di Loris Caruso
Analisi. Il modello regionale (Podemos da solo), e il modello delle
città( la coalizione di partiti e movimenti). Due strade molto diverse,
ma è la seconda quella che ha la forza del consenso e dei voti
Il dato forse più importante delle elezioni in Spagna è la
differenza tra le elezioni amministrative e quelle regionali. Si
sono confrontati due modelli. Podemos aveva scelto di presentarsi
da solo alle elezioni regionali, lavorando invece nelle città a
“coalizioni di unità popolare”, liste unitarie tra Podemos, altri
movimenti politici (come Equo e Ganemos) e i movimenti sociali eredi
della stagione degli Indignados.
Si tratta di due modelli molto diversi, che riflettono anche il
dibattito all’interno di Podemos. Da un lato, il partito inteso come
macchina mediatico-elettorale che, se può nascere e affermarsi grazie
all’azione precedente delle mobilitazioni sociali, pensandosi
come una loro traduzione politica, includendone istanze
e rivendicazioni, tende però a considerare il radicalismo
e l’«assemblearismo» (un eccesso di partecipazione che ridurrebbe
l’efficacia decisionale) come ostacoli all’affermazione elettorale.
Un partito, quindi, che deve essere espressione della
mobilitazione sociale, ma deve nello stesso tempo assorbirla,
spostarla, tradurla sul piano politico-politico della strategia
elettorale e recepirne selettivamente solo gli aspetti
funzionali a questo scopo.
È un approccio che accoglie molto dei modelli politici dominanti:
marketing, comunicazione, leaderismo, maggiore attenzione ai
media che al radicamento territoriale, un uso quasi “aziendale”
della Rete che allarga le possibilità di partecipazione (a colpi
di click) della base, rendendola però quasi del tutto ininfluente
sulle decisioni del vertice.
Dall’altra parte, nelle città, si è costruito un modello che non
rifiuta del tutto questi meccanismi, ma li integra con ciò che essi
escludono: la mobilitazione, il conflitto, il radicalismo, la
centralità del sociale, il coinvolgimento attivo e costante della
base già militante e di quella potenziale.
È un’alternativa, quella tra questi due modelli, che riguarda
davvero il futuro delle forme dell’organizzazione politica a sinistra.
Il fatto è che il secondo modello è risultato decisamente più
forte del primo. Più efficace, più capace di coinvolgere l’elettorato
e la società spagnola, più capace di vincere. I risultati di
Podemos e dei suoi alleati a Barcellona, Madrid, Cadice, Saragozza
e La Coruna sono doppi rispetto a quelli che Podemos ha ottenuto da
solo alle regionali. Nelle regioni il risultato di Podemos oscilla
tra l’8 e il 20%, con una media nazionale di circa il 10–12%. Le
coalizioni di unità popolare hanno ottenuto il 25% a Barcellona,
il 31% a Madrid, il 30% a La Coruna, il 28% a Cadice, il 25%
a Saragozza. Mentre nelle regionali Podemos è riuscito al massimo
a risultare la terza forza, le coalizioni popolari sono state la
prima forza a Barcellona e La Coruna, la seconda a Madrid, Cadice
e Saragozza. Ma il dato ancora più importante è che mentre nelle
regionali Podemos arriva sempre dietro al Psoe, nelle cinque grandi
città gli è sempre davanti, e spesso lo doppia. La vicenda di
Barcellona, poi, farà scuola: Ada Colau, leader di un movimento
rappresentato come anti-sistema (la Pah, movimento per il diritto
alla casa), sarà il sindaco della città.
Questi risultati dimostrano che non sempre, non per forza, il
radicalismo spaventa gli elettori (nemmeno quelli della mitica
classe media, soprattutto quando questa è in crisi quanto le classi
popolari), e non sempre l’apertura, la partecipazione estesa, la
restituzione di un protagonismo reale a militanti, attivisti
e cittadini sono un pericolo per l’efficacia, la riuscita e perfino
la compattezza di un progetto politico. Dipende. Dipende dal fatto
che la partecipazione e l’apertura siano realizzate davvero e non
solo enunciate (per essere magari poi tradite, nei fatti, da sempre
attivi istinti politicisti). E dipende dal fatto che il
radicalismo dei contenuti non solo appaia razionale
e realistico, ma sia riuscito a incarnarsi in conflitti concreti
e risultati tangibili, senza limitarsi ad enunciare all’infinito il
disgusto per la politica di partito e la rappresentanza.
Alla luce di tutto questo, si può dire che se Podemos ambisce,
come ambisce, a vincere le elezioni politiche, dovrà
probabilmente seguire più il modello delle città che quello delle
regioni. Il modello per le elezioni generali può essere quello di una
grande alleanza nazionale tra Podemos, movimenti politici
e movimenti sociali, aprendo subito un processo costituente in cui
questa alleanza si formi nel paese. E, forse, perfino immaginando
che a rappresentarla possa essere una figura più simile a quella di
Ada Colau che a quella di Pablo Iglesias, che sia più espressione
della «maggioranza sociale» che leader di partito.
Il punto è che ci sono ormai troppi segnali del fatto che, anche
a sinistra, solo ciò che risulta essere all’altezza dei cambiamenti
sociali, politici e storici in corso può funzionare. È giusto, come
ha fatto Podemos, innovare innanzitutto la forma partito –
concedendosi, in qualche modo, anche a linguaggi e forme che si
potrebbero definire post-moderne. Ma nemmeno questo, da solo, basta.
Così come, da sola, la mobilitazione sociale (la “coalizione
sociale”) ottiene pochi risultati. I governi di tutta Europa si sono
resi quasi del tutto impermeabili a qualsiasi mobilitazione
sociale. Per dirla in stile renziano: loro “vanno avanti”, qualsiasi
cosa dica il paese, di qualsiasi ampiezza siano le mobilitazioni e i
conflitti.
Il potere capisce solo la lingua del potere, i voti conoscono solo
il linguaggio dei voti, i numeri quello dei numeri, la forza quello
della forza, i media quello del successo. Le mobilitazioni sociali
possono ottenere risultati se fanno paura anche sul piano
elettorale. I progetti politici della sinistra possono essere
efficaci solo se sono innervati di azione sociale, movimenti,
conflitti, attori collettivi, lotte locali.
Qualsiasi forma di politicismo, anche brillante, è decisamente
votata alla sconfitta. Sarà questo il futuro modello della sinistra,
visibilmente in gestazione in questi anni e di cui le elezioni
spagnole parlano in modo chiaro: partiti e movimenti insieme,
coalizione sociale più coalizione politica. Ognuno, da solo, farà
poca strada.
fonte: il manifesto
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