sabato 14 novembre 2015

Prima che tutto accada di Sandro Moiso

Lo sapevamo già, sapevamo tutto

di Pier Francesco De Iulio, megachip.it
Lo sapevamo già, sapevamo tutto. Lo sapevamo. Lo sapevano e lo sanno coloro che in questi anni hanno tenuto gli occhi aperti. E sarebbe stato facile chiuderli. Per indifferenza. Per stanchezza. Perché è più facile distogliere lo sguardo. Assecondare la visione corta sulle cose che quotidianamente ci propina il mainstream mediatico.
A poche ore dai recenti attentati di Parigi, leggo, tra i tanti commenti dell'orgia comunicativa sui social network, uno in particolare: "Credo che lo sgomento sia maggiore perché si tratta di un'irruzione nella vita di tutti i giorni. Se accade in Libano, come è accaduto, rientra nelle probabilità, purtroppo...".
"La vita di tutti i giorni", certo. Ma di chi? Si tratta di "Noi" che stiamo al di qua della linea di fuoco. Quella linea rossa di sangue al di la della quale da anni, ogni giorno, si ammazza: in Libia, in Palestina, in Yemen, in Siria, in Afghanistan, in Iraq, in Ucraina, in Turchia... Una linea dove "Noi" (anche) ammazziamo. Dove "Noi" (anche) abbiamo armato e continuiamo ad armare le mani degli assassini.
Non abbassiamo la guardia della coscienza e della ragione. Osserviamo. Vigiliamo. Agiamo concretamente per la pace, al di qua e al di la della linea. Affinché nessuno rientri più nella "probabilità".
Stiamo scivolando (ci stanno trascinando) in una guerra di cui nessuno conosce realmente gli effetti devastanti che avrà (che ha) sulla gente, sui popoli che la subiranno (che già la subiscono). Sarà una guerra che introdurrà elementi nuovi. Nessuno sarà pronto. Alla guerra non si è mai pronti. Prevarrà la paura. E l'odio. E la guerra c'è già. Fermiamola.

Prima che tutto accada

di Sandro Moiso

scenario di guerraPrima che tutto accada occorre ragionare e far pensare.
Prima che la canea mediatica fascista, razzista, nazionalista, militarista, perbenista e di sinistra falsamente antagonista inizi ad ululare occorre dire, scrivere, organizzare. Prima ancora che arrivi il conteggio definitivo delle vittime.
Prima che le colpe si riversino sui più deboli e sugli ultimi occorre prepararne la difesa.
Prima che i potenti cerchino il nostro abbraccio occorre denunciarli.
Prima che gli incoscienti accorrano a manifestare con l’imperialismo, il militarismo e il patriottismo, come ai tempi di Charlie Hebdo, occorre smascherare i moventi e i mandanti.
Da tempo vado scrivendo che la guerra è alle porte e nella notte tra il 13 e il 14 novembre ci è entrata in casa. Solo gli imbecilli, che troppo spesso governano le società, potevano pensare che la guerra rimanesse sempre lontana. Solo un pubblico rintronato dai media e dai social network poteva pensare di continuare a godersi lo spettacolo dalla finestra di uno schermo. Solo una sinistra fumosa e pervertita nei suoi ideali e nei suoi principi poteva negarne l’attualità. Nessuno ha ragionato a sufficienza sul significato di “guerra asimmetrica”.
Certo lo hanno fatto i militari, i servizi più o meno segreti, gli esperti di geopolitica e hanno usato le loro conoscenze per diffondere il panico e la paura. Una paura superficiale, strumentale al fascismo strisciante e al nazionalismo razzista. Una paura irrazionale, ma ancora lontana. Uno sfondo per una rappresentazione politica e governativa ancora tutta rivolta alle strategie di governo e di mantenimento del consenso.
Ma il 14 novembre non è soltanto l’equivalente europeo dello spettacolo americano dell’11 settembre. E’ un altro 28 giugno 1914.
A poco più di un secolo di distanza la guerra è arrivata definitivamente sul fronte occidentale. Ma non l’hanno portata gli immigrati e i profughi, come tanti continuano a blaterare.
L’hanno portata gli alleati dell’Occidente e dell’Europa (Stati del Golfo? Arabia Saudita? Israele? USA? Turchia?). L’ha portata la competizione imperialista tra gli stati occidentali e la loro necessità di balcanizzare il Vicino Oriente senza, tra l’altro, saperne prevedere le conseguenze.
L’ha portata la miseria politica, sociale ed economica delle periferie metropolitane diseredate dove si formano i moderni Gavrilo Princip.
L’ha portata l’incapacità di pensare autonomamente il mondo da parte di chi a questo vorrebbe opporsi. L’ha portata la mancata azione sindacale in difesa di chi lavora. L’ha portata un antifascismo ridotto a pacifismo e a spettacolo estetizzante. L’ha portata l’analisi fumosa degli pseudo-intellettuali che si dilettano di discettare sulla cultura della destra, là dove vi è solo odio, violenza e menzogna. L’ha portata un parlamentarismo ridotto ormai a veder gli schieramenti antagonisti di un tempo rispecchiarsi l’uno nell’altro così come i loro avversari populisti.
L’ha provocata l’indifferenza per il destino della specie e dell’ambiente in cui dovrebbe vivere. L’ha provocata l’egoismo del guadagno e del profitto. L’ha provocata l’egoismo dei singoli e delle nazioni. L’ha provocata la scomparsa del concetto di classe e di lotta di classe. L’ha provocata un modo di produzione distruttivo e assurdo, spacciato per progresso e modernità. L’ha provocata il petrolio e le società che se ne occupano e servono. L’ha provocata il motore a scoppio e le guerre tra coloro che ne detengono il monopolio della produzione. L’ha provocata il consumismo con le sue cattedrali in attesa di essere trasformate soltanto in cimiteri di corpi e di merci.
L’ha determinata l’assenza di lotta di classe o anche solo una sua seria e riconoscibile rappresentanza politica, sia a livello nazionale che internazionale. L’ha determinata la frenesia per la novità politica e per il rifiuto dell’esperienza passata. L’ha determinata la scomparsa delle capacità organizzative e la ricerca della soggettività edonistica che ha trionfato nella società dello spettacolo. L’ha determinata le convinzione che un concerto potesse sostituire la lotta. L’ha determinata una concezione del tempo arcaica in cui si pensa che venti, trenta o cento anni costituiscano una distanza enorme tra gli avvenimenti e che ha contribuito ad annullare ogni memoria dell’azione anti-militarista e antifascista e delle forme più adeguate per condurla.
Prima di tirare calci al vento come gli impiccati Villon, però, possiamo ancora provare a reagire, lottare, studiare ed organizzare. Abbiamo mani, voci, libri, esperienze, tastiere, penne: usiamole.
Gridiamo, scriviamo, denunciamo, lottiamo. Non domani. Oggi.
Prima che sia troppo tardi.
N.B. La responsabilità per le opinioni qui espresse è da attribuirsi esclusivamente all’autore e non alla redazione di Carmilla nel suo insieme.

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