La contrapposizione è quella che ha dominato le cronache ai tempi del movimento Occupy Wall Street: 99% contro 1%. I nuovi dati riguardano però l’Italia e arrivano dall’Ocse, che nel suo rapporto sulle disuguaglianze
calcola che l’1% più benestante della popolazione della
Penisola detiene il 14,3% della ricchezza nazionale netta, praticamente
il triplo rispetto al 40% più povero,
che detiene solo il 4,9 per cento degli attivi totali. La crisi ha
inoltre accentuato le differenze, dato che la perdita di reddito
disponibile tra il 2007 e il 2011 è stata del 4% per il 10% più povero
della popolazione e solo dell’1% per il 10% più ricco. Quanto ai
redditi, nel 2013 il 10% più ricco della popolazione guadagnava undici
volte di più del 10% più povero.
La ricchezza nazionale netta, riporta ancora l’organizzazione parigina, in Italia è distribuita in modo molto disomogeneo,
con una concentrazione particolarmente marcata verso l’alto. Il 20% più
ricco (il cosiddetto “primo quintile”) detiene infatti il 61,6% della
ricchezza e il 20% appena al di sotto (secondo quintile) il 20,9%. Il
restante 60% si deve accontentare del 17,4% della ricchezza nazionale,
di cui appena lo 0,4% per il 20% più povero. Anche nella fascia più alta, inoltre, la distribuzione è nettamente squilibrata
a favore del vertice. Il vertice della piramide, cioè 5% più ricco
della popolazione, detiene infatti il 32,1% della ricchezza nazionale
netta, ovvero oltre la metà di quanto detenuto del primo quintile, e di
questa quasi la metà è in mano all’1% più ricco.
Il rapporto Ocse rileva anche un ampliamento delle disuguaglianze come conseguenza dell’aumento del lavoro precario: il tasso di povertà tra le famiglie italiane di lavoratori “non-standard” – autonomi, precari, part time – è al 26,6%,
contro il 5,4% per quelle di lavoratori stabili e il 38,6% per quelle
di disoccupati. In generale la povertà “è aumentata notevolmente”:
l’indice è salito nel periodo 2007-2011 di 3 punti, il quinto maggiore
incremento nell’area Ocse. I dati dell’organizzazione parigina mostrano
che se si fissa a 100 il guadagno medio dei lavoratori con posto fisso,
quello degli atipici si ferma a 57, e con grosse disparità tra le varie
categorie: il valore è 72 per un lavoratore autonomo, 55 per chi ha
un contratto a termine full time e 33 per un contratto a termine part
time. A questo si aggiunge la sempre maggiore difficoltà a passare da
un’occupazione precaria a una fissa: tra le persone che nel 2008 avevano
un lavoro a tempo determinato, cinque anni dopo solo il 26% era
riuscito ad ottenere un posto a tempo indeterminato.
Una notizia positiva arriva invece dai numeri sull’indebitamento privato: l’Italia è il Paese Ocse con la minor percentuale di famiglie indebitate,
il 25,2%, contro il 35,6% dell’Austria, il 36,6% della Grecia, il 46,8%
della Francia e il 47,4% della Germania. Ancora più alti i tassi
registrati in Gran Bretagna (50,3%) e Usa (75,2%). Nella Penisola è
inoltre molto limitata l’incidenza del sovraindebitamento: solo il 2,3%
delle famiglie ha un rapporto debito-asset superiore al 75% e solo il
2,8% ha un rapporto debito-introiti superiore a 3.
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