Da
trent’anni il Paese è governato dalla pancia: grandi indigestioni di
Italia da bere come aperitivo e poi le penne al sugo di un milione di
posti di lavoro con spolverata di contratto con gli italiani, risotto
alla D’Alema con formaggio di fossa, filet mignon in panna acida,
sformato Alitalia con Ilva di stagione, fritto misto di licenziamenti,
lingua di vacca provenzale con insalatina berlinese e infine il dessert
della casta. Il tutto magnificato da telecamerieri con la giaccia
inamidata e accompagnato da tavernello d’annata. Il risultato è
l’avvelenamento dovuto alla scarsa qualità degli ingredienti e
l’incapacità degli chef che provoca insopportabili bruciori di stomaco.
Però i commensali hanno sopportato stoicamente, incapaci di staccarsi
dalla fascinazione del menù e di alzarsi dal tavolo.
Dopo questa scorpacciata ci si aspettava finalmente di farla finita
con le ricette da quattro soldi, di uscire dall’atmosfera viziata di
questa cambusa di nequizie, di fare due passi per schiarirsi il cervello
e invece da una parte arriva l’ animatore Renzi con la sua fintissima
simpatia e la totale assenza di contenuti, dall’altra viene Grillo a
dirci che è ancora tempo di dar retta alla pancia, di fare del facile
populismo e di mettere insieme “finzioni politiche” come quella
dell’impeachment di Napolitano. L’uomo si propone sempre di più non come
alternativa di un sistema al tramonto, ma come una pastiglia di maalox
che serve solo ad alleviare il malessere. Non sarebbe ora di finirla?
Ho sempre avvertito il baratro che c’è tra Grillo – Casaleggio e il
M5S che non è più un’accolita marginale di fans del “conformismo
contro”, ma rappresenta una vasta ribellione alla deriva oligarchica
presa dal sistema politico e dalla sua incapacità di rappresentanza. Per
paradosso proprio questo movimento di opinione si è trovato all’interno
di un nuovo “sistema monarchico” dove la magica rete è diventata un
feticcio grazie al quale è possibile comandare a bacchetta isolando ogni
dissenso. Il tutto condito da vaniloqui su sistemi operativi e
applicazioni per la partecipazione diretta, ( che peraltro, proprio
volendo, esistono da un decennio, un secolo sull’orologio informatico),
ma solo di chi vuole è scelto dal padrone e senza controlli esterni.
Ribellarsi veramente ai falsi ribelli comincia ad essere un dovere.
Non è un caso che tutto questo, unito al ponzio pilatismo di ambigua
origine visto che alla fine congela milioni di voti e “oggettivamente”,
come si diceva un tempo, favorisce la persistenza del sistema politico e
dei suoi grandi committenti finanziari, provoca un distacco
dell’elettorato che si sente trascinato dentro una marginalità fattuale
spaventosa. Certo l’ultima batosta in Trentino non può essere presa
come riferimento assoluto trattandosi di una realtà molto particolare,
ma nemmeno si può dire che sia normale perdere i tre quarti dei voti
rispetto alle politiche, tanto più in un movimento formatosi non solo
attorno a Grillo, ma anche alle realtà locali: una simile dicotomia è
del tutto estranea alle dinamiche elettorali italiane.
Forse sarà anche retorico dire basta alla pancia per ascoltare cuore e
cervello. Ma ormai anche queste formule un po’enfatiche sono dense di
significato a confronto del nientismo attuale. E del resto a forza di
ingerire schifezze dovremmo essere in grado di avvertire il sapore della
trippa anche quando il cuoco ci dice che è fagiano.
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