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Lavoratori autonomi e sindacati
impegnati in una vertenza comune contro la riforma Fornero: un nefasto
provvedimento che è riuscito nel miracolo di far unire nella lotta le
differenti tipologie e figure lavorative. Un fronte comune che forse sarà
possibile replicare sulla legge di stabilitàIl mondo del lavoro indipendente si
mobilita contro una delle peggiori norme contenute nella riforma Fornero delle
pensioni: l'aumento di un punto dell'aliquota previdenziale per le partite Iva
iscritte alla gestione separata dell'Inps a partire dal 1 gennaio e di cinque
punti entro il 2018, dall'attuale 27,72% al 33%. Per la prima volta nella
storia repubblicana, oltre trecento associazioni e gruppi organizzati del
lavoro autonomo e professionale diventano protagoniste di un'azione politica
congiunta e vengono supportate, elemento ulteriore di novità, dalla Cgil e
dalla Uil.
Mai fino ad oggi si era visto uno schieramento così vasto sottoscrivere un appello al governo Letta e chiedere di bloccare un aumento che danneggia almeno 200 mila persone e comprometterà la tenuta del sistema previdenziale. Queste persone sono professionisti che lavorano solo con la partita iva e guadagnano in media 18.836 mila euro lordi, 9.041 mila netti all'anno, pari a 753,44 al mese.
Un lavoratore con partita Iva che guadagna 1.000 euro lordi al mese oggi ha un reddito netto disponibile di 545 euro. Se fosse confermato l'aumento delle aliquote Inps decise dai precedenti governi, il reddito si ridurrebbe a 485 euro mensili, con una perdita di quasi 300 euro. Chi realizza un reddito di 2.000 euro lordi al mese se ne ritrova in tasca 960 che diventeranno 840 euro quando l'aumento dei contributi sarà a regime.
Secondo i calcoli della Cgil, la cifra da stanziare nella legge di stabilità per bloccare una «misura iniqua» è di 26 milioni di euro.
Mai fino ad oggi si era visto uno schieramento così vasto sottoscrivere un appello al governo Letta e chiedere di bloccare un aumento che danneggia almeno 200 mila persone e comprometterà la tenuta del sistema previdenziale. Queste persone sono professionisti che lavorano solo con la partita iva e guadagnano in media 18.836 mila euro lordi, 9.041 mila netti all'anno, pari a 753,44 al mese.
Un lavoratore con partita Iva che guadagna 1.000 euro lordi al mese oggi ha un reddito netto disponibile di 545 euro. Se fosse confermato l'aumento delle aliquote Inps decise dai precedenti governi, il reddito si ridurrebbe a 485 euro mensili, con una perdita di quasi 300 euro. Chi realizza un reddito di 2.000 euro lordi al mese se ne ritrova in tasca 960 che diventeranno 840 euro quando l'aumento dei contributi sarà a regime.
Secondo i calcoli della Cgil, la cifra da stanziare nella legge di stabilità per bloccare una «misura iniqua» è di 26 milioni di euro.
«Un gesto importante di giustizia
sociale e di attenzione verso lavoratori che contribuiscono all'equilibrio del
sistema Inps con oltre un miliardo di euro di contributi versati ogni anno» si
legge nell'appello sottoscritto dal Coordinamento delle Libere Associazioni
Professionali (Colap), della Confassociazioni, della consulta professionale
della Cgil, insieme a Agenquadri all'Associazione dei Consulenti del Terziario
Avanzato (Acta) e all'associazione «Alta partecipazione».
Lavoro autonomo di seconda generazione
Queste associazioni hanno attratto centinaia di realtà del lavoro autonomo non ordinistico, che non rispondono cioè ad un ordine professionale, ma che stanno sul mercato, lavorano con la pubblica amministrazione, gestiscono contatti e competenze ma non assomigliano in nulla ad un'impresa. Coprono praticamente tutto lo scibile del lavoro indipendente che si occupa delle relazioni e della cura delle persone, di ricerca o consulenze, elabora linguaggi e produce cultura, crea servizi, beni e prodotti immateriali. Sergio Bologna lo ha definito «lavoro autonomo di seconda generazione».
Questo segmento importante del lavoro indipendente è stato sempre trattato come un bancomat da tutti i governi. A partire dai contributi per la pensione, che con ogni probabilità non riceveranno mai, per non parlare delle tasse. Tutte sulle loro spalle perché, a differenza del lavoro dipendente, in Italia gli autonomi devono autofinanziarsi tutto, dalla malattia alla pensione, e anche la formazione. Per loro non è prevista la cassa integrazione in caso di disoccupazione, un salario o un reddito minimo.
Lavoro autonomo di seconda generazione
Queste associazioni hanno attratto centinaia di realtà del lavoro autonomo non ordinistico, che non rispondono cioè ad un ordine professionale, ma che stanno sul mercato, lavorano con la pubblica amministrazione, gestiscono contatti e competenze ma non assomigliano in nulla ad un'impresa. Coprono praticamente tutto lo scibile del lavoro indipendente che si occupa delle relazioni e della cura delle persone, di ricerca o consulenze, elabora linguaggi e produce cultura, crea servizi, beni e prodotti immateriali. Sergio Bologna lo ha definito «lavoro autonomo di seconda generazione».
Questo segmento importante del lavoro indipendente è stato sempre trattato come un bancomat da tutti i governi. A partire dai contributi per la pensione, che con ogni probabilità non riceveranno mai, per non parlare delle tasse. Tutte sulle loro spalle perché, a differenza del lavoro dipendente, in Italia gli autonomi devono autofinanziarsi tutto, dalla malattia alla pensione, e anche la formazione. Per loro non è prevista la cassa integrazione in caso di disoccupazione, un salario o un reddito minimo.
Quando si parla di riduzione del
cuneo fiscale del costo del lavoro, non si parla mai di loro. Sono come gli
apolidi. Respirano, lavorano, hanno figli, ma non hanno ancora una
cittadinanza. «Abbiamo superato tutti i confini per farte un'azione comune -
conferma Anna Soru, presidente di Acta che ha anche lanciato la petizione «DicaNo33» e ha
raccolto in rete 12 mila adesioni - Speriamo che sia la prima di una lunga
serie. Siamo d'accordo sul blocco dell'aumento contributivo insostenibile e
antistorico perchè va a colpire il lavoro più nuovo, che sta crescendo, ma che
non viene tutelato».
La beffa della gestione separata
Gli effetti dei primi cinque anni di crisi si stanno facendo sentire. Tra il 2011 e il 2012 i contribuenti alla gestione separata Inps sono diminuiti di 63 mila (21 mila partite Iva e 42 mila parasubordinati). Questa «fuga» ha abbattuto di 1 miliardo e 248 milioni di euro il gettito che è passato da 8 miliardi a 7 miliardi solo tra il 2010 e il 2011. L'adesione alla gestione separata costa cara (In dieci anni il prelievo contributivo per le partite iva è passato dal 10% all’attuale 27%) e non garantisce una pensione in futuro e tanto meno tutele nel presente. In queste condizioni critiche la riforma Fornero ha imposto un aumento dell'aliquota per pagare l'assicurazione per l'impiego (Aspi) da cui tuttavia questi lavoratori sono esclusi. Senza contare che i loro contributi coprono i passivi della gestione dei commercianti, degli artigiani o dei. dirigenti. Gli autonomi pagano il cuneo fiscale più alto di tutti. Una beffa.
Una prima azione comune
«Con i sindacati è la prima volta che facciamo una battaglia politica dalla stessa parte - afferma Emiliana Alessandrucci, direttrice del Colap - Ci siamo ritrovati sull'idea che il parasubordinato è giusto che costi come un dipendente, ma la partita Iva no. Così ci siamo accordati sul blocco dell'aliquota che danneggia la nostra competitività rispetto a chi è iscritto ad un ordine professionale. Ad esempio, un architetto paga solo il 14% di contributi mentre un progettista di interni arriverà a pagare 19% in più nel 2018. Questo significa che farà la fame o smetterà di lavorare».
La beffa della gestione separata
Gli effetti dei primi cinque anni di crisi si stanno facendo sentire. Tra il 2011 e il 2012 i contribuenti alla gestione separata Inps sono diminuiti di 63 mila (21 mila partite Iva e 42 mila parasubordinati). Questa «fuga» ha abbattuto di 1 miliardo e 248 milioni di euro il gettito che è passato da 8 miliardi a 7 miliardi solo tra il 2010 e il 2011. L'adesione alla gestione separata costa cara (In dieci anni il prelievo contributivo per le partite iva è passato dal 10% all’attuale 27%) e non garantisce una pensione in futuro e tanto meno tutele nel presente. In queste condizioni critiche la riforma Fornero ha imposto un aumento dell'aliquota per pagare l'assicurazione per l'impiego (Aspi) da cui tuttavia questi lavoratori sono esclusi. Senza contare che i loro contributi coprono i passivi della gestione dei commercianti, degli artigiani o dei. dirigenti. Gli autonomi pagano il cuneo fiscale più alto di tutti. Una beffa.
Una prima azione comune
«Con i sindacati è la prima volta che facciamo una battaglia politica dalla stessa parte - afferma Emiliana Alessandrucci, direttrice del Colap - Ci siamo ritrovati sull'idea che il parasubordinato è giusto che costi come un dipendente, ma la partita Iva no. Così ci siamo accordati sul blocco dell'aliquota che danneggia la nostra competitività rispetto a chi è iscritto ad un ordine professionale. Ad esempio, un architetto paga solo il 14% di contributi mentre un progettista di interni arriverà a pagare 19% in più nel 2018. Questo significa che farà la fame o smetterà di lavorare».
Davide Imola. responsabile
professioni Cgil, sottolinea la novità storica di questa coalizione. Per il
sindacato di Corso Italia è un passo verso la «contrattazione inclusiva»,
fondata sul riconoscimento dei diritti della persona, prima ancora della
tipologia del suo contratto. Per la Cgil l'obiettivo è estendere la
contrattazione, istituire i compensi minimi e così finanziare le tutele
sociali. Su questo punto, c'è un intenso dibattito con le associazioni degli
autonomi.
Non tutti, infatti, sono convinti che il compenso minimo sia la soluzione per le partite Iva, anche se è efficace per i parasubordinati. In ogni caso, la battaglia contro la riforma Fornero potrebbe essere un primo passo per parlare di tutele sociali per tutto il lavoro indipendente.
Quanti sono i lavoratori autonomi
In un'analisi recente della Cgil i lavoratori che svolgono attività autonome senza dipendenti, esclusi i parasubordinati e le imprese, risultano essere 3.369.000. A queste partite Iva individuali vanno aggiunti 962.428 parasubordinati esclusivi (coloro che non hanno altre attività e non sono in pensione) e 21.101 lavoratori con redditi esclusivi da cessione di diritti d'autore. Per un totale di 4.352.529.
A sinistra per anni si è creduto che gli autonomi fossero tutti evasori fiscali. A destra,invece, che fossero tutti potenziali "imprese individuali". In questa incertezza sull'identità, che però corrisponde all'esercizio di una professione ben chiara, anche per questo è stato deciso di aumentargli la contribuzione, senza tuttavia garantire le tutele universali riservate ai contribuenti dello Stato.
Chi lavora con la partita Iva per aziende, come per la pubblica amministrazione, condivide con i lavoratori dipendenti l’impossibilità di evadere perché viene pagato solo a fronte di una fattura. Ma, diversamente dai dipendenti, versa nelle casse dell’Inps contributi superiori (il 27%, appunto, contro il 14% o il 21%). E questo vale in particolare per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996 (l’anno in cui entrò in vigore la riforma Dini e nacque la gestione separata). Pochi di loro hanno la speranza di percepire una pensione a fine carriera, sebbene versino regolarmente il dovuto.
Non tutti, infatti, sono convinti che il compenso minimo sia la soluzione per le partite Iva, anche se è efficace per i parasubordinati. In ogni caso, la battaglia contro la riforma Fornero potrebbe essere un primo passo per parlare di tutele sociali per tutto il lavoro indipendente.
Quanti sono i lavoratori autonomi
In un'analisi recente della Cgil i lavoratori che svolgono attività autonome senza dipendenti, esclusi i parasubordinati e le imprese, risultano essere 3.369.000. A queste partite Iva individuali vanno aggiunti 962.428 parasubordinati esclusivi (coloro che non hanno altre attività e non sono in pensione) e 21.101 lavoratori con redditi esclusivi da cessione di diritti d'autore. Per un totale di 4.352.529.
A sinistra per anni si è creduto che gli autonomi fossero tutti evasori fiscali. A destra,invece, che fossero tutti potenziali "imprese individuali". In questa incertezza sull'identità, che però corrisponde all'esercizio di una professione ben chiara, anche per questo è stato deciso di aumentargli la contribuzione, senza tuttavia garantire le tutele universali riservate ai contribuenti dello Stato.
Chi lavora con la partita Iva per aziende, come per la pubblica amministrazione, condivide con i lavoratori dipendenti l’impossibilità di evadere perché viene pagato solo a fronte di una fattura. Ma, diversamente dai dipendenti, versa nelle casse dell’Inps contributi superiori (il 27%, appunto, contro il 14% o il 21%). E questo vale in particolare per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996 (l’anno in cui entrò in vigore la riforma Dini e nacque la gestione separata). Pochi di loro hanno la speranza di percepire una pensione a fine carriera, sebbene versino regolarmente il dovuto.
"La riforma Dini - continua Anna
Soru - è stata fatta per permettere la sostenibilità del sistema pensionistico
ma non quella delle singole pensioni. L’onere viene ripartito in maniera
proprozionale fino ai 90 mila euro ma poi non più, ed è inaccettabile perché
diventa regressiva perché non paga chi guadagna 200, 300 mila euro. Serve a
sostenere l’inps e quelli che hanno una pensione alta. Il costo dovrebbe essere
invece sostenuto da tutti e pagato in maniera progressiva".
Altri falsi miti sulle partite Iva
La confusione tra partite iva "pure" e falsi dipendenti, e la convinzione che in realtà gli autonomi siano lavoratori parasubordinati o precari "mascherati" si è diffusa negli ultimi anni di crisi, a partire dalla riforma Fornero sulle pensioni.
C'è una base di realtà in questa convinzione come dimostra la ricerca Isfol «Lavoratori autonomi: identità e percorsi formativi». Tra il 2007 e il 2012, 330 mila autonomi hanno perso il lavoro. I più colpiti sono stati gli imprenditori: l’87,4% dichiara che il mercato è peggiorato negli ultimi tre anni di crisi. Un dato che contrasta, ma solo apparentemente, con l’esplosione delle partite Iva. Per la Cgia di Mestre nel 2012 ne sono state aperte 549 mila, il 38,5% sono intestate agli under 35. La crescita è avvenuta a Sud, nel commercio, nelle professioni e nelle costruzioni.
Per la maggioranza sono partite Iva monocommittenti, cioè svolgono un lavoro dipendente mascherato. Il monitoraggio su questo fenomeno partirà solo nel 2014, come si legge nella circolare Inail del 20 marzo 2013 vanificando l’impatto della riforma. E' ormai convinzione diffusa che la monocommittenza non sia il criterio che distingue una «finta» partita Iva da una «vera».
Il criterio utile per distinguere situazioni diversa resta quello del lavoro che viene pagato sulla prestazione, non sul tempo dell'impiego o di un contratto. Anche la riforma Fornero non concede ai singoli l'autonomia nel decidere se, come e quando lavorare, obbligandoli ad aderire ad un'identità predeterminata, standard o tipica, mentre il lavoro indipendente rifiuta questo criterio.
Possibilità delle coalizioni
Questa prima coalizione tra lavoro autonomo e sindacati - pur nella diversità delle rispettive posizioni, talvolta anche ampia - potrebbe diventare l'occasione per affrontare il problema delle tutele sociali (reddito, assicurazione, prevenzione ad esempio) per tutto il lavoro indipendente in Italia, composto da tutti coloro che non svolgono un'attività di impresa e non sono dipendenti
La confusione tra partite iva "pure" e falsi dipendenti, e la convinzione che in realtà gli autonomi siano lavoratori parasubordinati o precari "mascherati" si è diffusa negli ultimi anni di crisi, a partire dalla riforma Fornero sulle pensioni.
C'è una base di realtà in questa convinzione come dimostra la ricerca Isfol «Lavoratori autonomi: identità e percorsi formativi». Tra il 2007 e il 2012, 330 mila autonomi hanno perso il lavoro. I più colpiti sono stati gli imprenditori: l’87,4% dichiara che il mercato è peggiorato negli ultimi tre anni di crisi. Un dato che contrasta, ma solo apparentemente, con l’esplosione delle partite Iva. Per la Cgia di Mestre nel 2012 ne sono state aperte 549 mila, il 38,5% sono intestate agli under 35. La crescita è avvenuta a Sud, nel commercio, nelle professioni e nelle costruzioni.
Per la maggioranza sono partite Iva monocommittenti, cioè svolgono un lavoro dipendente mascherato. Il monitoraggio su questo fenomeno partirà solo nel 2014, come si legge nella circolare Inail del 20 marzo 2013 vanificando l’impatto della riforma. E' ormai convinzione diffusa che la monocommittenza non sia il criterio che distingue una «finta» partita Iva da una «vera».
Il criterio utile per distinguere situazioni diversa resta quello del lavoro che viene pagato sulla prestazione, non sul tempo dell'impiego o di un contratto. Anche la riforma Fornero non concede ai singoli l'autonomia nel decidere se, come e quando lavorare, obbligandoli ad aderire ad un'identità predeterminata, standard o tipica, mentre il lavoro indipendente rifiuta questo criterio.
Possibilità delle coalizioni
Questa prima coalizione tra lavoro autonomo e sindacati - pur nella diversità delle rispettive posizioni, talvolta anche ampia - potrebbe diventare l'occasione per affrontare il problema delle tutele sociali (reddito, assicurazione, prevenzione ad esempio) per tutto il lavoro indipendente in Italia, composto da tutti coloro che non svolgono un'attività di impresa e non sono dipendenti
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