addosso. Se ne potrebbe liberare, e diventare un vero
maratoneta; o crollare a terra e rimanere li, e ciao.
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