sabato 19 ottobre 2013

Chi ha paura della piazza? Di ilsimplicissimus


usb_scioperomanovraIeri a Roma c’erano la bellezza di quattromila agenti a controllare la manifestazione dei sindacati di base e oggi l’imponente e spropositato dispositivo è stato persino rafforzato in vista del corteo di protesta di movimenti no Tav e no Muos. La notizia dunque non è solo quella di un movimento sindacale che cerca di uscire allo scoperto dopo essere stato sterilizzato dalle grandi sigle ormai del tutto subalterne al potere, ma anche la commovente trepidazione governativa in difesa di qualche eventuale vetrina che si scontra ogni giorno con la realtà del contemporaneo smantellamento dei servizi, delle tutele, dei diritti compresi quelli degli uomini destinati a difendere il fantasma dell’ordine pubblico come scenario per coprire il disordine morale, l’impotenza ideale, il marasma economico del Paese.
Così mentre non è dato sapere quante delle vetrine salvaguardate manu militari rimarranno aperte nel prossimo futuro grazie all’austerità brandita come una clava dagli orbi del governicchio, viene da domandarsi da dove nasca la fobia e il terrore della piazza che pure è uno degli elementi naturali della democrazia la quale certo non può essere sostenuta solo dalla rappresentanza come da oltre 40 anni vogliono farci credere. Ma basta sfogliare un po’ di letteratura liberista, a cominciare dal delirante von Hayek, autore preferito dai grandi finanzieri e dai 200 mila potenti del mondo, per rendersi conto che la piazza, il libero incontro delle persone in vista di un obiettivo, anche confuso, è una vera spina nel cuore per le società oligachiche che si vogliono costruire. Non per l’eventuale violenza che si può sviluppare, ma per l’antidoto che l’insieme fisico delle persone costituisce alla loro separazione individuale e divisione realizzata anche grazie ai media. Inoltre la piazza costituisce la rappresentazione di un malcontento che diventa palese e può far detonare quello sopito dalla distrazione di massa che simula una pluralità d’idee, una maggioranza e un’opposizione solo come spettacolo. Soprattutto è la dimostrazione dell’esistenza in vita di concezioni e proteste generali non riducibili alla verità unica e non esauribili a rivendicazione banale come quello di un ufficio clienti.
La piazza insomma in questa fase è l’opposizione alla messa in scena di uno scontro inesistente tra le valve di una politica mollusca: le loro frizioni sono in realtà funzionali a proteggere l’ospite. Dunque essa va demonizzata, fatta temere, raccontata come luogo di violenza effettiva e potenziale. Mentre un cassonetto incendiato, assume le proporzioni di un bombardamento, ad onta del fatto che esso provochi assai meno danni di quanti non ne causi ai cittadini la tangente che su di esso, con quasi matematica certezza, è stata pagata all’acquisto. Ma le buste non s’incendiano e non fanno casino, non sembrano potenzialmente pericolose quanto due cartoni avvolti dal fuoco, soprattutto raramente si vedono. Ma anche se nemmeno un cerino viene acceso e i manifestanti non fumano, la loro presenza intenzionalmente collettiva in vista di richieste sociali è qualcosa di negativo in sé perché è come una bestemmia per i profeti dell’uomo separato e consumatore, a cui l’unica consapevole alienazione concessa è quella del voto. Infatti i media ne danno ormai da anni un’immagine di evento clandestino, ne parlano il meno possibile, come viene loro ordinato, mentre sono capaci di cianciare per ore sulle tessiture orali di un qualunque cretino.
Non è affatto un caso che l’Europa sia intenzionata ad intervenire anche su questo e darsi regole estremamente restrittive, perché il problema che c’è in Italia si riverbera, dappertutto, anche se con in forme e con problemi peculiari. Se scendi in piazza non sei democratico, questa è il severo monito di chi vuol distruggere la democrazia e dello stato, come appunto preconizzava von Hayek della cui medaglia è stato fregiato e sfregiato Monti, vuole conservare solo i poteri repressivi.

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