sabato 30 maggio 2015

Eticamente ineleggibile di Norma Rangeri

Affi­dare alla vigi­lia delle ele­zioni l’appalto milio­na­rio di un nuovo ospe­dale in Ligu­ria a uno dei nuovi padroni dell’Unità è un’operazione bene­me­rita. Lodare l’ottimo lavoro per Expo di Diana Bracco, oggi alle cro­na­che per pre­sunte fat­ture false della sua società far­ma­ceu­tica, è per­fet­ta­mente nor­male. Que­sto è il Pd e per que­sto l’attacco for­sen­nato sca­te­nato con­tro la pre­si­dente della Com­mis­sione anti­ma­fia, per aver adem­piuto al suo dovere, non stupisce.
Anche se par­ti­co­lar­mente vol­gare e arro­gante, l’assalto a Rosy Bindi mette in evi­denza l’impasto di que­sto nuovo par­tito ren­ziano, capace di tenere insieme le peg­giori abi­tu­dini del vec­chio (la dop­pia morale) mesco­late con i pes­simi vizietti del nuovo (la per­dita di memo­ria e di iden­tità). Un par­tito che pensa, tratta e pra­tica la poli­tica come stru­mento di un potere senza media­zioni né con­trap­pesi. Prima il vec­chio gruppo diri­gente, poi i sin­da­cati, i costi­tu­zio­na­li­sti, gli insegnanti… .
Trat­tare Bindi quasi fosse una gril­lina d’assalto, oltre che il migliore spot alla cam­pa­gna elet­to­rale dei 5Stelle, è nello stesso tempo indice di arro­ganza e sin­tomo di grande debo­lezza. Per aver ottem­pe­rato ai suoi obbli­ghi isti­tu­zio­nali (esa­mi­nare le liste elet­to­rali rispetto ai pro­fili giu­di­ziari rela­tivi al rap­porto tra mafia e poli­tica, secondo un codice di auto­re­go­la­men­ta­zione sot­to­scritto da tutti i par­titi), e per averlo fatto anche con cele­rità (dall’inizio della pre­sen­ta­zione delle liste, un mese fa, come da rego­la­mento), Bindi viene addi­tata dal pre­si­dente del par­tito, Orfini, come il nemico da distrug­gere («siamo tor­nati indie­tro di secoli quando i pro­cessi si face­vano in piazza aiz­zando le folle»).
Come se fosse della pre­si­dente della Com­mis­sione la respon­sa­bi­lità di aver messo in lista per­sone che hanno pro­blemi con il casel­la­rio giu­di­zia­rio. Qui il garan­ti­smo non c’entra, la Com­mis­sione anti­ma­fia a 48 ore dal voto (dun­que quando la cam­pa­gna è pres­so­ché con­clusa, quando i cit­ta­dini hanno visto all’opera i can­di­dati) tra­smette al cit­ta­dino infor­ma­zioni pub­bli­che ma cono­sciute solo da una ristretta cer­chia di addetti ai lavori. Tra l’altro si tratta di dicias­sette nomi su quat­tro­mila can­di­da­ture esa­mi­nate. Ma il tappo è sal­tato per la pre­senza dell’asso piglia­tutto della Cam­pa­nia, De Luca, e per i timori di qual­che brutta sor­presa nell’urna. Solo Ber­sani e Fas­sina hanno soli­da­riz­zato con Bindi rimet­tendo al cen­tro la que­stione politica.
Sarebbe da rive­dere cosa scri­ve­vano que­sti pate­tici per­so­naggi quando Ber­lu­sconi stril­lava sulla «per­se­cu­zione», sulla «giu­sti­zia a oro­lo­ge­ria». Ora sosten­gono le stesse cose che diceva la destra quando la magi­stra­tura faceva il pro­prio lavoro. Tra l’altro invo­care la legge per legit­ti­mare alcune discu­ti­bili can­di­da­ture è una pezza peg­giore del buco per­ché dice di una poli­tica che se fosse sicura e fiera delle liste le riven­di­che­rebbe, allon­ta­nando la sgra­de­vole sen­sa­zione di rac­cat­tare da ogni sponda e clientela.
Tanta viru­lenza in realtà sco­pre la lunga coda di paglia di chi mal sop­porta che le isti­tu­zioni fac­ciano il loro lavoro anche con­tro il potente di turno. A Bindi non si per­dona la grave colpa di non essersi alli­neata al nuovo gruppo diri­gente. Ma è innan­zi­tutto con se stessi e spe­cial­mente con Renzi che dovreb­bero pren­der­sela. Il caso De Luca lo ha creato chi lo ha can­di­dato. È stato pro­prio il presidente-segretario, che ora accusa Bindi di usare l’Antimafia per fini di bat­ta­glia interna, a sbi­lan­ciarsi fino a «scom­met­tere che nes­suno degli impre­sen­ta­bili sarà eletto, per­ché sono tutti espres­sione di pic­cole liste civi­che». Quando si dice che il dia­volo fa le pen­tole ma a volte dimen­tica i coperchi.

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