Pochi giorni fa, in una intervista all’Avvenire, il Ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, parlando della approvazione del DDL sugli ecoreati, ha difeso la formulazione del delitto di disastro ambientale (“chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale“)
in quanto le autorizzazioni alle aziende a produzione ‘pericolosa’
vengono rilasciate dal suo Ministero con prescrizioni molto rigide; e la
violazione di queste prescrizioni comporta che si agisce abusivamente e si rientra, quindi, nella sfera di punibilità del nuovo delitto.
E’ una affermazione importante, in quanto, in primo luogo, ammette
onestamente, a differenza di tanti improvvisati pseudogiuristi, che
quell”abusivamente’ attiene al possesso o meno di un’autorizzazione.
Quindi, di regola, il disastro ambientale provocato da attività
autorizzata non è punibile. Ed è condivisibile (in parte) anche il
seguito: la violazione delle prescrizioni dell’autorizzazione comporta
che si agisce ‘abusivamente’, con l’applicabilità del nuovo delitto.
Questo, tuttavia, non spiega la presenza di ‘abusivamente'; senza questo avverbio, sarebbe punibile chiunque cagiona un disastro ambientale
a prescindere dal possesso e dal rispetto di un’autorizzazione; così
come fa il codice penale quando punisce (senza ‘abusivamente’) chi
provoca un incendio, un crollo o un disastro innominato.Il suo
inserimento, invece, come riconosce il Ministro, limita la sfera di punibilità agli ‘abusivi’.
Ed è a questo punto che, rispettosamente, dissento da quanto dice il Ministro Galletti.
Le autorizzazioni (con prescrizioni) alle aziende a produzione ‘pericolosa’ si chiamano AIA (Autorizzazione integrata ambientale)
e vengono rilasciate dal Ministero dell’Ambiente, dopo un iter
complesso che si fonda, in gran parte, sulle dichiarazioni relative al
ciclo produttivo provenienti dalla stessa azienda interessata; con gli
evidenti rischi di carenze di prescrizioni. In più, il controllo sul
rispetto di queste prescrizioni è affidato, sostanzialmente, alle stesse
aziende.
Tanto per fare un esempio che conosco personalmente, il controllo sul rispetto dei limiti alle emissioni della centrale Enel a carbone di Civitavecchia,
si basa sui rilevamenti fatti solo dall’Enel stessa; gli organi di
controllo pubblici previsti dalla legge (Ispra e Arpa) non hanno neppure
lo strumento idoneo a campionare i fumi delle ciminiere e sono così
carenti di personale e mezzi da rendere veramente utopistico pensare che
possa esservi un controllo pubblico, adeguato e continuato, su aziende di grandi dimensioni e complessità.
E allora, se una di queste industrie (con AIA) provoca un disastro
ambientale, come si fa a dimostrare che lo ha cagionato ‘abusivamente’,
indicando con certezza quali, quante volte e quando non sono state
rispettate le prescrizioni? Tanto più che il decreto legge n. 91 del
2014, in nome della ‘crescita’, ha previsto che “….le Autorizzazioni
Integrate Ambientali rilasciate per l’esercizio di dette installazioni
possono prevedere valori limite di emissione anche più elevati e
proporzionati ai livelli di produzione….” (art. 13, comma 7).
E tanto più che questo governo e gli altri governi dell’emergenza
hanno favorito apertamente proprio le industrie con AIA (quelle più
pericolose), sia depenalizzando espressamente le loro violazioni sia
escludendole dalle sanzioni per le imprese; tanto che oggi, le
violazioni ambientali di un autolavaggio vengono punite molto più
pesantemente di quelle relative ad una centrale elettrica. Benevolenza
che non può non influenzare anche il rilascio delle AIA con relative
prescrizioni.
Resta da fare un’ultima precisazione. C’è ancora chi sostiene che,
senza ‘abusivamente’, rischia l’incriminazione anche chi ha sempre agito
correttamente; anzi, qualcuno ha anche scritto che potremmo rischiare
tutti una incriminazione visto che le nostre auto inquinano.
Condivido, ovviamente, la preoccupazione di fondo, ma chi fa
affermazioni di questo tipo ignora totalmente i principi base del
diritto penale su elemento soggettivo, nesso di causalità, cause di
giustificazione ecc.
Gli ecoreati sono delitti (non contravvenzioni) e
qualsiasi studente di giurisprudenza sa benissimo che, se un evento non è
prevedibile ed evitabile, e se qualcuno, in buona fede, si è sempre
attenuto alle leggi, ed ha agito con diligenza e prudenza non rischia
niente. Manca, infatti, l’elemento soggettivo, dolo o
colpa (imprudenza, negligenza, imperizia o inosservanza di leggi,
regolamenti, ordini o discipline), necessario per l’integrazione del
delitto. E significa anche ignorare totalmente la giurisprudenza della
Corte Costituzionale, la quale, sin dalla famosa sentenza n. 364 del
1988 ha evidenziato la “illegittimità costituzionale della punizione
di fatti che non risultino essere espressione di consapevole,
rimproverabile contrasto con i (o indifferenza ai) valori della
convivenza, espressi dalle norme penali”.
E allora, resta la domanda iniziale: a chi serve quell’ “abusivamente”?
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