Italiani brava gente, andare coi piedi di
piombo, aspettare la manna dal cielo, cadere dalla padella nella brace,
dare un colpo al cerchio e uno alla botte, moglie e buoi dei paesi
tuoi, meglio un asino vivo che un dottore morto. C’è una grande
operazione di recupero dei motti e detti popolari, come sempre succede
in tempi di crisi, quando ci si rifugia nel pane fatto in casa, nella
rassicurante banalità dei luoghi comuni. Molto gettonati, in attesa di
alcune rivisitazioni: questo paese non è un albergo, devi fare così
perché lo dice il presidente …, sono” attento che sei fai il cattivo
viene l’uomo nero” ed anche “resta vicina alla mamma, altrimenti gli
zingari ti portano via”.
Ha circolato per un po’ nella erte, poco
ma sempre troppo, la foto scattata da una italiana brava gente appunto,
tale Katia Palmieri, che ritraeva due donne di etnia rom sedute
nell’autobus insieme ad una bambina bionda. La Palmieri ha postato sul
suo profilo facebook l’istantanea accompagnata dalla frase: “gli
zingari hanno rubato una bambina bionda”. I delegati del Consiglio
Nazionale Rom hanno sporto denuncia per razzismo, diffamazione e
procurato allarme: la bambina così sorprendentemente“ariana” è la
figlia naturale e legittima di una famiglia di etnia rom residente in
zona Quaracchi – Osmannoro in Provincia di Firenze, uno di quei nuclei
spostati negli anni in varie destinazioni provvisorie, dalle
Amministrazioni toscane in accordo con la Regione, la Caritas e la
Fondazione Michelucci in data 16 giugno 2011. Il Consiglio Nazionale rom
ha da tempo denunciato che, spariti nel nulla 400.000 euro stanziati
nel 2011, dalla Regione Toscana, per garantire inclusione ed
integrazione nel territorio, le stesse famiglie rom erano state
successivamente sgombrate, sempre a Quaracchi, dal Sindaco Matteo Renzi in data 9 aprile 2013 ed in almeno altre sei circostanza nel corso degli ultimi due anni.
Giustamente il Simplicissimus proprio
oggi a proposito dell’impiego pubblico della decodificazione aberrante
delle notizie e degli umori, ricorda quelle procedure molto usate dal
potere: identificare un nemico per giustificare la guerra, proiettare
film e spot soprattutto del genere horror o “de paura” in modo da
distrarre il popolo dalle malefatte del ceto dirigente, indirizzando
altrove emotività, risentimento, paura e odio.
Prima di Veltroni, prima di Renzi, prima degli amministratori di Torino, Milano, Napoli
e tante tante città italiane, mica solo leghiste, anzi, spesso ci si
era posti una semplice domanda senza risposta: la sinistra deve stare
con il popolo, ma se il popolo odia gli zingari? Eh si, una volta la
sinistra si interrogava sui temi civili, prima che il razzismo e la
xenofobia diventassero componente di governo, decretando rifiuto e
respingimento, esclusione e repressione e suscitando fuori da anime e
coscienze istinti celati, dei quali ci si vergognava. In questo caso poi
la gente anche di sinistra si vergognava poco: io non sono razzista,
ma.. ma gli zingari rubano, non lavorano, sono parassiti, fino appunto
al “rubano i bambini per mandarli a chiedere l’elemosina”, culminando
nell’inevitabile e inesorabile: ma andassero a trasgredire al paese
loro.
Le crisi economiche, le nuove povertà
sono così, istigano all’inimicizia, scatenano guerre miserabili e
invidie sconcertanti, risuscitano fantasmi osceni mai sepolti: Campo
rom, fora dai ball, che fa il paio con il motto dell’indimenticato
Penati, che di piccoli e grandi reati se ne intende: per la legalità,
non dobbiamo ripartire i campi rom. Bisogna semplicemente farli
ripartire. Ecco, è così facile cavalcare ondate “popolari”, rimuovendo
la realtà dei fatti, a cominciare da quello originario e coiè che di
solito i “nomadi” aspirano a una residenza normale, sarebbero stanziali
per anni se non venissero sgomberati e soprattutto la maggior parte è di
nazionalità italiana da generazioni.
E certo non aiuta la fascinazione subita e
esercitata da una intellighenzia che interpreta l’azione minoritaria di
regolarizzazione degli habitat, scolarizzazione, pagamento di tasse e
bollette, espulsione dei violenti, come una autoritaria opera di
snaturamento identitario, una minaccia di omologazione, che si sa le
minoranze sono suggestive, purché restino tali, silenziose, invisibili,
virtuali nei libri, nei film, nelle canzoni.
La fuga, poco eroica, per niente lirica,
affatto letteraria, è scritta nella storia delle comunità rom d’Europa,
non nomadi per natura, ma sfollati, sfrattati, espulsi, perseguitati,
ma di seconda categoria, rifugiati, migranti in cerca di sopravvivenza o
di una vita migliore, condannati a essere minoranza ovunque si trovino,
spaesati anche nel paese d’origine. Eppure parliamo della più grande
minoranza d’Europa, tra i 7 e i 9 milioni di cittadini. Ma da noi, dove
sembra rappresentino un bubbone tossico che ogni tanto scoppia, neppure
dopo l’apertura delle frontiere agli immigrati dalla Romani, raggiungono
quota 200.000. Una percentuale talmente esigua, tanto più se si
considera che circa 60 mila sono italiani da secoli, più della metà ha
meno di diciotto anni, e tra gli stranieri prevalgono quelli fuggiti
quasi vent’anni fa dalle guerre balcaniche, tuttora condannati dalla
burocrazia che non ne riconosce lo status a restare privi di documenti,
da non rappresentare un’emergenza. Se non per la civiltà di questo
paese.
“non è stata una gran violenza… li
abbiamo fatto uscire dalla casarelle che si sono costruiti. Appena
fuori, le abbiamo incendiate per non farli tornare”. I vespri di Ponticelli,
come è stati definito il pogrom contro gli zingari di donne, uomini,
vecchi, ragazzini di una delle zone più maltrattate della nazione e che
ha insegnato a maltrattare chi sta peggio, sono del 2008. Ma non sono
un’eccezione, come non lo è la spedizione punitiva dei torinesi che
dovevano punire esemplarmente il giovane denunciato da una ragazzina che
voleva coprire una scappatella, come non lo sono lo sono gli sgomberi
forzati, i muri alzati, come non lo furono le molotov e le taniche di
benzina sull’accampamento di Scampia.
Per un paese di memoria corta è facile
dimenticare quando siamo stati noi gli zingari, per un paese senza più
visioni del futuro sembra sia meglio non sapere che potremmo ridiventare
gente in fuga, gente invisibile che vive ai margini delle città in
bidonville e favelas, per un paese che non sa aprirsi agli altri è
preferibile stare al chiuso delle proprie paure, che almeno sembrano
conosciute. Ma è soltanto perché non vogliamo guardarci intorno ed avere
coraggio, a volte il mondo sconosciuto è quello più adatto a ospitare
l’umanità.
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