Tutto ci saremmo aspettati, dal governo delle basse intese,
meno che un’ondata di emozioni fuori controllo. Pensavamo che un certo
modo di fare politica, attingendo alla pancia e alle viscere del popolo,
non fosse congeniale a un individuo decaffeinato come Enrico Letta. Ci
eravamo abituati a un parlamento capace solo di fare melina, di
rimandare ad libitum, di non affrontare oggi quel che potresti
non-affrontare domani. Eppure, nelle ultime due settimane, abbiamo
assistito a lutti, cordogli, lacrime di coccodrillo, decreti legge e
decisioni affrettate: tutto, pur di succhiare – come in un romanzo di
vampiri – l’adrenalina in circolo nel sangue del paese.
Il primo atto della tragedia, sono state le dichiarazioni del premier
dopo l’ennesima strage di uomini e donne al largo di Lampedusa.
“Costoro sono cittadini italiani”, ha detto Letta di quelle centinaia di
morti. Nel frattempo i superstiti venivano dichiarati colpevoli di
essere sopravvissuti, di condurre un’esistenza abusiva, una vita
fuorilegge. La procura li ha iscritti nel registro degli indagati per il
reato di immigrazione clandestina. “Un atto dovuto”, ci hanno tenuto a
precisare. L’ordine è stato eseguito.
Non contento, Letta ha promesso “funerali di stato” per le vittime
della strage. Una doppia ipocrisia, con l’aggravante dei buoni
sentimenti. Come se la Sade avesse sponsorizzato le bare per i morti del
Vajont. Pochi giorni dopo si è saputo che le salme avevano già
raggiunto, senza alcuna cerimonia, i cimiteri di Piana di Gatta, Scicli,
Caltanissetta. Ora ci informano che il 21 ottobre ci sarà una
commemorazione ufficiale ad Agrigento. Come se le celebrazioni per i
cinquant’anni del Vajont si fossero tenute a Verona.
La ministra Kyenge sostiene che questo rito “fa cadere un tabù”, ma
in realtà rischia di essere proprio il contrario: la foglia di fico che
copre le nostre vergogne.
Perché tanta retorica sulla sepoltura di questi cadaveri, dopo che
migliaia di senzanome li hanno preceduti nelle stesse acque e migliaia
li seguiranno, se non la si smetterà di trattare l’immigrazione come un
problema di sicurezza? Abolire la Bossi-Fini è senz’altro necessario,
però quella legge è lì da undici anni e non ci si può lavare la
coscienza con una raccolta di firme online: è dai tempi della legge
Martelli (1990), passando per la Turco-Napolitano (1998), che l’Italia
legifera sulla pelle dei profughi e dei lavoratori stranieri. Chiedere
la cancellazione della Bossi-Fini per poi blaterare di “Mare Nostrum” è,
letteralmente, un gioco al massacro.
E veniamo così al secondo atto della tragedia. “Mare Nostrum”, la
missione “umanitaria-militare” del governo italiano, che fin dal nome
puzza di fascio littorio, di storia romana usata per giustificare il
colonialismo e l’aggressione, come ai tempi della guerra di Libia del
1911. Non a caso, sono proprio le ex colonie dell’Italia liberale –
Eritrea, Libia e Somalia – le nazioni più coinvolte negli sbarchi di
Lampedusa. Ma invece di riflettere su questi legami, i due quotidiani
più letti d’Italia, già il giorno dopo il varo delle operazioni,
pubblicavano a reti unificate un reportage embedded
dalla fregata Espero. Due articoli fotocopia per pubblicizzare il volto
umano dei pattugliamenti nel Mediterraneo: ricordi di bimbi salvati dal
naufragio, cronaca diretta di abbordaggi gentili, melassa a fiumi, e
non una parola su tutte le incongruenze della missione. Non è chiaro se i
rifugiati potranno far valere i loro diritti a bordo delle navi. Non è
chiaro se i fermati in acque internazionali verranno respinti verso la
Libia – un paese che ha dimostrato di trattare i migranti anche peggio
dell’Italia. Non è chiaro se il governo abbia rinnovato le convenzioni
per avere medici a bordo della flotta: scadute nel dicembre 2011,
l’esecutivo Monti non le ha rinnovate, trasformando il salvataggio in
un’omissione di soccorso. Non è chiaro quali siano le regole di
ingaggio, in questa sorveglianza delle frontiere d’acqua, col rischio di
ripetere “errori di manovra” come quello che portò all’affondamento
della Kater i Rades e alla morte di 108 persone nel canale di Otranto.
L’unica certezza è che l’Italia ha rinnovato gli accordi con il “governo
libico” per fornire mezzi tecnici, attrezzature e formazione al
principale cane da guardia della Fortezza Europa. La stessa Europa che,
tra plausi e giubilo, si aggiudicò lo scorso anno il premio Nobel per la
pace.
Terzo atto della tragedia, il sonno della ragione innescato dalla
morte di Erich Priebke. Di nuovo la politica delle emozioni – che poi
all’osso si riducono sempre a una: la paura. Paura dell’altro, ma anche
paura dei propri sensi di colpa, della propria debolezza.
Emozioni e razionalità non sono per forza nemiche. Di fronte a un
leone, provare paura e darsela a gambe è un comportamento del tutto
ragionevole. Se la sepoltura di un vecchio criminale di guerra si
trasforma in un’adunata nazista, è sacrosanto manifestare il proprio
dissenso, scendere in strada, mettersi di traverso ai vivi e alle loro
imprese. Invece il governo, di nuovo in imbarazzo per via di un
funerale, incapace di decidere come tumulare Priebke, per compensare i
propri tentennamenti, ha tentato di accelerare l’approvazione del
decreto legge sul negazionismo. Già sei anni fa, di fronte a una
proposta simile del guardasigilli Mastella, storici del calibro di Carlo
Ginzburg, David Bidussa e Paul Ginsborg avevano firmato un documento
dove si sosteneva la necessità di opporsi con la cultura e la ricerca,
ma non con le leggi, a chi vorrebbe negare la realtà dei campi di
sterminio nazisti. Censurare i libri che negano l’Olocausto rischia di
trasformare piccoli uomini e storici fasulli in eroi della libertà di
parola, ammantando certe posizioni di un fascino trasgressivo che
altrimenti non avrebbero. Oltretutto, il decreto legge in discussione al
senato, non fa riferimento esplicito alla Shoah: sarà perseguibile chi
nega o minimizza genocidi e crimini contro l’umanità. Quindi, per fare
un esempio, se Indro Montanelli negasse oggi l’uso di iprite e gas da
parte dell’esercito fascista in Etiopia, potrebbe commettere un reato
penale? Quali saranno le “verità di stato” dalle quali non si potrà
dissentire? Quali le cifre ufficiali? Quali gli scostamenti ammessi?
Rischierà la galera chi sostiene che gli infoibati furono meno di
diecimila? E chi innalza monumenti a criminali del calibro di Rodolfo
Graziani, verrà punito per apologia di fascismo? Per negazionismo?
Oppure continuerà a fare il sindaco, dimostrando che certe leggi si
scrivono per non applicarle?
A tutto questo ci ha portato la politica delle
emozioni. A una tragedia recitata male, che della tragedia non conserva
nemmeno l’aspetto terapeutico. Niente catarsi, Italia. Niente
purificazione. Perché lacrime e leggi di questi giorni confusi non
servono a prendere atto delle proprie paure, per provare a superarle.
Sono solo toppe per nasconderle alla vista e per fingere di essere
rimasti umani.
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