Da un minimo di 3 ad un massimo di 15 euro mensili in più in busta paga. In questo modestissimo range si risolve tutto il 'vantaggio' che i lavoratori dipendenti trarrebbero dalla manovra che il governo ha architettato allo scopo dichiarato di dare ristoro alle finanze disastrate di milioni di cittadini, di alimentarne i consumi e una domanda in caduta libera. Una caduta talmente rovinosa da ridicolizzare i propositi di quanti - in ossequio al dogma monetarista - si illudono di ridurre al di sotto del 100 per cento, grazie all'austerity, il rapporto debito/pil, mentre questo veleggia in prossimità del 130.
Neppure la più spudorata campagna propagandistica riesce ad occultare quella che appare agli occhi di chiunque una verità inoppugnabile: per il lavoro non c'è nulla. Il gran parlare delle settimane scorse circa una svolta nelle politiche economiche governative è svanito come le chiacchiere dei talk show televisivi. Nel piatto non c'è nulla. Perché nulla si fa al fine di recuperare - in un paese che è povero solo alla base della piramide sociale - le risorse che potrebbero alimentare una seria e davvero efficace politica redistributiva. Non c'è niente da fare: patrimoniale, ricostruzione della progressività dell'imposta sul reddito, tassa di successione, tetto massimo a stipendi e pensioni d'oro, tassazione delle rendite da capitale più cospicue (lo fanno persino gli svizzeri!), misure - come spiega con precisione Nicola Melloni su questo giornale - che potrebbero portare all'erario l'equivalente di oltre due punti di pil, oltre 30 miliardi, rappresentano tabù insuperabili per la coalizione Pd-Pdl che regge il timone per nome e per conto della Bce, in un rapporto di servile sudditanza nei confronti della leadership tedesca.
Ma i guai non finiscono qui, perché accanto alla mancata risposta sul fronte dei salari e delle retribuzioni ci sono gli effetti pesanti delle altre misure previste dalla legge di stabilità: dal blocco della contrattazione per i dipendenti pubblici alla decurtazione dei trasferimenti agli enti locali che avrà come inevitabile effetto collaterale il taglio dei servizi sociali. Poi la Trise, l'aumento dell'imposta di bollo, la revisione delle aliquote Iva che si spalmerà su una tastiera vastissima di prodotti, molti dei quali oggi esenti da imposta: una stangata sulle prime poco visibile ma dagli effetti cumulativi imponenti. Confcommercio ne ha già fatto una stima: nel 2014 si pagheranno 6,5 miliardi di tasse in più.
Dunque, quando la coppia Letta- Alfano racconta che fatta la somma del dare e dell'avere e tirata a linea c'è il segno "+" in favore dei cittadini, propala una madornale menzogna.
E il Pd? I democrat traccheggiano, protestano (sommessamente, s'intende) e promettono modifiche in sede di discussione parlamentare. Ma in realtà abbozzano, stretti come sono tra l'incudine del pareggio di bilancio conficcato nella Costituzione e le opzioni in favore dei ricchi in parte imposte dal Pdl e in parte coltivate in proprio. Questo vociare è in realtà un brusio privo di nerbo: "Sarebbe stato meglio... Bisognerebbe... Si potrebbe invece...". In realtà lungo il percorso che porta all'approvazione definitiva non si modificherà alcunché di sostanziale.
Cesare Damiano ha scoperto nelle pieghe della manovra che "si sono messe le mani sul potere d'acquisto dei pensionati ritoccando al ribasso l'indicizzazione delle pensioni che doveva scattare nel 2014", mentre languono le risorse per ridurre la platea degli esodati colpiti dalla 'riforma' Fornero e per la cassa integrazione in deroga. Un piagnisteo che però ha già incorporata la rassegnazione!
Il sindacato ora dice che la bozza non va bene e deve cambiare. Qualcuno persino si indigna ("con juicio"...) e minaccia (udite...udite...) la mobilitazione. Ma è un cane che anche quando abbaia non morde, e il governo lo sa. Solo la Fiom, dentro la Cgil, ha davvero in mente lo sciopero. Mentre i sindacati di base, che lo hanno da tempo già proclamato, manifesteranno domani e il giorno appresso a Roma. Facciamo in modo che la scossa sia forte e ridia una chance alla sola risorsa nelle mani dei lavoratori: quel conflitto che troppi hanno sciaguratamente dimenticato.
Neppure la più spudorata campagna propagandistica riesce ad occultare quella che appare agli occhi di chiunque una verità inoppugnabile: per il lavoro non c'è nulla. Il gran parlare delle settimane scorse circa una svolta nelle politiche economiche governative è svanito come le chiacchiere dei talk show televisivi. Nel piatto non c'è nulla. Perché nulla si fa al fine di recuperare - in un paese che è povero solo alla base della piramide sociale - le risorse che potrebbero alimentare una seria e davvero efficace politica redistributiva. Non c'è niente da fare: patrimoniale, ricostruzione della progressività dell'imposta sul reddito, tassa di successione, tetto massimo a stipendi e pensioni d'oro, tassazione delle rendite da capitale più cospicue (lo fanno persino gli svizzeri!), misure - come spiega con precisione Nicola Melloni su questo giornale - che potrebbero portare all'erario l'equivalente di oltre due punti di pil, oltre 30 miliardi, rappresentano tabù insuperabili per la coalizione Pd-Pdl che regge il timone per nome e per conto della Bce, in un rapporto di servile sudditanza nei confronti della leadership tedesca.
Ma i guai non finiscono qui, perché accanto alla mancata risposta sul fronte dei salari e delle retribuzioni ci sono gli effetti pesanti delle altre misure previste dalla legge di stabilità: dal blocco della contrattazione per i dipendenti pubblici alla decurtazione dei trasferimenti agli enti locali che avrà come inevitabile effetto collaterale il taglio dei servizi sociali. Poi la Trise, l'aumento dell'imposta di bollo, la revisione delle aliquote Iva che si spalmerà su una tastiera vastissima di prodotti, molti dei quali oggi esenti da imposta: una stangata sulle prime poco visibile ma dagli effetti cumulativi imponenti. Confcommercio ne ha già fatto una stima: nel 2014 si pagheranno 6,5 miliardi di tasse in più.
Dunque, quando la coppia Letta- Alfano racconta che fatta la somma del dare e dell'avere e tirata a linea c'è il segno "+" in favore dei cittadini, propala una madornale menzogna.
E il Pd? I democrat traccheggiano, protestano (sommessamente, s'intende) e promettono modifiche in sede di discussione parlamentare. Ma in realtà abbozzano, stretti come sono tra l'incudine del pareggio di bilancio conficcato nella Costituzione e le opzioni in favore dei ricchi in parte imposte dal Pdl e in parte coltivate in proprio. Questo vociare è in realtà un brusio privo di nerbo: "Sarebbe stato meglio... Bisognerebbe... Si potrebbe invece...". In realtà lungo il percorso che porta all'approvazione definitiva non si modificherà alcunché di sostanziale.
Cesare Damiano ha scoperto nelle pieghe della manovra che "si sono messe le mani sul potere d'acquisto dei pensionati ritoccando al ribasso l'indicizzazione delle pensioni che doveva scattare nel 2014", mentre languono le risorse per ridurre la platea degli esodati colpiti dalla 'riforma' Fornero e per la cassa integrazione in deroga. Un piagnisteo che però ha già incorporata la rassegnazione!
Il sindacato ora dice che la bozza non va bene e deve cambiare. Qualcuno persino si indigna ("con juicio"...) e minaccia (udite...udite...) la mobilitazione. Ma è un cane che anche quando abbaia non morde, e il governo lo sa. Solo la Fiom, dentro la Cgil, ha davvero in mente lo sciopero. Mentre i sindacati di base, che lo hanno da tempo già proclamato, manifesteranno domani e il giorno appresso a Roma. Facciamo in modo che la scossa sia forte e ridia una chance alla sola risorsa nelle mani dei lavoratori: quel conflitto che troppi hanno sciaguratamente dimenticato.
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